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Le false vie spirituali che hanno distrutto l’Occidente

La dimensione spirituale è inscritta nello statuto ontologico della persona umana: dire uomo è come dire spirito, e questo anche i più convinti materialisti sono costretti ad ammetterlo, perché l’uomo come puro animale non esiste. Quella variante del materialismo che è l’evoluzionismo sostiene che un tale essere non esiste al presente ma che è esistito in passato, e poi si è lentamente evoluto, sviluppando, in via secondaria e per così dire incidentale, alcune caratteristiche psichiche che, per convenzione, si sogliono chiamare spirituali. Il pensiero tradizionale parte da una prospettiva diametralmente opposta: non evoluzione, bensì involuzione; l’uomo attuale è il risultato di una progressiva discesa al di sotto di se stesso, di una progressiva perdita delle sue facoltà spirituali. Ed è questa la ragione essenziale per cui il pensiero tradizionale è così severo nel giudicare la civiltà moderna e, più in generale, il mito del progresso: perché vede la modernità come un cosciente, e perciò diabolico, distacco dell’uomo dalle sue radici, dalla sua natura, dalla sua essenza e dal suo fine, che è un fine di elevazione e di perfezionamento spirituale e non d’immersione nei suoi bassi istinti materiali, che lo spingono a cercare il successo, il potere e il piacere. Sia come sia, la spiritualità esiste e se viene inibita, repressa, negata, finisce per esplodere con forza tanto maggiore, ma assumendo forme deviate e indirizzandosi verso mete aberranti. Il che è quanto accade nel mondo moderno, dominato dalla tecnica e dall’idea di progresso illimitato. La spiritualità in esso è stata pressoché bandita dall’orizzonte esistenziale, ma si è presa un’amara rivincita ripresentandosi sotto mentite spoglie e spingendo l’uomo non a evadere dal carcere materialistico entro il quale si è rinchiuso, ma rafforzando le sbarre e murando gli ingressi, così da portare al culmine il suo straniamento e la sua pazzia.

Ma in quali forme la vera spiritualità, negata e rifiutata, diventa spiritualità patologica? Ciò avviene sotto vari travestimenti. Il più comune è la spiritualità invertita: si trasferisce la tendenza spirituale sugli oggetti della mitologia moderna, a cominciare dai beni di consumo, per arrivare fino ai suoi supposti "valori": nasce così e si sviluppa da un lato la mistica del denaro, del consumo, della propria immagine esteriore, dall’altro quella della ragione, della scienza, del progresso, e così via. Una forma meno comune, ma non meno esiziale, è la mistica fraintesa e deviata. Succede così: gli uomini moderni, impregnati di mentalità materialista ed edonista, cominciano ad annoiarsi, a provare un senso di claustrofobia nella civiltà che li ha prodotti; allora si guardano intorno cercando un surrogato alla loro insoddisfacente condizione esistenziale, e naturalmente non lo cercano nella propria tradizione, che è brutta e fa schifo ed è già stata bandita dalla cultura mainstream. Abituati a scegliere all’interno di quel che offre la modernità, proprio come un cosunatire che non arriva nemmeno a concepire che si possa fare la spesa in altro luogo che al supermercato, dove la merce è già pronta e inscatolata e inoltre costa poco, per esempio andando ad acquistare i generi alimentari presso un’azienda biologica, la maggior parte degli uomini moderni cerca sugli scaffali della spiritualità così come essa viene servita e confezionata all’interno della sua cultura, e cosa trova? Trova le varie spiritualità esotiche, orientali, dallo Yoga allo Zen, e senza scordare quelle dei popoli del Nord e del Sud America (vedi, in quest’ultimo caso, la grottesca introduzione del culto di Pachamama all’interno della ex chiesa cattolica del signor Bergoglio), e naturalmente le torva così come gli vengono offerte al supermercato del consumismo occidentale e non come sono realmente. E allora le prende, se ne ingozza, fa una grande scorpacciata e si crede d’aver trovato il modo di sfuggire all’infelicità e all’irrazionalità del modo di vita moderno: senza rendersi conto che le cose alle quali si è accostato sono solo dei miseri surrogati, delle malinconiche contraffazioni e che la loro funzione non è affatto quella di farlo evadere, ma di ricacciarlo ancora più addentro in quel mondo asfittico del materialismo e del consumismo, dal quale desiderava uscire, e crede in effetti di essere uscito. Tale è stato il dramma degli hippy nella seconda metà del Novecento.

Su questi argomento ci piace riportare l’opinione di un pensatore ed esoterista che fu discepolo, in qualche misura, sia di Julius Evola che dell’etnologo e orientalista Giuseppe Tucci: Massimo Scaligero (Veroli, Frosinone, 17 settembre 1906-Roma, 26 gennaio 1980), oggi poco ricordato, forse anche perché a suo tempo ostracizzato a motivo delle giovanili simpatie per il fascismo, e del quale ci siamo già occupati alcune volte (vedi i nostri articoli: Esiste un solo male, quello dell’anima, e la gratitudine è la terapia per guarirne, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 05/09/08 e ripubblicato su quello dl’Accademia Nuova Italia 19/08/17; e I veri termini della libertà del pensare, sempre sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 21/01/20). La pagina in questione è tratta da Zen e Logos (Teramo, Tilopa Editrice, 1980, pp. 30-32):

Certe bastonate e certi manrovesci avevano una funzione rettificatrice: talora illuminatrice. Come del resto certi scapaccioni sacrosanti che gli ammolliti genitori moderni in sanno più dare ai loro figli. Estratti di cactus, o di canapa, o di segale cornuta, mescalina, psilocibina, o altri ingredienti del’attuale psicochimica, possono, per un’azione fisiologica a cui è estranea la volontà del soggetto, portare al confine della percezione sensoria, là dove nel processo del percepire fluiscono forze più profonde della psiche ordinariamente non avvertite dalla coscienza, proprio perché la percezione sia normale e dia quel materiale su cui deve operare il pensiero: alla ci qualità e alla cui ascesi spetta la possibilità di scendere in quella profondità e conquistare in forma lucida e volitiva ciò che subconsciamente si verifica entro il percepire. Come dicevamo più sopra, questa acesi del pensiero, proprio in quanto apre all’anima il contatto con le sue forze sovrasensibili, è una via morale. La via della mescalina è una via immorale, perché non apre il varco al sovrasensibile, scambiando per tale il sub-sensibile: in tal senso esercita un’influenza orientatrice su tutti gli spostati spirituali che aspirano a un metodo rapido per diventare veggenti, o mistici, o fascinatori di donne, un metodo che consiste nell’ingerire una sostanza e aspettare gli effetti di essa, salienti dall’organismo.

Da un processo sensibile, dunque dovrebbe sorgere un evento sovrasensibile, senza che il soggetto ci metta nulla di suo, perché la sostanza è fornita dalla natura o dallo speziale, e gli operatori sono lo stomaco, i succhi gastrici e gli intestini. Uno si mette su una poltrona e aspetta: dopo un po’ vede fiumi di gemme, soli aurei, montagne cristalline, praterie luminose. Li vede, ma non ci sta dentro. Ne riporta una sensazione piacevole, alla quale poi ama ritornare. Interessante come esperienza psico-chimica, utile indubbiamente agli psichiatri per la cura di casi di nevrosi o isteria: ma che ha che fare questo con lo Zen, che tra l’altro si può dire l’arte della pura immediatezza, ossia del lucido liberarsi di ogni mediazione non solo fisica, ma anche metafisica? Come è possibile una simile distorsione? Scambiare un "vedere" che è il semplice stare come inerti spettatori, condizionati da un estratto di cactus, ad aspettare la percezione del Tao, è semplicemente ridicolo. Perché quel vedere si svolge non a un livello sovrasensibile, ma in quanto condizionato dalla sfera corporea, sub-sensibile, nel senso che, secondo il Buddhismo Zen, il mondo percepibile non è una realtà assoluta, ma un modo del manifestarsi dell’essere, che sta tra un mondo più alto e uno inferiore, uno in alto e uno in basso, in un sopramondo e in un mondo infero: ambedue non coscienti all’uomo. Onde con facilità l’uomo moderno pone nello inconscio mescolati l’uno e l’altro. Ma occorre non dimenticare che è sempre l’inferiore che tende a ridurre al proprio livello ciò che è superiore: è proprio un giuoco del mondo infero far sì che l’uomo confonda i due, onde ogni esperienza extra-normale venga scambiata per esperienza spirituale.

Esperienza spirituale è solo quella per cui ‘anima si trasforma per virtù di più alte forme del’anima e, superando la visione egoica, immette nel mondo la conoscenza e la compassione. Solo una luce interiore, coscientemente e con strenuo sforzo conseguita, può diventare fraternità. Tale luce non è gratuita, non può venire per ingestione di sostanze suggerite da brillanti "zenisti" da salotto. Indubbiamente vi può essere chi abbia la sua esperienza interiore mediante la mescalina: ognuno è libero di usar ei mezzi chimici che vuole, per scuotere il corpo fisico e trarne brani di extra-sensibile; ma allora non deve parlare di Zen. Perché la esperienza interiore non l’ha direttamente, come pura immediatezza, conseguita per insistente volontà ascetica, ma MEDIANTE il corpo, rendendo il corpo mediatore di ciò che il corpo non può mediare senza essere già nel quadro della psicopatologia, perché il corpo è qui per mediare l’esperienza terrestre, o esperienza sensibile, dalla percezione della terra e del cielo a quella degli spaghetti all’amatriciana con tartufi. Al corpo in quanto organismo fisico non interessa il sovrasensibile, perché ne è tutto strutturato. Il corpo non ha niente da conoscere, perché ha tutto in sé: il suo operare secondo il Tao consiste nello stare armonicamente nel sensibile per fornire il giusto materiale al pensiero e alla coscienza, che soli, ove si avvivino della loro indialettica forza, ricongiungono col sovrasensibile.

A queste giuste e sensate osservazioni si potrebbe aggiungere che quando una persona, per sfuggire alla noia e al grigiore di una società che nega il bisogno profondo di spiritualità, imbocca le scorciatoie sopra descritte, non solo si allontana dalla vera spiritualità, che è sempre conquista interiore, cosciente e operata dalla volontà, per abbrutirsi con pratiche degradanti come l’assunzione di droghe dalle quali spera un’improbabile liberazione o un’ancor più improbabile illuminazione, ma si mette per una strada che è diametralmente opposta a quella desiderata, e cioè persegue la distruzione della spiritualità. E quando un essere umano ha distrutto in se stesso la dimensione spirituale, è regredito ad una condizione sub-umana, dalla quale difficilmente è possibile tornare indietro. Una società, poi, nella quale un discreto numero di persone si metta per tale via, è una società che prepara la propria distruzione, che avverrà nella forma più terribile: non per effetto di un complesso di vicende storiche, come quando la civiltà greco-romana giunse alla fine e crollò su se stessa, ma per effetto di una auto-distruzione interiore, il che la rende simile a un inferno popolato non più da esseri umani, ma da demoni. Infatti, per l’uomo regredire al di sotto di se stesso equivale a rinunciare al proprio statuto ontologico, che non può essere quello di un semplice animale, perché lo statuto dell’animale è altra cosa, ma quello di chi, pur avendo in sé la scintilla dello spirito, ha voluto spegnerla e quindi cessare di essere ciò che era, per diventare un essere diabolico, cioè un essere che sceglie il male dell’auto-degradazione. Fra l’altro, mancandogli del tutto i presupposti culturali per comprendere le altre tradizioni spirituali, l’uomo materialista e consumista prenderà dei gravissimi abbagli nel dedicarsi allo Yoga, allo Zen, al Tao, ecc. Come potrà capire che la spiritualità, per un occidentale, è sinonimo di trascendenza, mentre per un buddista, ad esempio, è sinonimo di interiorità, sì, ma non di trascendenza nel senso che noi intendiamo, e se è per questo neppure d’immanenza, perché il pensiero orientale è non duale e non oppositivo? E come fargli comprendere che l’uso di droghe allucinogene, che ha un significato in alcune culture e in alcune tradizioni extra-europee, non ha niente a che fare con lo "sballo", niente a che vedere con l’evasione dalla realtà presente, ma è una forma di conoscenza, o meglio, un aiuto alla conoscenza della dimensione interiore? In equivoci grossolani sono caduti perfino dei seri studiosi di quelle tradizioni, figuriamoci i rischi che corre la persona incolta e superficiale. Se si pensa che un cultore della Tradizione come Julius Evola ha scritto un intero libro, Lo Yoga della potenza, che già dal titolo rivela questa grossolana incomprensione, poiché lo Yoga è tutto fuorché uno strumento per potenziare il proprio io, si avrà un’idea di quel che accade quando le spiritualità esotiche vengono praticate senza adeguata preparazione. In ogni caso, per le società occidentali la risposta al drammatico bisogno di spiritualità non può venire dall’imitazione di modelli estranei alle loro radici. Una pianta malata deve essere curata lasciandola nel terreno da cui è germogliata, non trapiantandola altrove; le sostanze vitali delle quali ha bisogno non possono venire che da quelle zolle, da quell’aria, da quell’acqua. Le radici delle nostre società sono nella Tradizione cristiana, che fra l’altro è la sola Tradizione veramente universale ("cattolica", appunto), quindi la sola che merita di essere considerata come la Tradizione, senza specificazioni. È lì che bisogna tornare, è da lì che si deve ripartire, e da nessun altro luogo. Non c’è salvezza, per noi, che tornare a Cristo; come non c’è salvezza per gli uomini che tornare all’uomo, rinunciando ai folli progetti di affiancargli l’intelligenza artificiale, per poi sostituirlo con una vita artificiale. La civiltà moderna è l’ostacolo, perché è una civiltà anti-umana, come hanno visto le anime grandi e le menti superiori (ne citiamo due: Kierkegaard e il nostro Cornelio Fabro). Nietzsche, suo malgrado, l’aveva intuito: perciò aveva escogitato l’azzardo disperato dell’oltre-uomo. Ma è stato un fiasco; e aveva intuito anche questo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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