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Fase 1 della sottomissione: azzerare il senso critico

In quale maniera i pochi, anzi, i pochissimi, possono riuscire nell’opera, di per sé non proprio facile, di tenere avviliti e sottomessi i molti? E come possono farlo nell’era delle comunicazioni in tempo reale, quando qualsiasi notizia può viaggiare istantaneamente da un angolo all’altro del globo terracqueo; e dove c’è sempre, in qualsiasi momento e qualsiasi circostanza, un telefonino cellulare pronto a rubare le immagini di ogni tipo, anche quelle che il potere vorrebbe tenere nascoste alla popolazione? È evidente che sottomettere i molti, diciamo la stragrande maggiorana di un popolo, può esser fatto con mezzi fisici e polizieschi, ma non dà garanzie di durata: prima o poi, la rabbia della gente esplode; prima o poi il potere finisce per incrinarsi e per spezzarsi, se quel che lo regge è la pura e semplice coercizione materiale. No, è necessario creare il consenso: questa è la grande lezione dei totalitarismi moderni. Ma come si fa a creare consenso, quando le politiche di chi sta al potere sono palesemente contrarie all’interesse dei più e perfino distruttive del bene comune? È chiaro: bisogna trovare il modo di persuadere la popolazione; bisogna far sì che essa non veda la realtà per quel che è, e per come innegabilmente si manifesta anche agli occhi di un bambino, in tutta la sua chiarezza ed evidenza; bisogna che essa la "veda" attraverso un prisma deformante, che non ha niente a che vedere con la realtà, ma che è stato interamente creato dalla forza di suggestione. Certo: si può operare un lento, progressivo, capillare lavaggio del cervello della popolazione, specialmente attraverso i persuasori occulti, e fare in modo che essa, almeno fino a un certo punto, non se ne avveda nemmeno. Eppure anche questa tecnica, indubbiamente efficace finché si resta entro un certo livello di condizionamento, presenta un limite che non può essere tranquillamente oltrepassato. È possibile, ad esempio, inculcare nella coscienza della gente l’idea che il dolore è piacere e che il piacere è dolore: tuttavia, se si sottopone la gente a una costante, crudele tortura fisica, arriverà il momento in cui anche il più condizionato, il più manipolato di quei disgraziati cittadini, avrà un moto di ripulsa e, urlando per la sofferenza, cercherà di sottrarsi alla macchina infernale delle torture. È possibile, infatti, sovvertire le nozioni basilari della gente e anche operare un rovesciamento dei suoi valori, ma fino a un certo punto: e il punto di rottura è rappresentato dagli effetti concreti, avvertibili sulla propria pelle, di un sistema di vita interamente contrario al bene delle persone. Queste potranno anche percepirlo mentalmente come positivo; ma il loro corpo fisico, il loro organismo biologico a un dato momento si ribelleranno, spinti dal puro e semplice istinto della conservazione.

Tuttavia, c’è un modo per ovviare anche a questo inconveniente: ed è quello di spaventare a morte la gente, offrendole al tempo stesso, con l’altra mano, la speranza di uscire dalla paura. La paura infatti è persino più forte del dolore fisico: perché questo morde la carne, ma la paura morde l’anima con l’aspettativa di un male incombente e indeterminato; e la paura di qualcosa che non si vede è più potente dello stesso dolore fisico. Come se non bastasse, la strategia del terrore costa pochissimo, quasi niente: infatti non è necessario che il pericolo esista effettivamente, basta dire che c’è, e gli effetti sulla gente saranno gli stessi. Tutti quelli che hanno almeno una sessantina d’anni ricorderanno la canzone ironica di Enzo Jannacci: Vengo anch’io. No, tu no. Nel testo si parla di come ci si può divertire mettendosi a gridare: Aiuto, aiuto, è scappato il leone!; e poi osservare tranquillamente il panico che si diffonde tra la folla. Non importa se il leone non è affatto scappato dalla sua brava gabbia nel giardino zoologico; non fa niente se il leone non esiste addirittura. Quel che conta è gridare: Aiuto, è scappato il leone!; oppure, in un cinema affollato: È scoppiato un incendio! E non fa nulla se non c’è alcun incendio, se non c’è fumo, se non c’è odor di bruciato, se non c’è niente di niente: tutti penseranno che è indispensabile raggiungere l’uscita prima che si crei un "tappo", perché allora sarà troppo tardi e si rischierà di fare la fine del topo. E il gioco potrà essere reiterato più e più volte, con garanzia di sicuro successo. Ma non ci sarà il pericolo che, dopo aver replicato un po’ di volte lo scherzetto, la gente finisca per mangiare la foglia e non ci creda più, proprio come accade nella storia di Pierino e il lupo di Sergej Prokofiev? Per evitare che ciò possa accadere, è sufficiente fare in modo, almeno di tanto in tanto, che gli indizi della presenza del leone, o del lupo o dell’incendio, ci siano per davvero. Ad esempio: se la paura che il potere vuol instillare nei suoi cittadini è quella del terrorismo, ogni tanto bisognerà fare in modo che ci siano davvero degli attentati e che essi sembrino, in tutto e per tutto, opera di veri terroristi. Tipico esempio: gli attentati dell’11 settembre 2001, circa i quali si può tranquillamente affermare che il "terrorismo" che li ha attuati è stato quello dei servizi segreti, non solo americani, e non quello del presunto nemico esterno, ossia il fondamentalismo islamista. Tanto più spettacolari saranno le azioni terroristiche, tanto più drammatico il bilancio delle vittime, e tanto più improbabile sarà che la gente si metta a pensare con la propria testa e metta in dubbio la versione dei mass-media; che noti le numerose incongruenze, e perfino le assurdità, della narrazione ufficiale e giunga così quanto meno a sospettare come sono andate in realtà le cose.

Una perfetta applicazione, si potrebbe dire da manuale, di questo protocollo massonico-terroristico, è la decisione presa dal governo Conte Bis di estendere la "zona rossa" sanitaria all’intero territorio nazionale, da Domodossola a Lampedusa, sulle spiagge della quale ultima, peraltro, non cessano affatto gli sbarchi di clandestini, non si sa se infetti o meno dal Covid-19; ma tanto a ciò si provvederà presto con un decreto che li metterà tutti in regola dal punto giuridico (un po’ meno da quello sanitario), così l’invasione africana sarà ulteriormente incoraggiata e si creeranno le condizioni per la concessione della cittadinanza italiana; altrimenti dove volete che vadano a pescare i voti Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali?. Non c’è bisogno che sia in atto una pandemia; anzi, si sa bene che non c’è una pandemia: però lo si dice, lo si ripete, una, cento, diecimila volte, e alla fine quell’idea entra nella testa della gente, perfino di quelli che parlano tre o quattro lingue, hanno un paio di lauree e svolgono professioni che richiedono, almeno in teoria, un certo grado di pensiero creativo e autonomo. Infatti, per parlare più esattamente, non si tratta di un’idea, che l’intelligenza potrebbe vagliare e giudicare, ma di un sentimento: il sentimento più antico e più viscerale di tutti, la paura. Il grido: è arrivata la pandemia! equivale a quell’altro: è scappato il leone!, oppure: è scoppiato un incendio! All’udire quel grido, specie se a emetterlo e a ripeterlo è la televisione, il più potente dei persuasori occulti (al punto che per molte persone non c’è alcuna differenza tra la verità pura e semplice e le cose che vengono dette alla televisione), l’uomo preistorico che è in noi si ridesta improvvisamente, cancella d’un colpo tutte le lauree, tutte le conoscenze razionali, tutta l’esperienza di vita, e al loro posto rimangono solo l’adrenalina che affluisce nel sangue e una sensazione spiacevole che afferra la bocca dello stomaco e rende difficile perfino respirare normalmente o deglutire, figuriamoci pensare. (E già che ci siamo, a proposito di difficoltà respiratorie: avete mai pensato quanto la paura può aggravare lo stato clinico di una persona anziana, ricoverata in ospedale per una normale polmonite, la quale si sente dire d’aver contratto un virus ignoto e micidiale, e al tempo stesso viene isolata dalle persone care e lasciata sola ad aspettare la morte, in balia di un terrore crescente che niente e nessuno è autorizzato ad alleviare, nemmeno il sacerdote per mezzo dei conforti religiosi?). Semplice, economico, infallibile: chi è in grado di aprire e di chiudere a piacere, nella società, il rubinetto della paura, può tenere in pugno milioni di persone; ecco spiegato come fanno i pochissimi a esercitare un dominio assoluto, e in apparenza inspiegabile, sui moltissimi.

Uno scenario del genere, del resto, non s’improvvisa, ma lo si prepara partendo da lontano, con molta pazienza, con tenacia, con una certa dose di prudenza e soprattutto stando bene attenti a non scoprirsi, a non permettere mai che i burattini possano vedere i fili coi quali sono tirati, e meno che mai possano vedere la faccia del burattinaio: questa è la cosa più importante di tutte. Il signor Truman non deve sospettare che il mondo in cui vive è uno show (come nel film omonimo), uno spettacolo televisivo; al contrario, deve esser certo che il mondo è quello che ha sempre conosciuto, che in esso non è cambiato nulla, che le persone e le cose sono esattamente quelle di prima, a parte il naturale scorrere del tempo. La televisione e soprattutto la pubblicità, lavorando per anni, ogni giorno, sulla mente e sull’immaginario del pubblico, creano le condizioni adatte perché esso, alla fine, sia pronto e disposto a credere e ad accettare praticamente qualsiasi cosa gli venga trasmessa attraverso i mass-media. Anche la scuola, l’università e le altre agenzie educative e culturali svolgono un ruolo nel condizionamento progressivo dei cittadini. È forse un caso che dove la suggestionabilità è massima, ossia fra gli abitanti degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale, perché le condizioni economico-sociali favoriscono la dipendenza dalla televisione e la scolarizzazione massiccia della popolazione (per non parlare delle pratiche sanitarie invasive, come l’obbligo o il suggerimento di sottoporsi a massicce campagne di vaccinazione), lì si registra anche la massima vulnerabilità fisica nei confronti della malattia? E come, viceversa, dove la scolarizzazione è modesta e sconosciuta l’abitudine di passare molte ore davanti alla televisione o al computer, come avviene fra le popolazioni africane, i casi di diffusione del contagio sono rarissimi? Evidentemente c’è una stretta relazione fra ciò che si pensa essere la realtà e il modo in cui l’organismo reagisce a tali pensieri: lo ripetiamo, fa più morti la paura di qualunque virus. Quel che vogliamo dire è che alla presente situazione siamo arrivati per gradi, anche se non ce ne siamo resi conto, o meglio, proprio per quello. Se non ci fossimo abituati ad esporci all’influsso condizionante della televisione, per anni, per decenni, fino a divenire dipendenti verso di essa, quasi certamente ora non saremmo ridotti così: sprangati in casa o costretti a uscire il minimo indispensabile, come ladri o come untori e perciò con cattiva coscienza, indossando guanti e mascherina e tenendoci a debita distanza da tutti quelli che incontriamo o che fanno la fila alla cassa del supermercato. Questo è solo l’ultimo atto di un condizionamento progressivo, inarrestabile, iniziato al tempo della nostra infanzia; al quale, per ironia, ci siamo sottoposti volontariamente, anche se non afferravamo in tutta la loro portata gli effetti che ne sarebbero derivati.

Ormai non è vero quel che è vero, ma quel dicono i mass-media, specie la televisione. Facciamo un esempio pratico. Da tempo il programma televisivo Le iene, di Mediaset, ha preso di mira un sacerdote esorcista, don Michele Barone, accusandolo di aver effettuato maltrattamenti e violenze su una ragazzina tredicenne, e dopo avergli fatto processo, giudizio e condanna in televisione, ha spinto il suo zelo fino a vantarsi di aver dato un contributo decisivo al corso della giustizia, che infine lo ha condannato, in primo grado, a dodici anni di prigione. Le petulanti e truccatissime conduttrici del programma, divorate dal sacro zelo femminista e giustizialista, si gloriano adesso del risultato ottenuto in questa battaglia di civiltà. Il telespettatore ignaro e privo di senso critico è portato a identificarsi con la loro posizione e a rallegrarsi per la condanna esemplare. Quel che non viene chiarito a sufficienza è che è stata la famiglia, nella persona dei genitori di quella ragazzina, a chiedere l’aiuto di don Barone, precisamente perché la sottoponesse ad esorcismo: pertanto è su di essa, e non sul sacerdote, che dovrebbe riversarsi eventualmente il biasimo; fermo restando che, per un credente il diavolo è una cosa seria (e quindi Sosa Abascal non è credente) e lo è anche l’esorcismo. Un’altra cosa che resta fra le righe è che l’azione giudiziaria, come pure l’inchiesta televisiva, sono partite dalla sorella maggiore della ragazzina, la quale, omosessuale dichiarata, è entrata in conflitto col padre, accusandolo di aver trasformato la bambina in una indemoniata per il fatto che intratteneva rapporti con lei. Ora, sappiamo cosa succede a chi incorre nell’ira delle potenti lobby LGBT, che dispongono di mezzi finanziari tali da poter trascinare in tribunale chiunque, pagando fior di avvocati in difesa delle presunte vittime. Ma tutto ciò entra poco o nulla nel merito di quanto fatto da don Barone, il quale probabilmente è stato il capro espiatorio di una faida familiare, oltre che la vittima designata del Pensiero Unico deciso a sfruttare ogni occasione per diffondere la cultura gay-friendly e screditare, al tempo stesso, i sacerdoti che rimangono fermamente ancorati all’autentico Magistero, per il quale la possessione demoniaca è una realtà così come lo è la condanna morale della pratica omosessuale. E ciò senza entrare più di tanto nelle dinamiche specifiche di quel singolo caso. Ciò che volevamo evidenziare è come una volta abituati a lasciare che la tv giudichi per noi quel che è giusto e quel ch’è sbagliato, si arriva a questi risultati: che i processi e le sentenze li fanno, li preparano, li predispongono i produttori dei programmi televisivi. E anche ciò che stiamo vivendo adesso, in queste settimane, con l’assurda situazione di sequestrati in casa, con la Costituzione sospesa e i nostri diritti fondamentali calpestati, è un effetto di questo lungo processo d’indottrinamento. Una volta perduto il senso critico, non si è più uomini…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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