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Concilio, postconcilio, paraconcilio: fumo negli occhi

Da quando ci siamo resi conto, dopo molti anni di studi e riflessioni, che il cancro che ha divorato, e tuttora divora, la vera fede cattolica parte dal Concilio Vaticano II (anche se i prodromi della malattia risalgono ancora più indietro) e che solo ammettendo la sostanziale non cattolicità di quell’assise si può dare conto del caos e della sistematica autodistruzione che regnano all’interno della Chiesa da mezzo secolo a questa parte, ci siamo chiesti innumerevoli volte se quanti allora avevano l’età per farlo, a cominciare dai sacerdoti, si siano resi conto di quel che era accaduto e se si siano accorti dove stava il male. Ci siamo anche chiesti come mai, almeno in apparenza, quasi nessuno abbia dato segno di aver capito la manovra messa in atto dalla massoneria ecclesiastica, sobillata da forze esterne alla Chiesa, per stravolgere la vera dottrina cattolica e per renderla un docile strumento ai desideri del mondo: uno strumento spuntato, che non parla più nemmeno della Grazia e del peccato, che non parla della Redenzione di Cristo e che quasi non parla più nemmeno di Dio, per concentrarsi sempre più sull’uomo, sui suoi desideri, sulle sue aspirazioni, come se l’uomo fosse il nuovo dio che prende il posto di quello "vecchio". Domande incessanti, quasi tormentose, che abbiamo fatto a tanti anziani e degni sacerdoti, alcuni dei quali ci hanno ormai lasciati, perché quanto più si allontana l’evento del Concilio, tanto più scompaiono quelli che all’epoca erano abbastanza grandi da poter capire, se davvero lo volevano, ciò che tale evento in realtà significava nella storia della Chiesa, al di là delle trionfalistiche narrazioni che ne sono state date dai suoi fautori e che sono passate direttamente nella vulgata ufficiale, a cominciare dai testi di teologia, dai saggi storici e dai manuali scolastici di religione cattolica. Alcuni di quei vecchi sacerdoti, ne siamo certi, sono morti di angoscia e di dolore, rendendosi conto di come stavano in realtà le cose; ma avendolo capito troppo tardi, quasi alla fine della loro vita, e cioè quando un personaggio ormai apertamente eretico e apostata come il signor Bergoglio, insediato sfacciatamente sul seggio di san Pietro dalla massoneria ecclesiastica ha lasciato cadere ogni finzione e ha mostrato apertamente ciò che è la nuova chiesa "cattolica". Nel corso della nostra ricerca, ci siamo imbattuti negli articoli di monsignor Ernesto Zanin il decano dei parroci udinesi (Camino al Tagliamento, 1927-Udine, 2019), e li abbiamo letti con vivo interesse e con attenta partecipazione, cercando in essi la risposta alle nostre assillanti domande.

Scriveva dunque monsignor Ernesto Zanin sul numero del 26 luglio del settimanale diocesano udinese La Vita Cattolica, sotto il titolo Per una Chiesa che non scenda a patti con il mondo (elzeviro poi pubblicato in una antologia dell’Autore intitolata Un assenso ragionevole, Udine, La Nuova Base Editrice, 2006, pp. 17-20):

Mi è particolarmente piaciuto l’articolo di fondo, apparso sul nostro settimanale il 5 giugno u.s., nel quale viene riassunto l’importantissimo discorso che Giovanni Paolo II ha fatto nella vigilia dei Santi Apostoli Piero e Paolo, finanzio ai membri del Sacro Collegio e a tutti i collaboratori della Curia romana della Città del Vaticano e del Vicariato di Roma. Convengo nel ritenere tale discorso molto rilevante perché è una sintesi del cammino compiuto dalla Chiesa in questi ultimissimi tempi e, contemporaneamente, è una traccia sicura e ben stagliata per un cammino vigoroso e non incerto nel prossimo futuro.

Ebbene, vorrei evidenziare una frase che non bisogna lasciarsi sfuggire. Il Papa, osservando quanto è avvenuto dal 1965 in poi, dice: "Purtroppo, dopo il Concilio Vaticano II, si è fatta avanti una nuova ecclesiologia… che ha preteso di indicare alla Chiesa vie che non sono quelle del Concilio ecumenico Vaticano II".

Questa, a mio parere, è una analisi realistica della situazione.

Moltissimi guai sono sorti all’interno della Chiesa, come il crollo delle vocazioni sacerdotali, e religiose, la perdita del concetto di peccato, la perdita assoluta dell’idea di grazia santificante…, a causa non dei nemici esterni, non dello spirito del mondo, ma in conseguenza del venir meno della sana dottrina nell’ambito di coloro che, per missione, avrebbero dovuto predicare la verità di sempre.

Ho letto, con molto piacere, su "Il Sabato" del 12 luglio u.s. un articolo del padre Henri de Lubac, che, come si sa, è stato uno dei teologi più eminenti del Concilio. Egli dice chiaramente che i documenti conciliari sono stati monopolizzati da teologi il cui teologare partiva dal preconcetto di aggiornare la fede alle esigenze del mondo, allo scopo di emancipare la Chiesa da un presunto stato di inferiorità rispetto alla società moderna. Ne è nata così una scissione tra teologia ed esperienza cristiana, una separazione tra teologia e santità. In questo senso, il post-Vaticano II ha rappresentato la vittoria del protestantesimo all’interno del cattolicesimo.

È sorto, come sostiene l’autore, un paraconcilio che ha dato costantemente interpretazioni completamente diverse da quella che è la lettera e da quello che è lo spirito del Concilio; e queste interpretazioni — come si può bene osservare – sono entrate, mediante i mezzi di comunicazione sociale, un po’ dappertutto, nei seminari, nelle scuole di teologia, nei catechismi, nei tanti movimenti nelle comunità, nelle parrocchie… Così si parla di rivoluzione copernicana nella Chiesa; si esalta il nuovo solo perché nuovo; si dice che bisogna reinterpretare il contenuto della fede in funzione dei problemi nuovi che il mondo pone; si afferma che la comunità deve essere il luogo della creatività, dell’invenzione; si vuole distruggere il "sacro" come residuo di un tempo passato, e si crede che, sotto il preteso impulso dello spirito, ogni cosa che si fa o si farà, ogni atteggiamento o comportamento anche nel campo morale, non solo non sia condannabile, ma sia semplicemente il risultato auspicato e auspicabile di questa nuova realtà, verso cui bisogna tendere con tutta tranquillità e senza alcuna preoccupazione, a dispetto di un mondo do fede che, se era valido ieri, oggi non ha più né senso, né significato.

Ci sono anche nella nostra diocesi dei periodici che anche recentemente, hanno ospitato articoli, scritti da sacerdoti, in cui si nega la distinzione essenziale tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale; in cui si deride la vita interiore come un ritorno nel privato; in cui si dà per scontata la scomparsa di principi assoluti sui quali basarsi, per indicare invece il sorgere di modelli d’azione dalla stessa comunità, volta per volta, a seconda delle circostanze; in cui perfino la violenza, qualora sia indirizzata al cambiamento di questa iniqua società, trova la sua giustificazione.

Il male che si è prodotto dal 1965 in poi è incalcolabile. Si è voluto ridurre la Chiesa, che è madre e maestra di verità, a povera "sguattera", incerta e titubante, sempre ansiosa e complessata, desiderosa di apprendere dagli altri, in continua ricerca della verità, pronta a battere le mani al mondo dei potenti, ai partiti e a certi movimenti che vanno per la maggiore… Lo sconcerto che si è creato nei buoni è indescrivibile, lo smarrimento che si è diffuso ovunque è inimmaginabile, il calo della pratica della vita cristiana è visibile tutti i giorni sotto i nostri occhi.

Nonostante questo discorso, io non sono pessimista, perché so che il Cristo ha vinto il mondo… Il Concilio vero ha fatto tanto bene e il Signore, mediante lo Spirito Santo, ha effuso, dopo il Concilio e attraverso l’opera del Concilio, una grande quantità di doni… Qui non mi soffermo a descriverli… La ripresa in tutta a Chiesa è evidente, anche mediante quell’incomparabile domo di Dio e della Vergine Maria che si chiama Giovanni Paolo II. Ma ci vuole, nella sfera individuale e in quella ecclesiale, lo spirito di discernimento per scegliere le strade giuste e abbandonare quelle sbagliate; non bisogna assolutamente allontanarsi dalla tradizione, anzi è necessario farla crescere perché essa possa presentarsi, in tutta la sua validità, per la gente di oggi; occorre far rivivere tutti i principi del cristianesimo, come il principio ascetico, il principio sacramentale, il senso mistico della Scrittura, il principio della grazia.

La Chiesa deve qualificarsi specificandosi, non venendo a patti con il mondo; essa proclami, senza mezzi termini, la verità che possiede allontanando ogni timore di essere incompresa o di scandalizzare; proponga con energia, come faceva Gesù Cristo, il messaggio divino, nella certezza che è proprio quello che gli uomini, stanchi e avviliti per le troppe cose materiali, domandano ardentemente, perché assetati di infinito.

Da questa pagina di prosa, crediamo si possano evincere tre cose:

a) Monsignor Zanin era un onesto sacerdote cattolico e un perfetto galantuomo;

b) Era anche, purtroppo, un ingenuo, e lo diciamo con il massimo rispetto;

c) La sua analisi della crisi che attraversa la Chiesa era perfettamente lucida nei vari passaggi, ma del tutto illogica quanto alle conclusioni.

Partiamo dal primo punto. Da come scrive e da come ragiona, si percepisce in monsignor Zanin una santa preoccupazione per il bene delle anime e un ardente amore per la Verità, spinto fino allo sprezzo di quel che potrebbe dire il mondo, e che sicuramente avrà detto, nei suoi confronti; siamo assolutamente certi che alcuni passaggi del suo ragionamento, ad esempio questo:

Ci sono anche nella nostra diocesi dei periodici che anche recentemente, hanno ospitato articoli, scritti da sacerdoti, in cui si nega la distinzione essenziale tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale; in cui si deride la vita interiore come un ritorno nel privato; in cui si dà per scontata la scomparsa di principi assoluti sui quali basarsi, per indicare invece il sorgere di modelli d’azione dalla stessa comunità, volta per volta, a seconda delle circostanze; in cui perfino la violenza, qualora si indirizzata al cambiamento di questa iniqua società, trova la sua giustificazione,

devono avergli procurato non poche inimicizie; e sappiamo bene quanto sanno essere rancorosi e vendicativi i preti e i vescovi progressisti, quando prendono di mira qualche sventurato "tradizionalista": vedi come hanno trattato don Minutella ai nostri giorni. La fortuna di monsignor Zanin, se così vogliamo chiamarla, è di essere vissuto prima che la massoneria ecclesiastica, insediatasi al vertice della gerarchia ecclesiastica fin dal 1958, cioè dalla morte di Pio XII, gettasse la maschera in maniera ostensibile, come ha fatto dopo le forzate dimissioni di Benedetto XVI. Se quelle parole fossero state scritte o pronunciate nell’era di Bergoglio, il loro autore non l’avrebbe passata liscia: non gli sarebbe stato perdonato di avere apertamente criticato quella parte del clero che, nella pastorale specialmente, ha di fatto abbandonato i veri principi cattolici e si è gettato a capofitto in una spericolata operazione, quella d’introdurre gradualmente l’eresia nella dottrina per giustificare tutti gli eccessi e per rimuovere addirittura l’idea di peccato dall’anima dei fedeli: la più grave aberrazione cui mai si sia abbandonato il clero cattolico da quando esiste la Chiesa visibile, e ciò in forme sempre più audaci e sempre più generalizzate. Quando monsignor Zanin afferma, e siamo appena nel 1986, che molti sacerdoti deridono la vita interiore (non dice neppure: la vita spirituale, e meno ancora la vita di grazia, che è di natura soprannaturale; si limita a dire, come potrebbe dirlo un laico, la vita interiore, che è un’espressione assai meno impegnativa, tanto che l’osceno Alberto Moravia ne fa il titolo di uno dei suoi romanzi pornografici più abietti) come un ritorno nel privato, dice qualcosa che urta frontalmente contro tutto l’indirizzo progressista del neoclero, e in particolare quello della teologia della liberazione, la quale, esattamente come il marxismo, considera un ritorno al privato — e il senso di questo termine è chiaramente spregiativo — tutto ciò che non è impegno civile, lotta per la giustizia sociale e, se ne necessario, anche lotta armata e rivoluzione politica. E quando dice che codesti preti progressisti (anche se non li chiama così, ma è chiaro che si riferisce a loro) danno per scontata la scomparsa dei valori morali assoluti e riservano alla comunità di decidere, volta per volta, quali modelli adottar per stabilire cosa è giusto e buono e vero, e cosa non lo è, e quindi per decidere come agire e quali atteggiamenti assumere, egli sferra un attacco in piena regola contro la cultura del relativismo, che già allora stava penetrando largamente anche nelle file del clero, perché già diffusa e insegnata alla luce del sole nelle facoltà di teologia e nei seminari: ebbene non solo assume una posizione che, già al suo tempo, era controcorrente e guardata con sospetto, se non con vera diffidenza e ostilità, ma che, ai nostri dì, verrebbe sicuramente interpretata come un attacco contro la figura e l’opera (subdola e nefasta) del signor Bergoglio, massimo esponente ed instancabile banditore del relativismo etico: Chi sono io per giudicare?; e ancora: Quando ho un dubbio su cosa sia giusto, mi rivolgo alla mia coscienza (e non al santo Vangelo e al Magistero della Chiesa). E sappiamo bene come sia solito regolarsi quel signore, a parole quanto mai misericordioso, quando qualcuno si permette di criticare, anche solo indirettamente, il suo operato. Possiamo così giungere alla conclusione che monsignor Zanin era un vero galantuomo, cioè un uomo dalla schiena dritta e dalla parola franca; uno che sapeva infischiarsene delle critiche e delle mormorazioni e che non cercava la popolarità ad ogni costo, ma solo di piacere a Dio: il che, per un sacerdote, riteniamo sia il massimo riconoscimento e il massimo attestato di stima che gli si possa rendere.

Secondo punto. Monsignor Zanin ha visto in Giovanni Paolo II il provvidenziale difensore della verità cattolica contro la marea montante del relativismo e di un cattolicesimo progressista cripto-marxista, e lo ha contrapposto agli "eccessi" dei preti che vorrebbero allontanarsi dalla tradizione (e scrive tradizione con la lettera piccola, il che incrina irreparabilmente tutto il suo ragionamento: perché se stiamo parlando di tradizioni meramente umane, nulla di male vi è nel procedere a una loro revisione e a un loro costante aggiornamento); e, più in generale, vede chiari segni di ripresa nella Chiesa degli anni ’80, e ciò dopo aver detto, con molta franchezza, che gli abusi dottrinali, pastorali e liturgici del dopo Concilio hanno provocato un male incalcolabile. Ma Giovanni Paolo II è stato il papa che per primo ha trasformato l’ecumenismo in una cavallo di Troia per scalzare dall’interno, con la scusa del dialogo interreligioso, la sola Verità esistente: il Dio non è cattolico di Bergoglio trova nel pontificato del papa polacco le sue premesse e la sua giustificazione pratica e concettuale (e, prima ancora, nella Nostra aetate conciliare). Giovanni Paolo II è stato anche il responsabile della massima mondanizzazione della dimensione materiale della Chiesa, ponendo lo I.O.R. nella mani di prelati avidi e cinici, moralmente indegni, e coprendo le malefatte di uomini come il cardinale Marcinkus, che intrallazzava, a sua volta, con uomini come Calvi e Sindona; vale a dire che consentiva a che la Sposa di Cristo si contaminasse con la massoneria, con la mafia e con la finanza sporca, contraendo vizi e abitudini perverse, dai quali non si sarebbe più liberata. Tutto questo per reperire i fondi necessari a sostenere il sindacato polacco Soldarnosc’ e per portare avanti, sino alla vittoria completa, la sua crociata contro il comunismo. Ma a che prezzo! E intanto, all’interno della Chiesa, una bella fetta del clero, a cominciare dall’ordine più potente e prestigioso, la Compagnia di Gesù, sotto la guida del pessimo padre Arrupe (che oggi Bergoglio vorrebbe beatificare), faceva propria un’analisi critica della società che somigliava moltissimo a quella marxista: come dire che si combatteva un nemico alle frontiere, per poi aprirgli le porte e farlo entrare nella cittadella, sia pure dall’ingresso secondario. Infine, Giovanni Paolo II è stato il primo papa a spettacolarizzare oltre ogni limite della modestia e del buon gusto la propria figura e la propria immagine; il primo a incoraggiare un vero e proprio culto della personalità nei suoi confronti, specie per mezzo dei papaboys e delle Giornate Mondiali della Gioventù, la prima delle quali si tenne appunto nel 1986, e che notoriamente sono diventate non solo un momento di confusione pastorale e di promiscuità materiale, ma anche una sorta di occasione per incontri a carattere erotico e sessuale, del tutto contrari allo spirito di una vera manifestazione cattolica. Ma per monsignor Zanin, Giovanni Paolo II è stato un santo, un dono speciale di Dio e della Vergine Maria. Egli non ha visto nemmeno una delle sue gravissime responsabilità storiche nei confronti della degenerazione della fede cattolica; e questo non per conformismo o piaggeria, ma per una colossale forma d’ingenuità. Come poteva venire il male da quella parte, se il papa era un così zelante difensore della fede? E non pensava, l’eccellente monsignore, come non lo pensavano tanti, troppi cattolici, che inchinarsi davanti ai rabbini, invitare preti taoisti e stregoni pellerossa a pubblici eventi di carattere sacro, chiedere scusa in continuazione a questo e a quello, agli ebrei prima di tutti, poi a Galilei, ai protestanti, ai popoli indigeni, in nome delle passate colpe, vere o presunte, della Chiesa, sia verso le altre religioni che verso la scienza e la cultura moderna, fare tutto ciò in presenza di nemici implacabili, che non avevano mai sotterrato l’ascia di guerra e che anzi non attendevano occasione migliore per sfruttare al massimo le loro posizioni di vantaggio contro il cattolicesimo, equivaleva ad esporre a pericoli gravissimi la Sposa di Cristo, e tutte le anime che in esse avevano cercato e trovato un sicuro rifugio, forse dopo chissà quali sofferenza interiori e anche esteriori.

Terzo punto: le conclusioni. Monsignor Zanin afferma che

moltissimi guai sono sorti all’interno della Chiesa, come il crollo delle vocazioni sacerdotali, e religiose, la perdita del concetto di peccato, la perdita assoluta dell’idea di grazia santificante…, a causa non dei nemici esterni, non dello spirito del mondo, ma in conseguenza del venir meno della sana dottrina nell’ambito di coloro che, per missione, avrebbero dovuto predicare la verità di sempre.

Poi, però, trae la conclusione che tutto questi mali non vengono affatto dal Concilio, ma da quello che lui chiama "paraconcilio"; e dichiara di essere ottimista perché

il Concilio vero ha fatto tanto bene e il Signore, mediante lo Spirito Santo, ha effuso, dopo il Concilio e attraverso l’opera del Concilio, una grande quantità di doni.

Ma se il Concilio ha fatto tutto questo bene e se ha portato tutti questi doni, come mai, proprio dal 19065 — ed è lui stesso a indicare quella data — un male incalcolabile si è prodotto alla Chiesa e nella Chiesa? Se l’albero era così buono, come è possibile che abbia dato frutti tanto cattivi? Quale logica c’è nel dire che il Concilio è stato un evento così fausto e nel constatare che a partire da esso tanto male è entrato nella Chiesa? Da dove proveniva, allora, quel male, e come mai si è manifestato proprio a partire dal Concilio: non prima, né dopo, ma proprio dal 1965? Come mai, dopo un’analisi tanto lucida, una conclusione tanto illogica? La contraddizione è così evidente che lo stesso monsignor Zanin, a un certo punto, si vede costretto a usare l’espressione il concilio vero. Dunque c’è stato anche un "concilio" falso? Dunque ci sono due stati due concili, uno vero e uno falso, contemporanei, sovrapponibili, indistinguibili? Sembra proprio che egli si aggrappi a un dogma, che è questo: il Concilio non si tocca. È la stessa posizione di Giovanni Paolo II e, poi, di Benedetto XVI. Però, egli sostiene, bisogna reagire contro le degenerazioni delle riforme conciliari; degenerazioni che, a quanto pare, si sono manifestate subito, immediatamente. Che strano! Se una cosa è buona, come è possibile che degeneri all’istante? Un frutto sano non diventa putrido all’improvviso. C’è un processo, un arco di tempo durante il quale si manifesta la corruzione. Se marcisce da un minuto all’altro, forse tanto sano non lo era. Tale è la fatale contraddizione nella quale si viene a trovare chiunque voglia combattere lo spirito non cattolico che è penetrato nella Chiesa a partire dal 1965, ma, nello stesso tempo, voglia ostinarsi a difendere il Concilio, con tutte le sue riforme, i suoi documenti, i suoi punti qualificanti: dialogo col mondo moderno; principio della libertà religiosa; ricerca dell’unità con le Chiese separate, anche a prezzo della Verità. E si noti che monsignor Zanin parla sempre del Concilio, dei suoi documenti; e mai dei documenti dei pontefici preconciliari, né degli altri concili, a cominciare dagli ultimi due, il Concilio di Trento e il Vaticano I. Non è questa un’ammissione implicita che il Vaticano II ha fondato una nuova religione? Se fosse il cattolicesimo di sempre, come mai non si parla del Magistero pre-conciliare, a cominciare dall’enciclica Pascendi di Pio X, che scomunica il modernismo? Non è questa una conferma del fatto che chi ammira il Concilio Vaticano II, chi ne fa quasi la pietra miliare nella storia della salvezza, prescinde da ciò che la Chiesa aveva insegnato fino al 1965, o cerca d’interpretarlo in altro modo?

Ed ecco un’altra parola chiave, che ricorre sovente nel discorso di monsignor Zanin: interpretazione. Chi è vento dopo il Concilio, egli dice, ha male interpretato i suoi documenti. Forse è vero, ma resta un fatto innegabile: che fino al Vaticano II non c’è mai stato alcun bisogno di interpretare i documenti del Magistero, e ciò per un motivo semplicissimo: che i documenti del vero Magistero sono di per sé chiarissimi e non fraintendibili! Si prenda una qualsiasi enciclica, una qualsiasi lettera apostolica dei papi anteriori al 1958: non si potrà trovare una sola affermazione, un solo concetto, una sola frase, che si prestino ad essere interpretati in una maniera piuttosto che in un’altra. Le parole sono pesate bene, perfino le virgole sono studiate in modo da escludere ogni possibile malinteso. E poi arriva il Vaticano II, e lo si riconosce subito, dallo stile dei suoi documenti; che non solo è quanto mai lezioso e mellifluo, non solo è tutto buonismo e misericordia e dialogo e perdono, ma è anche sommamente e volutamente ambiguo. Ogni affermazione, ogni concetto, ogni frase si prestano a esser letti in diverse maniere. Ora, come pensare che ciò sia avvenuto per caso? Quando la Chiesa vuol parlare con chiarezza, sa come farlo; lo ha sempre saputo. Ma nel 1962-65 si riuniscono i vescovi di tutto il mondo e ciò che scrivono appare ambiguo, può essere interpretato in diverse maniere: e, di fatto, è proprio ciò che accade. Subito, immediatamente. Proprio come con i documenti ufficiali del signor Bergoglio; proprio come con Amoris laetitia, per citarne uno solo (e stendendo un velo pietoso testi e i discorsi non ufficiali, a cominciare dalle eretiche omelie di Casa Santa Marta). Strano, vero? È stano che la Chiesa non sia più capace di parlare ai fedeli con quella chiarezza che l’ha sempre contraddistinta, anche su materie di estrema delicatezza.

E allora che cosa pensare, se non che quella ambiguità è stata voluta, studiata, calcolata, proprio per rendere possibile, negli anni successivi, una progressiva operazione di distacco dalla vera dottrina e di lenta, graduale, abile falsificazione delle principali verità cattoliche, per mettere al loro posto delle falsità, delle menzogne e delle eresie, e creare così, senza averne l’aria, una nuova religione e una nuova chiesa, che si chiameranno ancora cattoliche, ma che di cattolico avranno ormai solamente il nome?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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