
Il quadro comincia a farsi chiaro, almeno adesso?
10 Maggio 2020
Questa è la fine. O il principio?
12 Maggio 2020Da ben prima che la cosiddetta emergenza sanitaria ci rinchiudesse nelle nostre case e condannasse a morte la nostra economia e il nostro futuro come nazione, da anni, da decenni, non abbiamo smesso d’interrogarci sulle ragioni del declino dell’Italia, ex grande potenza politica, con una flotta poderosa e un impero coloniale, e poi ancora per circa mezzo secolo ex grande potenza economica, la quarta o la quinta al mondo, capace di superare, praticamente senza aiuti da parte dello Stato, semmai nonostante la sua opera nefasta, nazioni come la Francia e la Gran Bretagna, e dare seriamente ombra alla Germania. Non abbiamo mai smesso di chiederci perché; cosa c’è che non va nel nostro Paese; quale maledizioni ci ha permesso di essere grandi, per non parlare del nostro prestigio culturale, che fa dell’Italia la prima nazione al mondo sul piano storico e artistico, nonché la prima per la ricchezza e la bellezza della natura, e poi ci ha condannati a una lunga, inarrestabile, penosa decadenza. E perché siamo stati i peggiori per il modo in cui abbiamo fronteggiato l’emergenza del Covid.19, e tuttora siamo bastonati e mortificati dal nostro stesso governo, mentre i nostri vicini, austriaci svizzeri, tedeschi, sono già ripartiti. E non hanno mai avuto emergenze ospedaliere, non hanno mai fermato la produzione, non hanno mai chiuso i parchi, non hanno mai sequestrato fra quattro muri i bambini, non hanno mai multato le mamme che li portavano fuori, non hanno mai proibito di fare sport, e hanno già riaperto il commercio, l’artigianato e, piccolo particolare, le chiese. E non hanno obbligato alcuno a non lavorare, lasciandolo senza reddito e senza risorse: ma subito, il giorno stesso in cui hanno costretto a una chiusura temporanea alcune categorie, gli hanno fornito i necessari mezzi di sussistenza e l’hanno posto in cassa integrazione. E non hanno terrorizzato i loro cittadini bombardandoli giorno e notte, da tutte le reti nazionali e locali, pubbliche e private, con bollettini di guerra spaventosi, rovesciando loro addosso cifre impressionanti di ricoverati, di morti, di presunti contagiati e di futuri morti, non bastando quelli attuali. Senza alcuna base scientifica, senza fare mai riferimento ai numeri veri, quelli dell’ISTAT e dell’Istituto Superiore della Sanità, ma buttando i numeri così, alla rinfusa, senza distinguere fra quanti sono morti di solo Covid-19 (cioè quasi nessuno) e quanto sono morti di svariate patologie, come ogni anno le note categorie a rischio, per una serie di patologie, cui si è aggiunto anche il Covid-19. I giornalisti austriaci, svizzeri, tedeschi e di tutti gli altri Paesi d’Europa si sono dedicati a un mestiere un po’ più serio e dignitoso che spruzzare la dose quotidiana di terrore psicologico sui loro telespettatori. I loro leoni da salotto si sono dedicati a qualcosa di meglio che pontificare incessantemente, 24 ore su 24, di Covid-19, di mascherine, di guanti, di distanza di sicurezza, di proibizioni, di sanzioni, di salute collettiva messa in pericolo dall’incoscienza dei soliti superficiali. I loro uomini politici, i loro parlamentari, i loro governanti hanno avuto altro da fare che unirsi a un tal coro d’isteria istituzionalizzata, hanno parlato alla ragione e non all’emotività, hanno conservato il sangue freddo e dato una rappresentazione pacata e obiettiva di quanto sta accadendo. I treni e le corriere non viaggiano vuoti, in quei Paesi; e vigili e poliziotti non si appostano in agguato a fare le multe al primo che passa, perfino ai genitori che accompagnano la loro bambina all’ospedale per un intervento chirurgico, o a marito e moglie che hanno commesso l’orrendo misfatto di recarsi a far la spesa insieme, come hanno sempre fatto. E la gente, sì, la gente qualsiasi, ha avuto di meglio da fare che spiare le mosse del vicino di casa, guardare in cagnesco quelli che escono senza la mascherina, insultare e denunciare gli "indisciplinati", redarguire gli incoscienti, impancarsi a tutori e arbitri del pubblico bene, scagliando i loro strali e riversando tutta la loro malevolenza su quelli che non si uniformano in tutto e per tutto alle assurde, terroristiche, criminali imposizioni di questo governo d’incapaci, di briganti e di venduti, che consapevolmente sta affondando il Paese, forse per compiacere i loro amici e patroni, per non dire i loro burattinai, che siedono alla BCE e si accingono a comprarsi l’Italia per un pezzo di pane.
La cosa che più colpisce, anche a un occhio estraneo e indifferente, è la sproporzione di vita che esiste fra i governanti e i governati. I primi non si fanno mancare nulla, godono di ogni sorta di vantaggi e privilegi di casta, senza parlare delle raccomandazioni e de dei favori che si fanno a vicenda, favorendo la carriera dei loro amici e parenti e assicurandosi margini di profitto anche nella generale miseria: classico esempio il trattamento riservato ai manager delle aziende pubbliche, i cui stipendi e le cui gratifiche di fine rapporto sono del tutto slegati dall’andamento della produzione e dagli utili realizzati; mentre gli operai, evidentemente, in caso di cattiva gestione sono i primi a finire in cassa integrazione o direttamente licenziati. Crediamo che in nessun altro Paese al mondo, tranne nei vecchi regimi comunisti, vi sia nulla del genere. In Germania, in Giappone, gli stipendi dei manager sono legati all’andamento della produzione; e sovente lo stesso criterio vale per i salari degli operai: se l’azienda va bene, si guadagna di più; se va male, si sopportano dei tagli sulla busta paga. E tuttavia la prassi italiana, per quanto illogica e un tantino immorale, è tipica di una certa tradizione, statalista e parassitaria, che risale a ben prima della Repubblica nata nel 1946: diciamo pure che risale alle origini stesse dell’Italia unitaria, sotto la monarchia sabauda. Un altro esempio è il trattamento che ricevevano gli ufficiali dell’esercito da parte dello Stato, e quello riservato ai soldati semplici, anche in tempo di guerra: era come se appartenessero a due mondi non comunicanti. Per gli ufficiali, l’attendente e le stoviglie di lusso e il menù da gran ristorante; per la truppa, rancio scadente e, nelle trincee, carne in scatola e niente bevande, niente caffè, niente sigarette. E fino a quando è esisto il servizio di leva, come abbiamo sperimentato personalmente, ci sono state tre mense: per gli ufficiali, per i sottufficiali e per i soldati, con menù diversi. Non era così negli altri eserciti: in quello tedesco, per esempio, durante le due guerre mondiali, il servizio mensa era uguale per tutti, in pace e in guerra; e guai al sergente furiere che si faceva beccare a far la cresta sul rancio della truppa. Sarà stato anche per quello che le prestazioni dell’esercito tedesco erano migliori di quelle dell’esercito italiano, anche non tenendo conto delle differenze di armamento e di addestramento? Sarà stato per questo che il soldato tedesco, o inglese, o francese, era pronto a seguire il suo tenente, il suo capitano, il suo maggiore, anche nelle situazioni più difficili? E sarà perché l’8 settembre del 1943 il re, Badoglio, gli ufficiali superiori si sono squagliati come neve al sole, ciascuno preoccupato di salvare se stesso, che un esercito di oltre un milione di soldati si è sfasciato nella maniera vergognosa che sappiamo? Se il re e i comandanti fossero rimasti al loro posto, i soldati sarebbero fuggiti o si sarebbero lasciati catturare come un gregge di pecore? E meglio ancora: ci sarebbe stato un 8 settembre, se fin dall’inizio della guerra il re e i comandanti avessero dato un altro esempio, un altro stile: se avessero condiviso coi sodati tutte le fatiche e tutti i pericoli, se li avessero guidati invece di starsene indietro, al sicuro, come il maresciallo Graziani che, durante la campagna d’Egitto, nel 1940, se ne stava in un bunker antiaereo scavato a molti metri sotto terra? La sconfitta, alla fine, senza dubbio sarebbe arrivata ugualmente: ma ci sarebbe stato l’8 settembre, con l’umiliante sbandamento generale? E la resa ingloriosa della flotta? E ci sarebbe stata la guerra civile?
Ecco una testimonianza del generale Siegrfried Westphal, capo dio Stato Maggiore del maresciallo Kesselring nel 1943, all’epoca dell’8 settembre 1943, relativa alla situazione del soldato italiano durante la campagna dell’Africa Settentrionale, rilasciata a Silvio Bertoldi e riportata nel libro I tedeschi in Italia(Milano, Rizzoli, 1964, pp.238):
Come combattenti nelle condizioni di indigenza in cui versavano, e di umiliazione rispetto al loro alleato, gli italiani si batterono bene. Mangiavano incredibilmente poco e male. Mi ricordo ancora la brodaglia che le truppe ricevevano al mattino con il nome di caffè, lo scarso pane, il misero cibo del mezzogiorno, e poi basta. Malnutriti com’erano, debbo dire che — fatta la proporzione — rendevano di più dei tedeschi. Una volta Rommel, in Africa, fu invitato a pranzo al comando italiano. C’era una tavola imbandita con ogni ben di Dio, vasellame prezioso, champagne e ogni genere di cibi. Il feldmaresciallo chiese di visitare le cucine. Trovò dei soldati che avevano appena finito di preparare quelle vivande e si accingevano a consumare il loro pasto. Una scatoletta di carne in due, e null’altro. Rommel sedette in mezzo a loro e domandò di poter spartire ciò che avevano da dargli. Non volle assolutamente tornare nella sala del banchetto. Successe un finimondo. Ma erano questi i gesti che lo rendevano tanto popolare tra le truppe.
I privilegi della casta in italiana si estendono a quanti entrano a farne parte, anche a titolo temporaneo, in virtù dell’affinità ideologica del Politicamente Corretto: per fare un esempio, a quella Silvia Romano che è tornata dall’Africa grazie a un riscatto dai due ai quattro milioni di euro, pagato dai contribuenti, dopo essere stata rapita da quei musulmani che le piacciono così tanto da essersi fatta islamica lei stessa, e aver rifiutato gli abiti italiani che le venivano offerto dopo la liberazione. Per tirar fuori dai guai quelli come lei, che si mettono in situazioni di pericolo dopo aver scelto di entrare in qualche o.n.l.us. o in qualche o.n.g. più o meno filantropica, lo Stato italiano è pronto a sborsare una montagna di quattrini, e ad abbracciarli come eroi che tornano da gloriose imprese, mentre vi sono cittadini "normali" ma invisibili i quali, dopo una vita di lavoro, lo Stato italiano non ritiene meritevoli neppure di ricevere una pensione dignitosa, tanto da potersi pagare l’affitto e le bollette oltre al pane quotidiano.
Il discorso del privilegio è poi strettamente connesso con quello delle raccomandazioni e delle carriere agevolate per quanti si prestano a servire il padrone senza mai far domande, anche se il padrone è lo Stato e domanda di mentire spudoratamente: tale è il caso di molti giornalisti R.A.I., per non parlare di quelli delle televisioni private, che hanno fatto scendere così in basso il livello dell’informazione da poter fare invidia alla vecchia DDR o alla vecchia URSS. Diciamo solo che una persona dotata di senso critico, e bisognosa di avere, per ragioni professionali, le notizie vere e non le veline di regime, non legge i giornali italiani e tanto meno ascolta i telegiornali, il cui grado di serietà e obiettività è prossimo al livello della spazzatura, ma acquista la stampa estera e ascolta le televisioni estere. In tutta Europa, in tutto il mondo, tutti sanno che la situazione italiana è questa: solo il pubblico italiano lo ignora, si fida di quel che gli passa il convento e poi si stupisce se, all’estero, si ride dell’Italia, mentre il nostro governo vorrebbe farci credere che tutti ci ammirano e perfino c’invidiano. Il governo Conte Bis, ad esempio da settimane ripete la favola che gli altri Stati stanno imparando a prendere esempio da noi (cioè, da lui) quanto all’emergenza sanitaria. La verità è di segno diametralmente opposto: non c’è un solo Paese che si sia regolato come il nostro, non c’è un solo governo che abbia fatto a pezzettini la Costituzione e distrutto l’economia senza alcuna necessità, infine non ce n’è uno solo dove i mass-media si siano prestati a una così turpe campagna di disinformazione e sistematico terrorismo psicologico. Oppure vogliamo parlare di scuola, università, pubblica amministrazione? A far carriera sono i soliti noti: boriosi conformisti che non sanno produrre uno straccio d’idea; gente senza spina dorsale, né principi né coscienza. L’università decide di finanziare i Gay Pride come nobili manifestazioni culturali? E loro approvano. Le associazioni LGBT propongono corsi di educazione sessuale negli asili a base d’ideologia gender? E loro accondiscendono. Il governo o le amministrazioni comunali prescrivono la multa per chi forma assembramenti o esce di casa senza motivo? E loro danno la multa ai commercianti disperati, che manifestano in piazza stando a debita distanza e indossando la mascherina, oppure a qualche prete che si è permesso di celebrare la Messa in presenza di cinque o sei fedeli; ma non si sognano di molestare quelli che festeggiano il 25 aprile, tanto meno di agire contro i clandestini che se ne fregano di quarantene o mascherine e se e vanno in giro a spacciare droga alla luce del sole. Forti coi deboli e deboli coi forti, questo è il loro motto. E intanto i professionisti seri, gl’insegnanti di valore, o i magistrati o i carabinieri meritevoli, dotati di coraggio e pieni di idee, restano fermi, trascurati, parcheggiato in qualche posticino di terza fila: Non faranno mai carriera, loro. Sono affiliati alla massoneria? No. Solo iscritti al PD? No. Fanno il tifo per Carola Rackete o Silvia Romano? No. Hanno offerto la cittadinanza onoraria a Liliana Segre? Neppure. Ma almeno hanno portato le loro scolaresche in viaggio d’istruzione a Lampedusa, per far vedere quanto è dura ed egoista l’Italia, che lascia morire in mare migliaia di poveri migranti? No. E allora cosa pretendono? Che si sveglino e imparino a stare al mondo. Che guardino un po’ di sana televisione nostrana, di Fazio, Botteri, Gruber, Lerner, Parenzo, e qualcosa impareranno. Altrimenti poi non si lamentino se si trovano un bastone fra le ruote. Ed ecco la risposta alla domanda: perché l’Italia scende la china…
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