E. Balducci: il Concilio visto dai cattolici progressisti
1 Aprile 2020Uomini piccoli e uomini grandi
3 Aprile 2020Che un atteggiamento di malevolenza preconcetta verso il sacro, e verso la religione cattolica in particolare, sia tipico della cultura di sinistra, è cosa ovvia e risaputa. Meno noto, o forse meno esplorato, probabilmente per amore di quegli schematismi che semplificano alle gente la fatica di pensare, è che un analogo atteggiamento esiste anche in molti settori della cultura di destra. Ciò significa non solo che il veleno dell’illuminismo, nel corso del tempo, si è depositato in quasi tutti gli spazi culturali, in maniera equanime e trasversale, ma anche che lo spirito della modernità, quintessenza di ciò che è irreligioso, materiale e pragmatico, ha sedotto anche tanti intellettuali di destra, i quali, in teoria, dovrebbero essere i custodi della tradizione e quindi avere un ben diverso approccio alle cose del sacro e della fede. E non stiamo parlando dei cultori di una Tradizione pagana che si contrappone ideologicamente alla Tradizione cristiana, in nome di un esoterismo che accetta, al massimo, un Vangelo di tipo gnostico, ma non certo quello dei piccoli e dei semplici; parliamo anche di quella destra che a parole difende gli spazi del sacro, e quindi anche il cattolicesimo, ma in pratica tradisce continuamente una serie di prevenzioni, di supponenze, di superficialità quasi triviali, che si crederebbero appannaggio della cultura di matrice marxista, mentre invece sono l’abito mentale anche di molti intellettuali di destra.
Il discorso sarebbe troppo lungo e ci porterebbe troppo lontano; ci riserviamo di riprenderlo in altra occasione. Per adesso ci limitiamo ad osservare che mentre esiste una cultura di sinistra (e pazienza se la cultura, quella vera, ovviamente non sopporta etichette ideologiche di alcun tipo), non esiste una corrispettiva cultura di destra: esistono una serie di sotto-culture, di recinti, di orticelli, di cani sciolti, ciascuno dei quali va per conto suo e dove ciascuno si sente un libero e felice battitore. Ciò dipende dal fatto che la parabola e la fine drammatica del fascismo, nonché la negazione di quella esperienza da parte di tutti i salotti buoni della cultura, ha fatto sì che un intellettuale italiano di destra soffre di tutta una serie di complessi che non hanno i suoi omologhi europei, tranne forse i tedeschi, dove il rifiuto e la negazione sono stati anche più radicali (in Germania è facile che un tale cane sciolto incorra nel reato penale di negazione della Shoah e venga ridotto al silenzio per via giudiziaria), ma proprio per questo le cose si sono chiarite in maniera radicale. In Italia, invece, le ripercussioni non tanto del 25 luglio 1943, quanto dell’8 settembre, non si sono ancora esaurite e hanno seminato ambiguità, ipocrisie e perfidi sottintesi non solo nella cultura dominante, ossia quella di sinistra (con l’appendice subordinata di quella catto-progressista, oggi ideologia ufficiale del clero ex cattolico di Bergoglio), ma anche in quella di destra, di per sé marginale sia perché ghettizzata, sia perché ferocemente divisa al suo interno. In particolare, è proprio il cattolicesimo a fare da pietra dello scandalo nello stagno gracidante di tutti questi gruppi e gruppetti i quali, fra loro, si detestano di tutto cuore, perfino più di quanto detestino la cultura egemone di sinistra (intramontabile vizio italico: piuttosto i nemici esterni che gli "amici" interni!) in quanto fa emergere le insanabili contraddizioni interne della cultura di destra. Il perché lo abbiamo accennato e del resto ci sembra evidente: se c’è una cultura (qui parliamo di cultura e non strettamente di religione) che ha tutte le carte in regola per contrastare frontalmente quella di matrice marxista, in Italia, senza ombra di dubbio è quella cattolica, il che ne farebbe il punto di riferimento imprescindibile per tutti gli intellettuali che si oppongono al marxismo e ai suoi derivati nonché ai suoi antenati, primo fra tutti il liberalismo — e se qualcuno non è persuaso che il marxismo sia figlio legittimo del liberalismo, osservi come si sono prontamente riciclati gli ex comunisti italiani non appena il comunismo è caduto a livello internazionale, saltando sul carro del turbo-capitalismo e, in politica estera, dell’americanismo e dell’ultra europeismo (senza neppure accorgersi che le due ultime cose fanno a pugni tra loro). E invece no: sia per la sopravvivenza, durissima a morire, di un’area perennemente affascinata dalla Tradizione romana e pagana, che vede il cattolicesimo come il fumo negli occhi, sia per l’ambizione di molti intellettuali di destra di presentarsi non come eredi dell’ideologia fascista, ma di quella liberale, col che diventano automaticamente compagni inconsapevoli, e perciò tanto più insipidi ma anche pericolosi, dei loro avversari di sinistra, tutti insieme felicemente riuniti sotto l’ombrello del consumismo e nell’orizzonte dello stile di vita americano, oltre che arruolati nella difesa a oltranza, sempre e fino all’ultima cartuccia, del buon diritto di Israele a esistere, che poi, tradotto in pratica, significa del diritto di Israele a tramare, complottare, destabilizzare il modo intero, per coltivare in segreto il suo antichissimo sogno di gloria e di potenza universali (cfr. il nostro articolo: Theodor Herzl voleva che Israele, con la pulizia etnica, si estendesse dal Nilo all’Eufrate, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/12/17). Sia come sia, che provenga da un fondo illuminista e positivista, o da una matrice hegeliana e più ancora nietzschiana (perché la cultura di destra si ferma al Nietzsche più facile e conosciuto, quello del superuomo e della volontà di potenza, ma si guarda bene dall’approfondire le potenzialità autenticamente religiose del suo pensiero), l’antipatia, larvata o esplicita, verso il cattolicesimo e i suoi valori è nel DNA di gran parte della cultura di destra e si affaccia di continuo, come un istinto ancestrale e insopprimibile.
Per illustrare ciò che abbiamo detto con un esempio concreto, fra i mille che avremmo potuto, abbiamo scelto una pagina di un esponente abbastanza tipico della cultura di destra, Giordano Bruno Guerri, senese di Monticiano, classe 1950, direttore di Storia Illustrata nel 1985 (senza essere mai stato giornalista), poi de L’Indipendente nel 2004, inoltre collaboratore del Giornale, direttore editoriale della Mondadori per un paio d’anni, conduttore di programmi televisivi in RAI, nonché soggiorno d’obbligo a New York nei primi anni Novanta. A quell’epoca si definiva lui stesso liberale, liberista, libertario ed ex libertino: non si sa se sia stato lui ad ispirarsi allo slogan di Pannella, o Pannella a lui; e infatti è stato per un po’ di tempo vicino al Partito Radicale, sposandone in particolare la battaglia contro la pena di morte. Adesso, naturalmente, è diventato un difensore dell’eutanasia, della prostituzione legale, delle droghe leggere, oltre che delle unioni omosessuali già approvate dalla legge Cirinnà: a tale scopo aveva aderito, nel 2006, al Manifesto dei Riformatori Liberali, col quale si chiedeva al centro-destra di "aprire" appunto su quei temi. In altre parole, è uno di quelli che hanno speso la loro notorietà per introdurre nel programma della desta politica tutta una serie di cose che sono specifiche dell’ideologia di estrema sinistra e che sono l’esatta, deliberata negazione dei valori tradizionali professati dalla destra, da che mondo è mondo. La sua ambivalenza intellettuale, del resto, è presente in lui sin dall’inizio: si è laureato infatti (nel 1974) con una tesi su La figura e l’opera di Giuseppe Bottai, un fascista critico. Logico: Bottai, una delle figure più ambigue, per non dire fastidiosamente sfuggenti, del fascismo; fascista, ma critico del fascismo; fascista, ma protettore di potenziali antifascisti; uno dei maggiori firmatari dell’ordine del giorno Grandi del 25 luglio, che provocò la caduta di Mussolini nella speranza di salvare se stessi; uno, infine, che per "redimersi" del suo vergognoso passato fascista (e anche per mettere una distanza prudenziale fra sé e le autorità del Regno del Sud) non trovò di meglio che arruolarsi nella Legione Straniera e servire in armi la Francia gaullista nel suo sforzo disperato di riguadagnare, sulla scia della armate americane, la perduta dignità di grande potenza, il che è come dire sputare su tutto ciò che il fascismo aveva rappresentato in fatto di politica estera. Nel ’68 Guerri si definiva lui stesso un cane sciolto ringhiante, ma non politicizzato: ancora la solita ambiguità: perché se un cane ringhia e mostra i denti, a chi li mostra? E il mostrarli non è già un atto politico? Oppure siamo in presenza del vivere pericolosamente, ma fine a se stesso (si ringhia per il gusto di ringhiare) in salsa nostrana e formato piccolo borghese, sul modello della più banale lettura di Nietzsche, tipica peraltro, come abbiamo detto, della cultura di destra italiana? Ebbene Guerri, nel 1965, ha pubblicato con Mondadori un saggio dedicato alla vicenda di santa Maria Goretti, Povera santa, povero assassino, che gli fruttò la nomina a direttore del mensile Storia Illustratae che si presta magnificamente a illustrare quanto dicevamo: che non solo gli intellettuali di sinistra, ma anche molti di quelli di destra sono costituzionalmente incapaci di reprimere il loro furibondi istinti anticattolici (anche se Guerri si è laureato in Lettere alla Cattolica di Milano), la loro avversione per il sacro, la loro frenesia di ridicolizzare, immeschinire, banalizzare la dimensione del trascendente.
Citiamo dunque, affinché il lettore se ne faccia un’opinione, una pagina di Povera santa, povero assassino. La vera storia di Maria Goretti (Milano, Mondadori, 1985, 2000, pp. 173-175):
Il 30 gennaio 1945 c’è la definitiva Congregazione Generale, alla presenza del papa, che dal 1939 è Pio XII. Viene nuovamente posta la domanda "se consti del martirio e della causa del medesimo" e a quel punto tutti "gli Eminentissimi Cardinali, i Prelati Officiali e i Padri Consultori" rispondono sì".
Cos’era accaduto nel frattempo?
Il cattolicissimo esercito italiano che aveva portatola civiltà e la fede ai BARBARI E MISCREDENTI popoli della Libia e dell’Etiopia e aveva sconfitto l’eresia comunista in Spagna non esisteva più. Lo stivaluto esercito tedesco, portatore di ordine, se non di fede, aveva ceduto di fronte all’ateo esercito comunista. Anche il protestante esercito americano, che non tiene in alcun conto la castigatezza dei costumi e la mortificazione della carne, dilaga con il suo seguito di peccati.
Quando gli americani entrano a Napoli, il 1° ottobre 1943, sembra che d’improvviso il diavolo prenda dominio sul popolo di San Gennaro. Agli uomini, vinti, nascosti, sviliti, provvedono le donne vendendo per una scatoletta di carne o poche sigarette ciò che solo al coniuge, e solo per la procreazione, dovrebbero concedere. Le vergini diventano rare, le madri vendono le figlie, i figli vendono le madri.
Quando i liberatori giungono a Roma, il 4 giugno 1944, portano anche nella capitale della cristianità i chiari segni del loro accompagnarsi col demonio: accorciano le gonne, insegnano danze oscene e musiche scostumate, diffondono anticoncezionali, idee corrosive e nuovi modelli di vita. Sembra insomma che l’amata Italia e l’amatissima Roma scelta da san Pietro come sede e faro del cristianesimo diventino vittime allegre di quel TURPE VIZIO che la Chiesa vorrebbe invece estirpare dal mondo.
Occorrono degli argini: papa, cardinali e vescovi ne sono convinti. La religione ha bisogno di esempi, e i Santi della Chiesa cattolica hanno appunto il compito di indicare l’ideale cui tutti debbono mirare. Una vergine e martire è quel che ci vuole per dare l’esempio contro la corruzione dei costumi, e infatti tutti i prelati videro "nella esaltazione della angelica fanciulla Maria Goretti un mezzo POTENTE per inculcare e incoraggiare tante fanciulle ingenue a difendesi, a resistere, a vincere degnamente e santamente gi assalti del demonio".
Fino ad allora era stata San’Agnese l’esempio della virtù cristiana della verginità difesa a tutti i costi, ma era un esempio ormai privo di pathos: la sua era una storia troppo lontana, troppo leggiadra, troppo inverosimile per aver presa in tempi di positivismo, razionalismo, marxismo, cinema e bomba atomica.
Maria Goretti invece, contadina (e non patrizia come Agnese), aveva avuto un martirio elementare e recente, UN MARTIRIO ALLA PORTATA DI TUTTE. Che fosse ignorante, piccola e costretta a lavorare invece di andare in estasi o chiudersi in convento non era una controindicazione per la Chiesa degli anni Quaranta, tutt’altro: il messaggio era rivolto specialmente alle giovanissime (l’età delle prime esperienze sessuali si abbassava pericolosamente), e alle donne di casa, forzate dai tempi re dai bisogni ad avventurarsi nel mondo del lavoro, pieno di pericoli e di tentazioni.
Tutto fu fatto con velocità estrema mentre la cancrena del peccato travestita da esercito liberatore risaliva l’Italia lasciandosi dietro una scia di figli illegittimi: neanche due mesi dopo la Congregazione Generale, il 25 marzo 1945, Pio XII dichiarò "constare la causa del martirio" e dispensò Maria dal dare i SEGNI della sua presenza in cielo sotto forma di grazie o miracoli. Si poteva procedere alla beatificazione: occorreva solo il tempo per farlo nella giusta solennità, quando il mondo non fosse più distratto da paci e da tribunali di guerra.
Non c’è una frase, non c’è una parola, in questa pagina, che non trasudino fastidio e sufficienza verso la cultura cattolica e verso la devozione cattolica; il culto dei Santi non sono è ridicolizzato, ma si insinua apertamente che le beatificazioni avvengono sulla base di un calcolo di mera opportunità politica e ideologica. Come in un film documentario montato ad arte, ora ci si mostra la disfatta dell’Italia fascista e l’avanzare del comunismo da una parte, del protestantesimo americano dall’altra; ora il processo canonico che ha condotto la Chiesa a proclamare la santità di Maria Goretti, la bambina undicenne che fu assassinata dall’uomo che la voleva stuprare, e dal quale si era strenuamente difesa. La bambina che a letto, morente, straziata da dolori atroci, si preoccupava di colui che l’aveva accoltellata e gli dava il suo perdono, cosa che lo spinse alla conversione e, dopo aver scontato trent’anni di carcere, a entrare in un convento. L’impressione che ricava il lettore è che Pio XII e la gerarchia ecclesiastica abbiano strumentalizzato la vicenda di una bambina sfortunata per creare un nuovo modello di purezza, da opporre al lassismo e alla promiscuità introdotte dai "liberatori" durante e dopo la campagna d’Italia del 1943-45. Il libro di Guerri ha ottenuto un successo di scandalo e ha provocato vivaci reazioni in campo cattolico, che qui non c’interessa rievocare, perché ciò esulerebbe dal nostro assunto. A noi basta aver fatto notare quanta malevolenza, quanto pregiudizio, quanta deliberata alterazione dei fatti siano sfoggiati dall’autore, pur di dimostrare il suo assunto: che la Chiesa cattolica fabbrica a tavolino, cinicamente, i Santi del calendario liturgico quando ha bisogno di puntellare le proprie posizioni nella società. Chiunque abbia studiato, anche superficialmente, la vera storia di Maria Goretti, sa che quella narrata da Guerri non è la vera storia, ma una sua grottesca deformazione, una irrispettosa alterazione di una vicenda, che mostra, fra l’altro, tutto l’aristocratico disprezzo di questo intellettuale verso una bambina certamente povera e ignorante, ma non per questo stupida o bigotta, come nel libro ci viene presentata.
Il fatto è che per capire la grandezza dei Santi, anche e soprattutto dei Santi bambini (una categoria della quale Guerri nega addirittura l’esistenza, appellandosi a non si sa quali teoremi della moderna psicologia), ci vuole un minimo di umiltà, non solo intellettuale, ma anche umana; mentre dal libro di Guerri traspare soltanto un arrogante sociologismo e uno scientismo alla Zola, lo Zola che si faceva beffe di Lourdes e di Bernadette. E Zola era uno scrittore tipicamente progressista. Come spiegare che uno scrittore ritenuto tipicamente di destra, come Guerri, indossi lo stesso vestito ideologico di Zola, quando si tratta di accostarsi al mistero del sacro? Rispondere a questa domanda significa, probabilmente, rispondere alla domanda sul perché la cultura di destra, specialmente in Italia, sia sempre stata subordinata a quella di sinistra: non solo in quanto vittima, oggettivamente, di una emarginazione da parte del potere, ma anche in quanto lei stessa incapace di dare una lettura propria alle grandi questioni dell’esistenza, senza rimettersi al pensiero progressista. Il che spiega la sua perenne irrilevanza. È giusto infatti che nessuno si affidi a chi non ha neppure un briciolo di fede in se stesso…
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels