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Gianni Rodari o la contro-letteratura per l’infanzia

Se volessimo fare un esempio di ciò che non è la letteratura per l’infanzia, senza esitare diremmo: prendete le opere di Gianni Rodari (Omegna, allora provincia di Novara, oggi del Verbano, 23 ottobre 1920-Roma, 14 aprile 1980). Sappiamo bene che è stato considerato un grande scrittore e un grande educatore, e che un tutta Italia gli sono state dedicate decine di asili e di scuole elementari; ma c’è una ragione per questo, che non è di merito, ma ideologica. Abbiamo usato infatti il passato, è stato considerato; perché da un bel po’ di anni il suo nome non compare più con tanta frequenza nelle discussioni dei salotti buoni; in altre parole, perfino quelli che ne hanno decretato il successo, gonfiando oltre ogni limite i suoi meriti, alla fine si son resi conto della sua modestia e senza averne l’aria, tanto meno senza ammetterlo pubblicamente, come del resto è loro costume, hanno compiuto una ritirata strategica e abbandonato in silenzio le posizioni. In tempi di globalizzazione selvaggia e di una sinistra che si è posta totalmente al suo servizio, vale a dire al servizio del grande capitale finanziario, apolide e amorale, la figura di Gianni Rodari è divenuta a dir poco imbarazzante: il mondo che si esprime nei suoi libri è ancora quello, a suo modo coerente, se non proprio glorioso, del vecchio P.C.I. Oggi un Rodari non scriverebbe più a quel mondo, oppure verrebbe censurato dai suoi stessi compagni di partito; le case editrici di sinistra non pubblicherebbero i suoi libri, e le televisioni progressiste non lo inviterebbero a esprimere la sua opinione. E tuttavia, si potrebbe obiettare, seguitano a invitare uno Staino, con tutta la sua rozzezza veterocomunista. Vero: ma con il non trascurabile dettaglio che adesso costui, insieme del resto a gran parte dei portabandiera della vecchia sinistra filo-comunista, sono stati assorbiti nella maniera più disinvolta nei ranghi del clero cattolico. Oggi sono i vescovi a sventolare le bandiere della sinistra, ridotta a un internazionalismo sena giustizia sociale, senza dignità dei lavoratori e senza alcun rispetto per le identità collettive, ma solo per quelle dell’ultraindividualismo radicale borghese, tanto che Staino è stato chiamato ad illustrare — alla sua maniera, cioè in modo beffardo e blasfemo – il giornale della C.E.I., L’Avvenire: quello, per intenderci, che ha dedicato la prima pagina dello scorso 25 aprile alla "Liberazione", titolando a cinque colonne: Resistere, Resistere, Resistere (contro chi? contro il "fascismo": chiaro, no?, mica contro la soppressione della santa Messa o l’abolizione di fatto dei funerali religiosi), ed è stato il solo a scegliere quella linea editoriale, insieme al Manifesto che, almeno, ha una storia coerente alle spalle. Mentre un Rodari, oggi, stentiamo a immaginarcelo nei salotti buoni della sinistra, e meno ancora nell’area del cattolicesimo bergogliano; se non altro avrebbe dovuto aggiustare il tiro, prendendosela, certo, con i "ricchi", ma senza rompere le scatole ai veri ricchi, i multimiliardari che dominano il mondo odierno, i plutocrati onnipotenti dell’internazionale massonica, i Bill, Gates e i Jeff Bezos, i Rotschild e i Rockefeller, i signori del Deep State americano e non solo americano, ma planetario.

Abbiamo detto che Gianni Rodari è il perfetto esempio di ciò che non è la letteratura per l’infanzia; aggiungiamo che è anzi l’esempio di ciò che si deve intendere per contro-letteratura dell’infanzia, ossia di una letteratura che intende rivolgersi ai bambini, ma lo fa senza rispettare la loro natura e, peggio ancora, con la scopetta intenzione d’indottrinarli, manipolarli, tirarli su secondo la propria ideologia: esattamente come hanno fatto e fanno decine di migliaia d’insegnanti di sinistra, ai quali non interessa aiutare i loro alunni a sviluppare un proprio senso critico, ma solo di sentirli parlare e ragionare come piace a loro, ossia nel solco di ciò che per essi è la verità talmente indubitabile, da non aver bisogno di dimostrazioni. Nei suoi libri si respira un’aria greve, ideologicamente pesantissima, intrisa di un moralismo semplicistico, dove il bene sta sempre dalla parte dei poveri e il male sta sempre da quella dei ricchi, il tutto partendo dal solito vecchio assunto di Rousseau, che l’uomo è buono per natura ed è la socie a corromperlo, in particolare dopo l’invenzione della proprietà privata. L’intonazione esteriormente gaia non serve a rendere davvero gaio il clima; e la volontà di dimostrare una tesi, oltretutto estremamente schematica, si risolve a danno della spontaneità e della leggerezza delle storie. Anche se i protagonisti sono personaggi "simpatici", magari fiori, frutti e ortaggi, il modo in cui parlano e agiscono risente di un’impostazione esasperatamente politicizzata: dietro ogni fagiolino, ogni limone, ogni foglia di lattuga senzienti e parlanti non c’è il magico mondo dell’infanzia, che si apre al mondo per la prima volta ed è pervasa da arcani stupori, ma la saccenteria instancabile, petulante, di un mondo adulto che è intimamente vecchio, perché sa già tutto o crede di saper tutto, ha capito e giudicato ogni cosa, anche se forse non l’ha capita così bene come crede. E che razza di letteratura per l’infanzia è quella ove manca lo stupore? Dove tutto, ma proprio tutto, ha la sua brava e pronta spiegazione; e dove buoni e cattivi recitano un copione obbligato, scontato, prevedibile, senza il minimo slancio di fantasia, senza mai che traspaia l’inesauribile complessità della vita? Perché nel mondo della vita vera, non sempre le cose sono come appaiono; non sempre i buoni son così buoni e i cattivi così cattivi, come sembra al primo sguardo; e soprattutto esiste un elemento di sorpresa, d’imprevedibilità, che a volte sorpassa perfino la fantasia degli scrittori, mentre nel mondo delle fiabe e dei romanzi di Rodari non c’è mai un palpito di sorpresa, né un battito d’ala dell’imprevisto, ma personaggi e situazioni si mantengono nei rigidi e pesanti binari del politicamente corretto, ossia del progressismo di matrice illuminista e positivista. Inutile dire che non c’è spazio per quella cosa brutta e reazionaria che i borghesi e i preti chiamano "spirito" e che per Marx è una semplice sovrastruttura del modo di produzione; non c’è nulla che esuli da una visione grettamente materialistica della realtà; non c’è nulla che rimandi al sentimento religioso o anche solo all’intuizione che la vita umana, dopotutto, forse non si esaurisce con questi poveri corpi destinati a invecchiare, morire e dissolversi, ma si proietta in un’ulteriore dimensione, in un piano di realtà che appartiene all’assoluto.

Gianni Rodari appartiene a quella generazione d’intellettuali di sinistra per i quali il Progresso e la finale Emancipazione della classe operaia (con la sotto-emancipazione della donna, oppressa dal maschio "fascista") erano le due strade parallele che a un certo punto si sarebbero dovute incontrare, e da lì sarebbe nato, miracolosamente, il Mondo Nuovo, fatto solo di pace e di buoni sentimenti, la versione laica del Paradiso dei cattolici, con i quali condivideva il profondo afflato religioso, ma ovviamente di una "religione" razionalista e materialista. Non sapeva che quelle due vie maestre, invece, si sarebbero sempre più divaricate e che alla fine il progresso avrebbe divorziato dagli interessi della classe operaia, e si sarebbe rivoltato contro di essi, in nome della legge del profitto: perché il progresso non è mai neutrale, appartiene a chi investe nella ricerca i capitali, e i marxisti, i quali avevano creduto che bastasse metterlo al servizio della causa operaia per goderne i frutti, sarebbero rimasti amaramente disillusi. Quando ciò accadde, i quadri del vecchio P.C.I., passati attraverso numerosi restauri, modifiche e revisioni, avevano già fatto la loro scelta di campo: schierandosi dalla parte del turbo-capitalismo e della globalizzazione, dell’Unione Europea e della Banca Centrale di Bruxelles: i nuovi volti del Progresso, appunto. E tanto peggio per Marx e per la classe operaia, rimasta legata a vecchi schemi totalmente sorpassati e incapace di riformarsi dopo il crollo del regimi comunisti in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est. Rodari non è arrivato a vedere quel cambio della guardia, è morto prima; meglio per lui: il suo Cipollino, nella nuova scelta di campo delle sinistre, avrebbe fatto la figura di un pezzo da museo dimenticato in una mostra d’arte ultramoderna. E che questa non sia un’illazione, lo dimostra come i nuovi campioni della sinistra hanno trattato quei pochi, coerenti e rigorosi, che sono rimasti veramente dalla parte degli sfruttati: il caso di Giulietto Chiesa è quanto mai chiarificatore.

I libri per l’infanzia di Rodari non sono solo estranei al vero mondo dell’infanzia, che è fatto di stupore e meraviglia; sono proprio contro l’infanzia, sono contro-letteratura infantile, perché vogliono strappare all’infanzia quello stupore e quella meraviglia, come la maestra troppo solerte che non vede l’ora di dire al bambino che quella di Babbo Natale che porta i regali è solo una favola inventata dagli adulti. Il mondo istintivo del bambino è pieno di punti di domanda; il mondo letterario di Rodari è pieno zeppo di risposte. Non è bene che al bambino siano date le risposte su ogni cosa, prima ancora che in lui si siano formate le domande: ciò uccide la sua spontaneità, la sua sana e naturale curiosità. Dietro ogni storia di Rodari è come se ci fosse un Grillo Parlante che non sta mai zitto, che deve sempre dir la sua su tutto. Questo significa voler fare del bambino un cagnolino ammaestrato, che salta e scodinzola a ogni cenno del suo padrone, così, semplicemente perché gli è stato insegnato di farlo. Non rispetta la natura del bambino colui che pretende di trattarlo come se fosse un piccolo adulto; il bambino non è un adulto, per quanto sia piccolo; non sente, non pensa, non domanda alla maniera degli adulti, ma in un’altra maniera, tutta sua, che va ascoltata e rispettata, che va guidata con delicatezza, senza imporle una maturità che ancora non possiede. E poi, siamo sicuri che la forma mentis dell’adulto sia intrinsecamente superiore a quella del bambino? Che il bambino sia una brutta copia, una copia ancora informe e imperfetta dell’uomo adulto? Come si vede, chi si accinge a scrivere libri per l’infanzia deve avere le idee molto chiare su cosa è l’infanzia. Gli intellettuali della vecchia sinistra ce l’avevano, quell’idea, ma, ahimè, era un’idea balorda, poggiata sul nulla, cioè sulle strampalate e inconsistenti teorie di Rousseau: un cristianesimo senza il dramma del Peccato originale, della caduta e della Redenzione. Ovvio: per un vero comunista, l’uomo si redime da solo. Il male c’è, ma viene sempre all’esterno: è rappresentato dagli altri, non dalle proprie cattive tendenze. Cattive tendenze non ce ne sono, specialmente nel bambino, secondo lui: il che invece è falso. Ci sono, eccome, e proprio nel bambino ancor più che nell’adulto. Ora, quelle tendenze devono essere imbrigliate, incanalate, trasformate in elementi costruttivi, e non semplicemente negate o ignorate: questo è un errore micidiale, che porta alle tragiche semplificazioni della storia, dopo aver segnato le semplificazioni della psicologia. La psicologia del bambino è complessa: per accostarsi ad essa bisogna, in un certo senso, tornare ad essere bambini. Ma il buon Rodari non si scorda mai di essere l’adulto, l’adulto che vuol fare la lezione ai piccini: vuol coltivare in loro il senso della giustizia, il che sarebbe encomiabile, purché si sappia che il senso della giustizia, nel bambino, funziona solo quando si tratta di puntare l’indice contro qualcun altro, mai quando si tratta di fare un’autocritica e di assumersi una responsabilità. In effetti, tutto quel che si può fare, partendo dai presupposti di Rodari, è instillare nei bambini, senza che se ne rendano conto, ciò che Marx chiama la coscienza di classe, mentre sotto il profilo psicologico bisognerebbe parlare semmai di risentimento di classe. Il bambino, leggendo le storie di Rodari, alimenta in sé quel risentimento; si sente dalla parte giusta della barricata, e comincia a giudicare, senza alcuna riflessione ulteriore, quelli che sono, o meglio che gli vengono presentati, come schierati dalla aperte sbagliata. I cattivi sono in tal modo quelli che non si adeguano agli schemi ideologici del compagno Rodari: i buoni, quelli che li servono con fervore, senza fare troppe domande, o che, se le fanno, si accontentano della prima risposta. Insomma, quelli che non cercano, che non cercheranno mai, perché tutto è già talmente chiaro: da una parte la giustizia, vale a dire il mondo del rancore, dall’altra l’ingiustizia, quello dei nemici di classe. I nemici di classe sono i capitalisti, gli sfruttatori, i fascisti: bisogna cacciarli o comunque disarmarli, questo è l’obiettivo, come si vede fra gli altri nel romanzo Cipollino, uno dei più lodati, scritto nel 1950 e illustrato da Raul Verdini, inizialmente pubblicato su Il Pioniere, il giornaletto per bambini che, nelle intenzioni dei compagni, doveva fare concorrenza al borghese Corriere dei Piccoli e al clericale Il Giornalino. A proposito di rispetto della mente e del cuore del fanciullo: lo scopo era quello di farlo diventare, al più presto possibile, un combattente per la causa della "giustizia".

Si potrebbe obiettare che anche il cattolicesimo, come il comunismo, pretende di educare i bambini sin da piccoli e di fornir loro le risposte prima che vengano formulate le domande. Ciò è vero solo giudicando le cose all’esterno e molto superficialmente; perché la differenza fra le due concezioni educative esiste, ed è fondamentale: l’educazione cattolica sviluppa e chiarisce una disposizione che già esiste nell’animo del bambini, il sentimento religioso. L’uomo è naturalmente religioso, e gli antropologi non sono riusciti a scovare un solo popolo, per quanto isolato e primitivo, che non abbia la nozione di Dio e non lo adori. E il popolo russo, dopo oltre settant’anni di dittatura atea e comunista, è ritornato alla religione dei padri non appena la morsa dello Stato ha ceduto, e le chiese son tornate a riempirsi. Il bisogno di Dio, quindi, è autentico e originario; il bisogno di giustizia sociale è anch’esso autentico e originario, però mescolato, come abbiamo accennato, a rancori privati e al desiderio di rivalsa contro il prossimo. E mentre il marxismo insegna, in ultima analisi, a odiare il nemico, il cristianesimo insegna a perdonarlo e a non seguire la strada dell’odio. Non è poco.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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