E dietro la facciata, il nulla
3 Maggio 2020
Gianni Rodari o la contro-letteratura per l’infanzia
4 Maggio 2020
E dietro la facciata, il nulla
3 Maggio 2020
Gianni Rodari o la contro-letteratura per l’infanzia
4 Maggio 2020
Mostra tutto

Antropologia psicoanalitica, un’altra pseudoscienza

Ne 1913, con la pubblicazione di Totem e tabù: somigliane tra la vita mentale dei nevrotici e dei selvaggi, Freud aveva fatto la prima significativa incursione nei territori dell’antropologia culturale, oltre che della storia delle religioni, cercando d’innestarvi la sua teoria psicanalitica da poco divulgata fra il pubblico e gli ambienti accademici. Sfortunatamente per lui, i veri antropologi, come Bronsilaw Malinowski, abituati a lavorare sul campo e non a elaborare cervellotiche induzioni standosene sulla comoda poltrona dello psicanalista, avevano mostrato poca simpatia per il suo tentativo e nel 1922 era arrivata la replica puntuale di Malinowski, con Argonauti del Pacifico occidentale. Riti magici e vita quotidiana nella società primitiva, un classico subito riconosciuto come tale, che attaccava senza tanti complimenti l’interpretazione psicoanalitica e raccoglieva il consenso di maestri autorevoli, come James Frazer e Charles Gabriel Seligman. Ciò che Malinowski contestava era l’estensione a tutti i fenomeni della psiche dei primitivi della chiave interpretativa psicoanalitica e in particolare la teoria dell’erotismo anale, chiave di volta della teoria generale dello sviluppo della libido. È degno di nota il modo in cui Freud replicò a quelle obiezioni, nel corso di una conversazione con lo Geza Roheim, un ebreo ungherese seguace di un altro discepolo di Freud, Sandor Ferenczi, lui pure ebreo ungherese: Perché, quella gente non ha forse un ano come tutti gli altri? (vale la pena di citare la frase esatta in tedesco: Was, haben denn die Leute keinen Anus?). Ad ogni modo, il guanto della sfida doveva essere raccolto dai seguaci di Freud, i quali erano ben decisi a correre ai ripari e ristabilire assolutamente la credibilità della scuola inaugurata dal loro maestro; senza ignorare il fatto che il dibattito scientifico lasciava intravedere due schieramenti — peraltro mai riconosciuti dalla cultura ufficiale –, l’uno ebraico e l’altro non ebraico. Nella cerchia di Freud erano tutti ebrei, tranne Jung, che si era staccato nel 1912-13; mentre le critiche venivano da studiosi che non lo erano.

A difendere a spada tratta il valore della psicoanalisi nello studio etnologico dei popoli primitivi, ribadendo la connessione fra la psiche del "selvaggio" e quella del bambino, provvide appunto Geza Roheim (1891-), il quale, prima di stabilirsi definitivamente a New York ed aprirvi uno studio psicoanalitico, si mise a viaggiare per tutto il mondo, recandosi presso i popoli primitivi e mostrando che anche un seguace di Freud era capace di lavorare sul campo, come Malinowski, per ribattere alle sue obiezioni. Nel corso dei suoi viaggi un posto centrale è occupato dal soggiorno presso gli aborigeni australiani, e in particolare le tribù della zona più interna del continente, ove trovò, o ritenne di aver trovato, le conferme più puntuali e soddisfacenti della interpretazione psicoanalitica, là dove minori erano i rapporti con il mondo esterno civilizzato. Improvvisatosi dunque antropologo, Roheim si mise ad intervistare uomini e donne delle tribù più primitive, specialmente riguardo ai loro sogni, e vi trovò un ricco materiale per puntellare e rilanciare le idee del suo maestro sulla libido e sull’erotismo anale. Il suo metodo, se così vogliamo chiamarlo, è quello di Ferenczi e dello stesso Freud: in ogni sogno ricorre qualche figura parentale; se non ricorre, la si può sempre "riconoscere" dietro quella di altre persone o perfino di animali; dopo di che, come due più due fanno quattro, si tira fuori il complesso di Edipo e l’invidia e l’odio nei confronti del padre, uniti al desiderio sessuale verso la madre. Nel caso degli Aranada e degli altri popoli aborigeni, Roheim aveva individuato l’elemento preciso che si prestava alla sua lettura in chiave psicoanalitica dei materiali onirici: la diffusa credenza nei demoni, che si manifestano soprattutto sotto forma di una coppia di cani, pronti a mordere a morte i malcapitati che s’imbattono in loro. Per lui fu facile mettere questa credenza in relazione con i sensi di colpa generati dall’istinto del parricidio e da quello dell’incesto: la rimozione di tali istinti genera lo spettro dei demoni, che si affaccia durante i sogni notturni; specie tenendo presente quanto sia importante il mondo dei sogni nella cultura delle popolazioni australiane.

Per capire gli scritti di Roheim bisogna tener sempre a mente l’espressione scena primaria, che a un non addetto ai lavori potrebbe risultare misteriosa. La scena primaria è quella che il bambino ha visto, dei genitori che si accoppiavano; e che ha guardato nonostante i divieti, quindi con un misto di curiosità, piacere e senso di colpa, temendo di ricevere una severa punizione. Per spiegare qualsiasi credenza, e quindi anche quella nei demoni del deserto, Roheim ricorre alla scena primaria: il trauma di quell’esperienza infantile, unito all’accensione della libido che la caratterizza, segna tutto lo sviluppo della psiche e proietta verso l’esterno, ad esempio nella paura di venire aggrediti da esseri demoniaci, i fantasmi interiori da essa generati.

Affinché il lettore possa farsi una propria idea, riportiamo una pagina significativa del libro di Geza Roheim L’enigma della Sfinge (titolo originale: Das Rätsel der Sphinx, oder Die Menschwerdung; trad. dall’edizione inglese The Riddle of the Sphinx or Human Origins, London, The Hogarth Press, 1934, 1971; ed. it. Guaraldi Editore, 1974, pp. 37; 38-40):

Tra gli Aranda i demoni doppi vengono chiamati "erkurindja"tra i Ngatatara "tintijrita"tra gli Yubu e i Pindupi "ngaura punguta" (uniti insieme). In realtà essi si presentano come due cani congiunti mediante il pene e la coda del maschio, fissati stabilmente nell’ano della cagna. Si tratta dunque di una coppia sposata. Quando mordono, la vittima rimane tagliata in due. Lelil-Tukutu mi descrive come non di rado il cacciatore veda improvvisamente due cani impegnati nel coito. Sono cioè "titijri punguta" (uniti insieme). Credono che si tratti di cani comuni, si avvicina per vederli meglio. Scopre allora che non si tratta di due cani, bensì di due uomini. E deve immediatamente fuggire, poiché i demoni possiedono un bastone uncinato dotato di un maleficio ("nyungura"), e chi viene colpito da questo bastone è destinato a morire. (…)

Da quale materiale inconscio traggono origine questi demoni? Sappiamo dai sogni di Uran-tukutu che si tratta di proiezioni dei vari membri della famiglia, e che sotto le sembianze di questi esseri è possibile individuare il padre, la madre e il figlio. Essi rappresentano evidentemente la parte non sublimata del rapporto emotivo e libidico tra i vari membri della cerchia familiare.

Ankili, una vecchia Matuntara, madre adottiva di Kana-kana, riferisce il seguente sogno: "Vedo un diavolo montare carponi su una donna addormentata e possederla. Quella apre le gambe e il demone ha cin lei un rapporto. Dopodiché si alzano e se ne vanno. Seguo i due demoni finché scompaiono"."A che cosa somigliavano?" chiedo alla sognatrice. "Glielo’ho già detto" risponde "non erano persone, erano ‘mamu". Successivamente, però, precisa che l’uomo assomigliava a Tijminti, suo fratello, e la donna a Tjinkumana, sua sorella. Trattandosi del fratello e della sorella della sognatrice, il coito del sogno era incestuoso. (…)

Nelle tribù australiane i bambini godono di una notevole libertà. Per quanto riguarda la pulizia, le pretese degli adulti sono assai moderate. Naturalmente si dice al bambino di defecare fuori della porta, ma non sempre tale regola viene presa alla lettera. I bambini non vengono mai svezzati, la madre non rifiuta mai loro il seno. Una sola cosa è rigorosamente vietata: osservare i genitori durante il coito. Le giovani coppie hanno rapporti solo quando ritengono che i bambini dormano. I bambini sentono naturalmente che lo spettacolo della scena primaria costituisce un piacere proibito, per tanto rimuovono quanto hanno veduto; ma questo ritorna in forma proiettiva come visione dei due cani-demoni che fluttuano nell’aria nell’atto del coito e che vengono chiamati, eloquentemente, "come il padre" e "come la madre". Questi "kuna murali", come li chiamano i Pitjentara possono venir controllati solo da un mago molto potente qual è ad esempio PukutiWara. Persino Kana-kana ne ha paura. Il suo datore di lavoro, un bianco di Tempe Downs, gli disse un giorno di cacciare i "negri selvaggi" dalla sua proprietà. I "negri selvaggi" erano poi i parenti stretti di Kana-kana, i quali infastidivano io bestiame. Kana-kana si avviò, non troppo sicuro, non incontrò nessuno e tornò a casa. Allora udì nella’ria un rumore, un suono come un "a-a-a" e girandosi vide un’intera orda di "kuna murali" che lo seguivano. Il cielo era pieno di "kuna murali" e nell’aria fluttuavano demoni-uccelli a strisce risse e nere. Kana-kana si nascose in un cespuglio e i demoni passarono oltre. Esausto, si addormentò e sognò che la sua anima seguiva i "kuna murali" fino alla loro casa, ma senza riuscire ad acchiapparli. Ricorda come da bambino si mettesse a piangere nel vedere due cani veri intenti alla copula. Erano i cani di sua madre, e aveva il terrore che il cane potesse uccidere la cagna. Questo esempio mostra in maniera inequivocabile come una paura reale può venire sostituita da un’angoscia libidica infantile. Kana-kana si sentiva a disagio per via dei "negri selvaggi", ma aveva anche paura degli spettri della sua fanciullezza. Nella sua visione egli desidera una volta di più godere il terrificante spettacolo dei cani intenti alla copula, con tutto il suo significato libidico. Dopo siffatti esempi, non sbaglieremo nel ricercare nella scena primaria la fonte di tutte le credenze nei demoni. È uno spettacolo che terrorizza il bambino e nello stesso tempo lo eccita sotto il profilo erotico. Se si tratta di un maschio, la sua prima reazione è rappresentata dal desiderio di sostituirsi al padre, di ucciderlo, e di possedere la madre. Il suo Io, però, respinge tale fantasia, sia a causa della sua immaturità sessuale che del pericolo reale rappresentato dall’ira paterna. Viene allora costruita una fantasia di copertura sulla base di un complesso edipico negativo, nella quale il ragazzo si identifica con la madre; infine l’intera esperienza viene rimossa e negata allo scopo di sottrarsi all’angoscia di castrazione. Essa riaffiora tuttavia dall’inconscio in una forma che esalta l’elemento angoscioso: "I genitori non si accoppiano; io non ho visto nulla; sono i demoni a fare cose del genere. Guai a chi vi assiste, perché verrà sbranato": è la pena del taglione per l’empio desiderio di separare i genitori.

Questo, dunque, è il modo di procedere dell’uomo che si può considerare, a giusto titolo, l’autore della congiunzione fra psicoanalisi e antropologia. La sua pretesa di aver compreso e spiegato perfettamente ogni cosa, semplicemente rispolverando tutto l’armamentario della libido freudiana, complesso di Edipo in primis, ha qualcosa d’involontariamente caricaturale, visto che non sembra sfiorarlo mai il sospetto di non aver dimostrato un bel nulla. La donna che sogna l’incesto dei suoi due fratelli, e che li vede trasformarsi in demoni, da dove può aver attinto i materiali inconsci di quel sogno, se non dalla scena primaria? Stessa cosa per un maschio, Kana-kana, che si addormenta in uno stato di conflitto per il disagio che prova verso i suoi parenti "selvaggi", che il padrone bianco vuole scacciare, e la paura che possano scagliare contro di lui la maledizione dei demoni, condannandolo a morte. E che altro è quel conflitto, che si rispecchia nei suoi sogni agitati e paurosi, se non una trasposizione del conflitto originario, quello dovuto all’immancabile scena primaria, magari reiterata nella copula fra due cani, spettacolo che fin da piccolo gli faceva tanta paura? Rileggiamo le sue stesse parole: Questo esempio mostra in maniera inequivocabile come una paura reale può venire sostituita da un’angoscia libidica infantile. Kana-kana si sentiva a disagio per via dei "negri selvaggi", ma aveva anche paura degli spettri della sua fanciullezza. Nella sua visione egli desidera una volta di più godere il terrificante spettacolo dei cani intenti alla copula, con tutto il suo significato libidico. Dopo siffatti esempi, non sbaglieremo nel ricercare nella scena primaria la fonte di tutte le credenze nei demoni. Eh già, certamente. Se si introducono certi dati nel computer invece di altri, il risultato è assicurato in anticipo: non c’è neanche bisogno di andare a controllare. Ogni premessa determina le conseguenze e quanto più la premessa è rigida e univoca, tanto più certa sarà la previsione delle conseguenze.

Tutto questo non ha nulla di scientifico, eppure ha finito per imporsi nella cultura dominante, e un poco alla volta ha gettato fuori dal nido, come fa il cuculo con gli altri pulcini, tutte le posizioni alternative. E quel che Geza Roheim ha fatto per l’antropologia, altri lo hanno fatto per ciascun ambito del sapere e della vita umana. I critici, ad esempio, hanno fatto di Kafka, di Svevo, di Proust, i maestri insuperabili della letteratura; e così hanno espulso, gradualmente ma inesorabilmente, gli scrittori la cui visione non si accorda col loro disperato nichilismo, iniziando da quelli d’ispirazione cattolica, che, infatti, sono pressoché comparsi dai testi scolastici e dai programmi di studio universitari. Quanti studenti di liceo conoscono la figura e l’opera di un Papini, di un Giuliotti, di un Lisi, di un Tecchi, di un Fabbri, di un Testori, di un Pomilio? Nelle arti figurative, nella musica, nel cinema, nel teatro, persino nel fumetto (si pensi a Linus) il quadro è sempre quello. La psicoanalisi è l’alfa e l’omega del Pensiero Unico; è una pseudo-scienza, ma si è imposta come se fosse oro colato e dietro di essa si è imposta ogni forma di materialismo, scientismo, riduzionismo e meccanicismo. In altre parole, tutta la cultura moderna viene orientata da forze potenti, dotate dei mezzi per farlo…

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.