
Mai così in basso: reclusi, terrorizzati, colpevolizzati
12 Aprile 2020
Ci resta la “nuda vita”, certo. Ma per fare cosa?
14 Aprile 2020Immaginatevi un grandioso edifico, nascosto dalle case delle strette vie circostanti; una chiesa, per esempio. Voi percorrete quelle stradine, fiancheggiate da alti muri, e poi, di colpo, vi trovate davanti a un duomo, a una cattedrale: ci eravate vicinissimi, e tuttavia non ne avevate affatto immaginato la presenza. Il suo campanile non arriva a svettare sopra i tetti, non c’è una piazza che la precede, né alcun altro indizio che la faccia presagire: in pratica ci siete andati a sbattere contro, all’improvviso. Per fare un esempio a noi caro: state percorrendo la via centrale di Tarcento, ridente cittadina posta sulle falde verdeggianti delle Prealpi Giulie: prendete l’ultima laterale a destra prima di sboccare nella piazza, poi svoltate a sinistra, vi destreggiate fra vecchie case e brusche cantonate, poi imboccate una via lunga e stretta e la seguite finché, a un certo punto, piega ad angolo e ritorna verso il ponte sul fiume Torre; ed ecco che a un tratto, stupiti, vi accorgete d’esser giunti alle spalle e più in basso del massiccio duomo settecentesco di San Pietro Apostolo: non di fronte, ma proprio alle sue spalle, e per ammirarne la facciata dovete girargli attorno. Questo, beninteso, se non conoscete quei luoghi, non vi siete muniti di una piantina o una guida turistica e vi piace andare un po’ alla ventura, senza domandare informazioni a ogni persona che incontrate. Ebbene, la stessa cosa capita con certi scrittori vissuti magari solo una o due generazioni fa e che hanno lasciato una vasta produzione: assai conosciuti al loro tempo per aver inondato il mercato con decine di migliaia di volumi, anche tradotti nelle lingue straniere; e poi scivolati nell’oblio, loro e le loro opere, con una tale rapidità da aver fatto in tempo a sperimentarla in prima persona: da essersi accorti che il mondo li aveva già dimenticati, mentre erano ancora in vita. Questo è tipico delle epoche di brusco trapasso da un sistema di pensiero e di valori a un altro: gli uomini che hanno la ventura di vivere in simili epoche si trovano come sospesi fra due mondi distinti e non comunicanti, addirittura incompatibili. Arrivano a un certo punto della loro vita e si rendono conto che tutto quanto hanno ricevuto nell’infanzia e nella prima giovinezza, è stato rigettato dalla società; che la cultura da essi appresa, e soprattutto il modo in cui l’hanno appresa, coi suoi presupposti intellettuali e spirituali, sono stati interamente accantonati; e nessuno più vi fa cenno, se non per metterli un po’ in ridicolo, come si fa quando si parla dei vestiti della nonna o dei giochi dei bambini di cinquant’anni prima; in breve, che il mondo nel quale si son trovati a vivere non ne vuole più sapere di ciò che il mondo di ieri, per usare l’espressione di Stefan Zweig, aveva loro insegnato e che aveva raccomandato di conservare con cura e di tramandare a loro volta. Si accorgono di essere fuori posto; non per aver fatto qualcosa di avventato o di sbagliato, ma semplicemente per essersi trovati a vivere in un’epoca di rapido passaggio. In altre parole, la storia si è presa gioco di loro: li ha addestrati per un altro genere di guerra, li ha istruiti per affrontare un altro tipo di vita: poi si è scordata di loro, e li ha lasciati da un lato. Ed ora essi sono lì, in disparte: sanno di essere incolpevoli, e tuttavia provano un sottile senso di colpa per il fatto di esistere, di occupare, nonostante tutto, uno spazio in questo nuovo mondo che non sa che farsene di loro. Sanno anche di aver fatto ogni cosa come andava fatta, e quindi di non aver nulla da rimproverarsi, in tutta coscienza; ma guai se si permettessero di dire al mondo che non loro, ma lui ha cambiato direzione di marcia; che non loro, ma lui ha dato loro l’indirizzo che oggi viene giudicato erroneo e antistorico; che non loro, ma lui si è rimangiato le sue stesse parole e ha disconosciuto i suoi stessi gesti. Questo, il mondo non lo perdonerebbe loro. Può chiudere un occhio sul fatto che esistono, purché parlino sempre a bassa voce e si muovano con passi furtivi, salvo augurarsi che la morte se li porti via in fretta, come ci si augura che una vecchia casa resti quanto prima disabitata, per poterla abbattere e far posto a un edificio assai più moderno e più redditizio per i costruttori; ma tollerare che essi dicano a voce alta le loro ragioni, che puntino il dito contro di lui, che accusino la società d’incoerenza e molta, troppa gente di opportunismo, ciò sarebbe un delitto davvero inescusabile.
Questa premessa può sembrare un po’ lunga, tuttavia crediamo che fosse necessaria, per introdurre la figura di uno scrittore il cui nome oggi non dice niente ad alcuno: Celestino Testore, un sacerdote piemontese conosciutissimo fino all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, per aver firmato una quantità impressionante di libri, biografie storiche e apologetiche e soprattutto romanzi avventurosi, tanto da poter essere considerato un Emilio Salgari cattolico e missionario, poiché quelle storie erano ambientate immancabilmente in remoti e misteriosi paesi esotici ed erano pubblicate da una società editrice missionaria. Nato a Biella il 18 gennaio 1886, venne ordinato sacerdote a Novara il 24 dicembre 1916, la vigilia di Natale, che per l’Italia era il secondo Natale della guerra mondiale 1915-18, per poi tornare alla casa del Padre l’8 novembre 1973, a Cuneo, alla bella età di ottantasette anni. Era entrato nell’Ordine di Sant’Ignazio di Loyola e aveva esercitato svariate attività negli istituti dei gesuiti; ma soprattutto aveva scritto varie decine di libri, i manuali prevalentemente con la Paravia e i romanzi quasi tutti pubblicati dalla casa editrice Missioni della Compagnia di Gesù, precisamente nella collana Impero, essendo romanzi ambientati nelle missioni cattoliche sparse nei cinque continenti. Fra questi ultimi, scegliamo quasi a caso i seguenti, senza seguire l’esatto ordine cronologico: L’incubo della tenebra (1943); Om mani Padme um (1951), Il brivido del sepolto vivo, dagli echi quasi alla Carolina Invernizio (con un uomo avvolto nelle spire di un enorme serpente nel disegno di copertina, sempre del 1951); Buby. Scene ed avventure sulla Costa degli Schiavi (1954), Il grido degli Hau! Hau! (1959), Cuor di fanciulla (1961) I figli delle selve (1961), L’oro degli Incas (1961); e poi ancora Il diamante incastonato, L’oro del Klondike, La vergine della foresta, Sui campi di Fiunga, L’astuzia di Bahadù, L’antro nella foresta, Fior di loto, La vendetta dello schiavo, L’odio dell’abuna, L’incendio della prigione, Il nipote dello spirito marino, Tra i ceppi di Abdullahi, L’isola del mistero, Il maleficio di Tauri, Il feticcio del Dahomey, L’occhio del giaguaro, Sotto l’artiglio del leopardo, La vittima del Yucatan, Il rogo dei diavoli rossi. A questi romanzi bisogna aggiungere le biografie di santi e di missionari: I beati martiri canadesi della Compagnia di Gesù (1925, più volte ristampato), San Bernardino Realino, s. j. (1942), Suor Maria Gabriella (Maria Segheddu), trappista (1958), Chiamatemi Dolores, memorie di una lebbrosa (1958) La perfezione della virtù: Giovanni Berchmans (1965), Un portinaio santo: fratello Francesco Garate; e poi San Stanislao Kostka della Compagnia di Gesù, Il primato spirituale di Pietro difeso dal sangue dei martiri inglesi, Luci d’artista a Torino. Segue la lunga lista dei manuali di religione, filosofia e pedagogia ad uso scolastico, scritti a quattro mani con don Cesare Borla, e in primo luogo la fortunatissima serie dei manuali di religione per la scuola media inferiore e per i diversi indirizzi della scuola media superiore scuola media, in tre volumi ciascuno, più volte ripresi e modificati: Lux Christi (Loescher, 1931), Dio nella vita dell’uomo (Paravia, 1932), Sapienza eterna (Paravia, 1945), Lumen Vitae (Paravia, 1940), Il regno di Dio (Paravia, 1943), Parole di vita eterna (1959), I sommi veri (1960), Luce di verità e di vita (1965); Rivelazione e Ragione (1965), alcune delle quali arricchite dalle tavole dallo stile sobrio ed essenziale, ma suggestivo, del pittore Carlo Nicco (Torino, 18 ottobre 1883-ivi, 12 gennaio 1973), uno dei più noti illustratori di libri per la gioventù; e l’elenco è ancora incompleto. Infine, sempre con don Borla, Filosofia e Pedagogia (Paravia, 1932), Manuale di storia della Pedagogia (Paravia, 1935), Il Santo Evangelo (S.E.I., 1944).
C’è da dire che padre Testore non soffriva il complesso dell’uomo bianco nei confronti del colonialismo e tanto meno quello del cattolico rispetto alle altre religioni: nelle sue storie avvincenti, piene di colpi di scena ma ispirate a una sana visione cristiana della vita, col suo senso del dovere e la sua disponibilità al sacrificio, né il bianco si vergogna di proporsi come portatore di civiltà presso i popoli di colore, né il prete cattolico prova il benché minimo imbarazzo ad evangelizzare e battezzare i pagani, dopo aver lottato strenuamente per sottrarli alle loro false religioni e, sovente, ai loro riti superstiziosi e crudeli. Osiamo anzi pensare che, se una spiegazione razionale per il rapidissimo oblio delle opere di questo prolifico sacerdote scrittore esiste, questa non può trovarsi che nella impostazione missionaria che egli dà alla propria narrativa; impostazione che perfettamente in linea con quella del suo tempo, diciamo fino alla Seconda guerra mondiale, ovviamente fascismo compreso, ma che poi, nella seconda metà del secolo e soprattutto con l’avvento del clima conciliare, è apparsa improvvisamente come un qualcosa di obsoleto e perfino di negativo, che andava rimosso e possibilmente scordato. I personaggi cristiani, e soprattutto i sacerdoti, sono presentati in una luce affascinante, affabili, umani, ma anche decisi e sicuri della verità che portano in sé; fra i pagani ci sono le ombre e le luci, né mancano gli stregoni malvagi e gl’indigeni sleali e traditori. Coi maomettani, poi, la partita si gioca a carte scoperte: sono due fedi inconciliabili e storicamente sempre in lotta; altro che dialogo interreligioso, islam religione di pace e comuni radici abramitiche. Queste son cose che sarebbero venute dopo, col Concilio appunto e specialmente con la dichiarazione Nostra aetate.
Vi sono dei passaggi, nei romanzi avventurosi di padre Testore, che avranno fatto letteralmente inorridire i gesuiti della nuova generazione e tutti i bravi cattolici progressisti inebriati dalle nuove parole d’ordine conciliari del dialogo e dell’ecumenismo. Nei due volumi Il grido degli Hau!Hau! e L’inganno del Maoro, ad esempio (volumi 18 e 19 della serie), ambientati nella Nuova Zelanda del XIX secolo, gli indigeni sono presentati come infidi, traditori e cannibali, e i bianchi come intrepidi civilizzatori. La base storica è reale, ma, è chiaro, urta frontalmente contro il mito del Buon Selvaggio che le correnti postconciliari, specie la teologia della liberazione, hanno ripreso dall’illuminismo e posto a fondamento della loro nuova idea di evangelizzazione: quell’idea che porta il vescovo Kräutler, al Sinodo per l’Amazzonia del 2019, a vantarsi di non aver mai battezzato un indigeno in tutta la sua vita di missione, e di non volerlo fare neanche per il futuro (cfr. i nostri saggi L’uomo e la malvagità, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 03/07/07 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 22/03/18, e La guerra antimissionaria e antibritannica dei Maori della Nuova Zelanda, 1865-72, rispettivamente il 14/01/09 e il 30/11/17). E Testori, come tutti i missionari prima del Concilio, non trova che sia anticristiano difendersi anche con le armi, quando si è minacciati di venir massacrati e messi in pentola dagli antropofagi. Nel citato Il grido degli Hau! Hau!, gli inglesi reagiscono al tentativo dei Maori d’impadronirsi a tradimento della loro nave per sterminarli tutti e poi divorarli (Edizioni Missioni della Compagnia di Gesù, Venezia, 1959, pp. 97-100):
La conversazione del capitano con i capi fu brevissima. Due camerieri potarono due casse di bottiglie di rum, che vennero offerte gentilmente agli ospiti, i quali si mossero come per tornarsene via.
Improvvisamente il capo trasse da sotto la cintola un’accetta, rimasta fino a quell’istante nascosta sotto l’ampio mantello, e con una mossa fulminea l’abbassò sulla teta del capitano, lanciando un urlo strano, simile all’abbaiare del cane selvatico: "Hau… hau… hau…"
L’urto del capo fu seguito dal medesimo urlo di tutti gli indigeni sul ponte e nelle canoe ; in un attimo tutte le imbarcazioni si strinsero attorno alla nave e i selvaggi cercarono di arrampicarsi con tutti i mezzi.
La scena fu così rapida che Morton non fece in tempo ad evitare l’assassinio del capitano; ma non appena il corpo della vittima fu steso sul pavimento con la testa squarciata, anche quello del selvaggio traditore stramazzò accanto a lui fulminato da un colpo di rivoltella.
I fucili crepitarono, facendo eco ad un secco ordine di Morton, il quale a sua volta sventagliava implacabilmente i colpi della sua arma infallibile; e quando la rivoltella fu scarica più nessuno degli indigeni, che erano saliti col capo, restava vivo a poppa della nave.
Gli altri selvaggi, impauriti, s’erano ritirati a prua. Ma erano numerosi, troppo numerosi, e dopo qualche istante di esitazione, spinti da quelli che sopraggiungevano arrampicandosi furibondi sul ponte, accennarono a riprendere l’assalto. Non potevano lanciare le loro fecce avvelenate, perché non avevano spazio per maneggiare gli archi, ma procedevamo brandendo coltelli e accette.
Inferiori per numero, i bianchi compresero però il vantaggio che veniva loro dal non doversi difendere dalle frecce, ma capirono pure che tutto dipendeva dalla rapidità dell’azione: non bisognava concedere all’avversario il tempo di riversi dallo scompiglio.
Morton comandò a due marinai di salire ai cannoncini appostati presso l’albero di poppa, e di vomitare su quelle canaglie parecchie cariche bene assestate; egli intanto con i suoi avrebbe cercato di tenere indietro e addensare a prora le frotte dei nemici, perché l’effetto dei cannoncini fosse più rapido ed efficace.
– Noi miriamo sempre ai primi che abbiamo di fronte: carichiamo e scarichiamo le armi senza posa, e non permettiamo a nessuno di muovere un solo passo verso di noi! -, ordinò ai compagni.
Gli ordini furono eseguiti, e i cannoncini colpirono in pieno quella massa che si agitava nella rabbia dell’impotenza, e vi disseminarono una strage orrenda. Quelli che non furono colpiti a morte si buttarono in mare, scomparendo dapprima fra le onde per ricomparire poi più lontani e aggrapparsi all’orlo di qualche canoa, come a una ancora di salvezza. Ma quelli che non avevano ancora assaggiato il piombo, perché non erano riusciti a salire, non si perdettero d’animo per la sconfitta dei compagni, ed eccitandosi coi loro latrati di guerra, urlati da tutte le gole insieme, si spinsero sotto per prendere il posto dei primi.
Eh, caro padre Testore: così non va, proprio non va. Non solo presenti i Maori come traditori, assassini e cannibali; non solo li chiami "selvaggi" e "canaglie", e definisci le loro grida di guerra dei "latrati"; ma li fai prendere anche a fucilate e addirittura a cannonate da quei marinai che, evidentemente, avrebbero dovuto lasciarsi scannare tutti quanti, in omaggio al politicamente corretto del pensiero progressista. Se non altro per non incrinare l’immagine idilliaca, oggi tanto cara al signor Bergoglio, di un’umanità primitiva felice e innocente, come se il Peccato Originale non l’avesse mai sfiorata, che vive nel grembo della Madre Terra in perfetto equilibrio con essa e che non sa che farsene della civiltà dei bianchi, e meno ancora del loro Vangelo. Figuriamoci se un tal modo di pensare poteva essere tollerato dai valenti seguaci della svolta antropologica e dai paladini della inculturazione, ad esempio da quei cattolici che amano fare il presepio mettendo la statuita di un Gesù africano, e naturalmente di una Maria Santissima meticcia, come del resto meticcio – parola di Bergoglio — era anche il suo Figlio, non si sa poi quanto divino, probabilmente neanche un poco, come afferma il teologo più amato presso la Casa Santa Marta, Enzo Bianchi. E quanto al fatto che i marinai europei, per salvarsi la vita, non esitano ad imbracciare le armi contro l’assalto proditorio degli indigeni, vengano a criticare padre Testore quei valorosi sacerdoti dei nostri giorni i quali hanno mostrato una tal paura di contagiarsi con il Covid-19 e di poter morire, da non aver esitato a chiudere al culto le loro chiese e negare i Sacramenti ai fedeli. E se è vero che molti si son visti costretti a farlo, è anche vero che molti altri lo hanno fatto ben volentieri e con piena convinzione: tanto può in essi l’amore della vita terrena e tanto poco agisce in loro l’amore della vita di grazia. Si vede che il gesto spontaneo di padre Cristoforo, di farsi mandare dai suoi superiori proprio là dove infuriava la peste, per assistere i malati, forte della sua fede in Dio, oggi non sarebbe visto di buon occhio dai suoi confratelli ecumenisti e progressisti. Senza dubbio lo accuserebbero d’incoscienza, d’irresponsabilità e probabilmente lo denuncerebbero alle autorità civili affinché riceva la punizione spettante ai cattivi cittadini…
Questa, crediamo, è la vera ragione del fulmineo oblio che è calato sulla vastissima produzione letteraria di padre Celestino Testore. E poco importa se milioni di giovami hanno studiato la religione cattolica sui manuali scritti da lui con padre Borla: anzi, meglio ancora. Perché in quei manuali la religione cattolica è esposta in maniera assertiva, sul modello del Catechismo di san Pio X, e non in maniera aperta e dialogante: non vi si dice che tutte le religioni vanno bene e che non c’è niente di male ad introdurre la dea Pachamama nella basilica di San Pietro, sulle spalle dei vescovi "cattolici", affinché il "santo padre" le impartisca la sua ecumenica benedizione. Quanto a quei giovani, che hanno studiato la dottrina cattolica su quei libri, che hanno sognato le terre di missione leggendo quei romanzi, tanto peggio per loro. Contrordine, compagni: la dottrina cattolica non è più quella, e neanche le missioni sono più quelle. Aggiornatevi, per favore. Si vede che siete delle persone dure e rigide, e che non vi siete lasciati scaldare il cuore dallo "spirito" del Concilio Vaticano II…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash