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E dietro la facciata, il nulla

Il visitatore che, dallo stupendo duomo romanico-gotico di Gemona, sale lungo la via principale della città alta, sotto i portici degli antichi palazzi, dirigendosi verso il bivio fra la via generale Carlo Caneva e la via Gleseute (cioè della chiesetta), che s’arrampica ancor più verso l’alto, alle falde del Monte Cuarnan, a un certo punto, sulla destra, passa innanzi a un edificio a dir poco singolare. Si tratta di una chiesa di cui vi è soltanto la facciata in pietra grezza, che si affaccia su una maestosa gradinata con doppia balaustra, come una quinta di teatro, ma senza le pareti, senza il corpo centrale; anzi senza neppure l’intera facciata, ma solo quel tanto che basta per sostenere il portale d’ingresso, appena al di sopra del timpano: un portale vuoto, come l’occhio di un morto, oltre il quale s’intravede la facciata di un banale edificio moderno. È tutto ciò che resta di una graziosa chiesa rinascimentale, la Beata Vergine delle Grazie, del 1490, totalmente distrutta dal terremoto, o meglio dai due terremoti, del 6 maggio — 6,5 di magnitudo della scala Richter — e dell’11 e 15 settembre del 1976, che provocarono quasi mille morti in tutto il medio Friuli. Gemona è poi stata ricostruita così bene che il turista digiuno di storia recente potrebbe anche non accorgersi di nulla, benché quanti hanno conosciuto la città prima del sisma vedono bene la differenza: dovuta non all’imperizia degli architetti, ma all’impossibilità di restituire a un vecchio centro storico la stessa fisionomia, la stessa atmosfera che aveva prima, dopo un’opera di ricostruzione pressoché totale. A parte il suggestivo castello medievale che svettava, con la sua torre, sul colle dominante il borgo superiore, e che non è stato possibile rimettere in piedi, il solo indizio esplicito della tragedia che si abbatté all’improvviso in una sera caldissima della tarda primavera di quarantaquattro anni fa è costituito, appunto, dalla facciata incompleta della chiesa della Madonna, che la gente chiamava Glesie dai Todesc (chiesa dei tedeschi), consacrata nel 1498 e annessa all’antico convento dei francescani. Gli amministratori e gli urbanisti dell’epoca decisero che l’edificio sacro non poteva essere riedificato perché mancavano i presupposti per un restauro filologico, cioè che fosse rispettoso dell’originale, con la tecnica dell’anastilosi, vale a dire del riutilizzo degli stessi materiali originari. In poche parole, della vecchia chiesa era rimasto veramente troppo poco: per ridarle nuova vita, sarebbe stato necessario ricorrere a materiali moderni, il che ne avrebbe stravolto il significato e, in buona sostanza, anche l’aspetto, se è vero, come è vero che gli edifici, come tutti i luoghi che sono frutto di un’evoluzione storica o naturale, hanno un’anima, ma che se la loro fisonomia viene stravolta e resa irriconoscibile quell’anima la perdono, irreparabilmente.

Queste riflessioni ci vengono alla mente, e ne stimolano di nuove, sempre più ampie, contemplando la vuota, irreale facciata della chiesa della Madonna delle Grazie, mentre l’Italia intera è bloccata da un’emergenza sanitaria inverosimile e irresponsabile, che sta uccidendo la sua economia e che ogni giorno che passa lascia vedere sempre più chiaramente la perfidia del progetto ad essa sottesa, con la cura dei malati pronta ed economica, già sperimentata sul campo, col plasma sanguigno ricavato dalle persone guarite dal Covid-19, ma che le autorità e i mezzi d’informazione non degnano di alcuna attenzione. Perché è in arrivo la vera "soluzione" del problema, quella stessa che, forse, l’aveva fatto scoppiare: il vaccino della premiata e filantropica ditta Gates & C, che il nostro governo si sta affrettando ad acquistare, per poi somministrarlo, volontariamente o forzatamente, all’intera popolazione, cominciando dai vecchi (e il buon Zingaretti si è già prenotato per la regione Lazio, della quale purtroppo è governatore). Il tempo ci dirà, magari fra dieci o cento anni, chi aveva ragione, e se il governo Conte Bis è, o non è, un governo di traditori, che hanno sfruttato l’allarme per una pandemia inesistente, truccando e gonfiando le cifre dei decessi e bombardando gli italiani con una pseudo informazione di tipo terroristico, nonché sequestrandoli in casa loro, sospendendo i diritti fondamentali della persona, facendo a brandelli la Costituzione e scavalcando sistematicamente il Parlamento: il tutto a colpi di decreto legge e con la più perfetta connivenza del Quirinale, che ancora una volta ha brillato per la sua totale assenza, giuridica e umana, persino in un momento di così alta drammaticità. Di tutto ciò si occuperà la storia, forse; e diciamo forse perché tante, troppe cose del nostro passato, recente e meno recente, sono tuttora avvolte in una nebbia così fitta e al tempo stesso tradiscono tali e tante ambiguità, manovre occulte, trame segrete, che fare la storia del nostro Paese senza disporre di elementi certi e documentati si rivela pur sempre un’impresa difficilissima, che rischia oltretutto di risultare fuorviante, anche se condotta con il massimo scrupolo e la più trasparente buona fede. Ora come ora, prendiamo atto che la maggior parte del popolo italiano ha subito in silenzio questa serie di abusi intollerabili, si è lasciata minacciare, ricattare e spaventare a morte, si è lasciata perfino colpevolizzare, introiettando l’idea che ogni essere umano che si avvicina è un potenziale untore, e che ogni contatto fisico, ogni stretta di mano, ogni abbraccio fraterno, ogni bacio d’innamorati, un rischio mortale, oltre che una manifestazione d’irresponsabilità e di colpevole leggerezza, una prova manifesta e solenne di assenza di senso civico.

Quella chiesa che non esiste più, e della quale è rimasta in piedi solo una parte della facciata, col portale simile a un’orbita vuota o a una pupilla sbarrata, ci fa venire in mente la chiesa di oggi, non questo o quell’edificio, ma l’istituzione del cattolicesimo, che proprio l’emergenza sanitaria ha definitivamente messo a nudo nella sua miseria e inconsistenza. Quei vescovi conigli, che hanno nascosto la loro paura e la loro vigliaccheria dietro parole ed espressioni altisonanti, quali responsabilità e rispetto delle leggi (ma quali leggi?, qui non c’è stata alcuna legge: è tutto un gigantesco abuso di potere); quei teologi e quei preti narcisisti e chiacchieroni, sempre pronti a sventolare le bandiere (arcobaleno) in difesa di questa o quella minoranza di anormali, d’irregolari, di parassiti sociali, perfino quella dei transessuali bisognosi di sostegno economico perché, di questi tempi, non possono esercitare il loro vergognoso ed esecrabile mestiere, il che è stato uno schiaffo a decine di milioni d’italiani onesti e laboriosi che il mestiere l’hanno perso per davvero, e non era quello di fare sesso contro a pagamento, secondo natura o contro natura, non solo hanno consentito a subire tutte le proibizioni del governo, che oltretutto calpestavano clamorosamente il Concordato fra Stato e Chiesa, sospendendo la celebrazione pubblica della santa Messa e contingentando persino i funerali, e di fatto espropriando i parenti del diritto di rendere ai loro cari l’estremo saluto, ma addirittura in molti casi le hanno precedute. E il sedicente papa per primo ha dato il pessimo esempio di una "chiesa in uscita" che non sa più rientrare in se stessa, che non sa né vuole essere guida e faro nelle tenebre per i fedeli, che non ha nemmeno il coraggio di annunciare la Parola di Dio se non tenendosi a debita distanza dalle pecorelle il cui odore le era, a parole, tanto gradito, ma che al primo segnale di pericolo si è rivelata come una fonte di possibile contagio e quindi come un gregge da abbandonare a se stesso, come fanno i pastori mercenari dei quali parlava con così giusto disprezzo il nostro Signore Gesù Cristo. Un clero indegno, disertore o forse peggio, imbevuto di relativismo e colluso con la massoneria, bramoso di riconoscimenti mondani e occupatissimo a cancellare la nozione del peccato, in tutto affaccendato tranne che nel confermare le anime nella fede e nel guidarle verso la Verità, sola fonte di salvezza. Un clero servilmente prostrato di fronte a un papa che non è papa, che non è cattolico, che odia la vera Chiesa, che non perde una sola occasione per vomitare bestemmie ed eresie; che chiama la Madonna una ragazza, una meticcia, una madre piena di dubbi, e lascia che il suo teologo preferito, Enzo Bianchi, definisca Gesù un semplice profeta che narrava Dio agli uomini; e dice a una mamma, al telefono, che forse si rivedranno all’inferno, e che da cento e cento altri gesti, cenni, parole e omissioni ha fatto capire, beninteso a chi voleva e poteva capirlo, che lui non è un vero papa, ma il servo dell’Anticristo, il nemico implacabile della fede autentica, eletto a quella carica al preciso scopo di distruggere tutto, smantellare tutto, inquinare tutto, confondere tutto, sovvertire tutto, e lasciare dietro a sé solo rovine fumanti, dolore e disperazione. Così, anche gli ultimi veli sono caduti e abbiamo dovuto rassegnarci a chiesa che è ormai solo un guscio vuoto, una parola priva di sostanza; e a trascorrere una Pasqua senza la santa Messa, senza la Comunione, senza l’incontro con Gesù Eucaristico, il tutto con l’assenso e la zelante approvazione di un episcopato abietto, meschino, il quale non sa far di meglio che sconfessare un anziano sacerdote per la terribile colpa di aver celebrato la Messa alla presenza di sei o sette fedeli, e che un carabiniere, con inaudita rozzezza e tracotanza, aveva interrotto più volte, apostrofandolo con parole villane e irridenti (non prendiamoci in giro!, gli ha detto fra l’altro, davanti all’altare). Lo stesso clero che non batte ciglio quando però lo Stato, appena una settimana dopo la mancata Messa pasquale, autorizza i partigiani e i militanti della sinistra a festeggiare in pubblico il 25 aprile e la cosiddetta liberazione, assembrandosi nelle vie e nelle piazze di tutta l’Italia, cantando Bella ciao e sventolando a più non posso le loro bandiere rosse. Rosse, idealmente come il sangue delle povere vittime scannate a migliaia nei giorni orrendi della "liberazione", quando sono stati gettati quei semi di odio che poi, per settant’anni, sono stati tenuti vivi e che tuttora si vuol fare in modo che diano i loro frutti velenosi: il tutto in nome di un antifascismo senza fascismo, cioè di una forma di totalitarismo mascherato.

Eppure nonostante tutto, sentiamo che non sarebbe giusto, che non sarebbe onesto, scaricare ogni responsabilità sul clero, per quanto colpevole esso realmente sia. L’amara verità, che la presente situazione ha fatto emergere in tutta la sua impietosa evidenza, è che i cattolici hanno perso la fede. I decreti del governo proibivano la partecipazione alla santa Messa, non di entrare, con le consuete norme di prudenza, nelle chiese; ma il fatto è che non si sono visti. Le persone che si sono recate isolatamente a pregare nelle chiese rimaste aperte, sono state pochissime. La verità è che anche i cattolici, come tutti gli altri, hanno mostrato di preoccuparsi assai più della vita del corpo, che di quella dell’anima; hanno ritenuto di attendere la salvezza terrena dalla scienza, senza darsi un gran pensiero della salvezza eterna; e che hanno scandalizzato i piccoli, sconfessando, nella pratica dei fatti, le belle cose insegnate a parole circa il Vangelo e la necessità, la bellezza e lo splendore della vita di grazia. Lo si sapeva già, era il segreto di Pulcinella, ma adesso lo abbiamo potuto vedere e toccare con mano: l’Italia non è più cattolica; gli italiani non sono più cattolici; semmai sono anticattolici, perché, direttamente o indirettamente, condividono e approvano comportamenti e stili di vita che sono l’esatta negazione del Vangelo di Gesù Cristo e recano gravissima offesa al Signore Iddio. La pratica ormai considerata normale, e tacitamente accettata anche dai sedicenti cattolici; la pratica dell’eutanasia, intesa come autodeterminazione assolta della propria vita, come si visto specialmente al tempo del caso di Eluana Englaro; l’abbandono del matrimonio cristiano, sostituito da forme libere di convivenza; l’approvazione, implicita o esplicita, di manifestazioni oscene e immorali come i Gay Pride e viceversa le cosiddette veglie di preghiera contro l’omofobia, cioè contro le veglie di preghiera dei veri cattolici che pregano in riparazione di esse; il consenso de facto alle adozioni gay, alla fecondazione eterologa, e addirittura alla concessione di chiese e cattedrali affinché vi si allestiscano degli spettacoli immorali, turpi, anticristici, o perché i paladini del divorzio, dell’aborto e dell’eutanasia vi tengano le loro pessime conferenze e la loro aberrante propaganda: tutto questo, e altro ancora, indica chiaramente che il popolo cattolico si è sfarinato, si è dissolto, non esiste più. Al suo posto c’è una massa d’ipocriti che pretende di fregiarsi ancora del nome di cattolico, ma che si è fatta serva del principe di questo mondo di tenebre, e che verrà giudicata con la massima severità quando la storia sarà giunta al termine. Perché la storia un bel giorno finirà, ce l’eravamo scordati?; finiranno gli uomini, finiranno le loro aberrazioni e i loro peccati sempre più abominevoli, e il Giudice Giusto verrà a giudicare tutti, i vivi e i morti. Allora molti grideranno: Signore, Signore!, siamo tuoi seguaci; non ci riconosci?; ma lui li scaccerà sdegnosamente, dicendo loro (Mt 25,41): Via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Capito, arcivescovo Lorefice, che hai cambiato le parole della preghiera insegnata dalla Vergine Maria ai tre pastorelli di Fatima, preservaci dal fuoco dell’inferno, con l’esilio eterno, salvando la rima, da buon giocoliere, ma tradendone completamente il significato? Perché la Madonna ha mostrato l’inferno ai tre pastorelli e suor Lucia lo ha poi raccontato: l’inferno esiste, non è una metafora, cari vescovi e cattolici buonisti e progressisti! Anche se ai tempi di Gesù non c’erano i registratoti, caro Sosa Abascal, il diavolo esiste ed esiste anche l’inferno, il suo regno tenebroso. Ma già qui, in questo mondo che Dio ha creato per noi, il regno dei diavolo sta allungando i suoi tentacoli. Questa è l’ora delle tenebre. Verremo pesati, e saremo trovati scarsi. Che faremo, allora? Dietro quali sofismi, quali furberie tenteremo di nascondere la nostra miseria, la nostra abiezione? Potremo fare una cosa sola: gettarci a terra e pregare: Domine, non sum dignus…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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