Siamo capaci di abitare l’impero del silenzio?
31 Marzo 2020E. Balducci: il Concilio visto dai cattolici progressisti
1 Aprile 2020Il problema della Chiesa è lei stessa; e più precisamente quella parte di lei, divenuta poi maggioritaria ma che all’epoca era solo una minoranza, la quale volle il Concilio per farne il cavallo di Troia onde introdurvi le idee del modernismo. Quella minoranza aveva i suoi scopi precisi: era iscritta, o contigua, alla massoneria; e inoltre agiva in stretta connessione con la supermassoneria giudaica del B’nai B’rith: il suo obiettivo pertanto era quello di snaturare la Chiesa, di trasformarla in ciò che essa non era mai stata né dovrebbe mai essere, un’assemblea democratica soggetta ai voleri della maggioranza e agli umori del tempo in cui è immersa; e ciò con la somma, diabolica abilità di fare in modo che il comune fedele non se ne rendesse affatto conto. La cosa è riuscita talmente bene che da quel momento la Chiesa non è più stata la fedele Sposa di Cristo, ma la prostituta del mondo, però con la convinta adesione del clero e dei fedeli: i quali tutti, ingannatori o ingannati, hanno collaborato a tale snaturamento e a tale pervertimento, e su ciascuno dei quali, perciò, dal papa fino all’ultimo laico, ricade, in diverso grado e misura una parte della responsabilità per questo inaudito tradimento nei confronti del Signore. Chi pensa in primo luogo al tradimento di cui sono state vittima le anime, pensa già da un uomo moderno e non da cristiano: cristianamente, la prima e più grave colpa, di cui si sono macchiati i sacerdoti e i fedeli, è stata la trasgressione del primo comandamento, la disobbedienza verso l’unico vero Dio, per farsi adoratori mascherati del mondo. Che poi la maschera sia gradualmente scivolata giù dal viso, fino a cedere il posto all’aperta proclamazione della religione della Madre Terra e fino all’intronizzazione degli idoli pagani dentro la basilica di San Pietro, col "santo padre" benedicente e i vescovi che portano i simulacri dei demoni in solenne processione, questa è solo l’ultima deriva di una tendenza che già era chiara, seppure implicita, nella svolta antropologica del teologo Karl Rahner e nelle nuove dottrine proclamate nel Concilio, prima delle quali la cosiddetta libertà religiosa, con la Dignitatis humanae. Una volta fatta consistere la dignità dell’uomo, intesa alla maniera degli illuministi, come somma di diritti naturali da far valere in senso assoluto e non come adeguamento al progetto divino e attuazione della somiglianza l’immagine del Creatore, la deriva era inevitabile e non poteva che condurre qui, dove ora siamo giunti: all’affermazione orgogliosa, luciferina, della priorità dell’uomo e della sua autodeterminazione assoluta, anche mediante azioni che equivalgono a una rivolta contro Dio e perciò ad una aggressione contro l’uomo stesso, dall’aborto all’eutanasia, dalla manipolazione genetica alla fecondazione eterologa.
Uno di quelli che hanno avuto una vaga percezione — molto, molta vaga — di quel che il Concilio aveva realmente significato nella vita della Chiesa, e di ciò che i suoi ulteriori sviluppi avrebbero rappresentato per la vera dottrina e quindi per la vera fede, mettendosi di traverso sulla storia della salvezza, è stato il filosofo Jean Guitton (Saint-Étienne, Loira, 18 agosto 1901-Parigi, 21 marzo 1999), professore alla Sorbona dal 1955 al 1968 e membro dell’Accademia di Francia, nonché amico personale di Giovanni XXIII (e più tardi di Paolo VI), da lui conosciuto negli anni cui Roncalli era nunzio apostolico a Parigi, dal 1944 al 1952, il quale ebbe il discutibile privilegio di essere il primo osservatore laico invitato a presenziare al Concilio fin dalla sessione iniziale. Il che era già un segno dei tempi: Guitton, infatti, era allievo, ammiratore e seguace del filosofo ebreo Henri Bergson (vero nome del padre: Bereksohn) il cui pensiero, e in particolare quello contenuto nella sua opera forse più famosa, L’evoluzione creatrice, che avrebbe esercitato un potente quanto nefasto influsso sul gesuita Teilhard de Chardin, non si accorda per nulla col neotomismo, la filosofia sino ad allora insegnata nei seminari e promossa da Leone XIII, con l’enciclica Aeterni Patris del 4 agosto 1879, al rango di fondamento di qualsiasi filosofia ispirata al cattolicesimo. Ebbene, ecco ciò che pensava Jean Guitton nel 1963, a caldo, dopo la prima sessione del Concilio (svoltasi dall’11 ottobre al 12 dicembre 1962) allorché, per la malattia e la morte di Giovanni XXIII (3 giugno 1963), non era chiaro se e come il suo successore lo avrebbe ripreso e portato a termine (da: J. Guitton, Il Cristo dilacerato. Crisi e concili nella Chiesa; titolo originale: Le Christ écartelé, Paris, Librairie Académique Perrin, 1963; traduzione dal francese di Camillo de Piaz, Milano, Casa Editrice Il Saggiatore, 1964, pp. 193-195):
Da molti segni si intravede che l’epoca, della quale abbiamo passato in rassegna a grandi tappe i momento culminanti, si è chiusa, e che le rivoluzioni religiose prenderanno d’ora in poi un’altra forma. Certo, si può ancora supporre il caso di chiese nazionali che si separano sotto la spinta del potere politico, e in questo senso in sono da escludere degli scismi, anche considerevoli. Ma tali fenomeni non rivestiranno alcun significato teologico, perché saranno privi di conseguenze nel campo dogmatico; nessuna controversia sulla divinità di Cristo, sui rapporti tra la ‘giustificazione’ e la ‘santificazione’, sul valore dei sacramenti. Questo perché l’ERESIA, la controversia religiosa, la separazione dei cristiani suppongono l’esistenza di una fede comune soggiacente. Non si può opporsi nella fede senza una vasta base d’accordo assoluto. Ora l’epoca nella quale noi ci stiamo avanzando (vi siamo entrati insensibilmente da tre secoli) si caratterizza per un raffreddamento della fede. Non vi è abbastanza religione sulla terra perché possa sorgere una eresia esplicitamente religiosa. Il che farebbe supporre che la fine di questo mondo è assai vicina, se bisogna dare un senso preciso al lamento di Gesù: "Quando il Figlio dell’Uomo verrà, troverà ancora della fede sulla terra?".
E se il Concilio Vaticano II non ha trovato propriamente delle eresie dogmatiche da condannare ma piuttosto delle filosofie che mettono in pericolo la ragione, ciò non è dovuto al fatto che la fede è più forte, sibbene al fatto che l’avversario porta i suoi colpi a livelli più profondi, che la sua dinamite o piuttosto la sua invisibile opera di scalzamento attacca le sottostrutture, quelle basi naturali che un tempo erano un bene comune dell’umanità.
La nuova epoca presenta un’attenuazione della fede, almeno della fede visibile e costituita. Ciò che la rende diversa dalle epoche precedenti è la fine, o almeno il declino, di un regime n cui la religione era sostenuta da un’istituzione o da un contesto da essa distinti: potere, struttura sociale, costume, usanze, lingua, sensibilità, una data atmosfera.
Non è agevole dire in quale misura la fede è scomparsa, perché è difficile determinare, nei tempi precedenti (in cui la fede coincideva con l’istituzione), in quale misura tale fede era conformismo o adesione personale. Non si riuscirà mai a saperlo, ed è inutile porsi questi interrogativi insolubili: gli stessi interessati, gli uomini del passato, se potessero essere interpellati, non potrebbero rispondervi. Quando tutto un mondo pensa allo stesso modo, il non conformismo resta inespresso.
A partire dal Rinascimento, diviene man mano visibile la separazione tra l’universo dell’uomo e l’universo del cristiano. Dal momento che l’umanità aveva cominciato ad avere la consapevolezza di se stessa e a pensarsi, era nata l’idea della sua unità. Le mitologie contribuivano a darle questo senso dell’unità: l’umanità, politeista per quanto riguardava gli dei, era quanto a se stessa monantropica: esistevano molteplici dei, non vi era che una sola razza umana, che un unico primo uomo. Ma il concetto di popoli "barbari", l’impossibilità di far coincidere cronologie diverse, l’ignoranza delle origini, l’incertezza sui fini, l’assenza d’un sentimento del progresso, il mito dell’"eterno ritorno", tutto contribuiva a rendere difficile all’Uomo totale l’autoconoscenza di sé,. La Chiesa rese possibile questa conoscenza, e, per lungo tempo, fu la stessa cosa pensarsi come uomo e pensarsi come cristiano, come membro di questa Chiesa.
Oggi, invece, esiste tra i due punti di vista un contrasto così grande che diventa difficile, e per alcuni impossibile, pensarsi NELLO STESSO TEMPO come uomo e come cristiano. Non che si tratti di un’esperienza prima sconosciuta, ma l’uomo moderno ha portato questa divisione degli esseri in se stesso all’estrema potenza. Essi possono "concordare": ma concordanza, concordato, e anche CONCORDIA sono termini ambigui. Servono senza dubbio a eliminare il sospetto d’una rivalità troppo visibile, ma non per questo vogliono dire armonia, intesa, accordo. In molti casi il potere si adopera quanto può a far morire per asfissia una religione che si guarda però bene dal perseguitare, perché preferisce ignorarla.
Dicevo prima che l’eresia, essendo una divergenza nella fede, suppone la fede, anzi un certo ardore di fede, tale da far giudicare la differenza delle credenze così importante (anche se riguarda uno "iota" da non dover lasciar nulla d’intentato da sostenerlo: la rottura dell’unità, il ricorso al potere secolare. In un contesto in cui non sarà difficile trovare né un potere per perseguitarvi né un potere per aiutarvi a perseguitare.
Guitton, dunque, a concilio appena iniziato, è abbastanza lucido da rendersi conto che esso non avrebbe lanciato scomuniche contro alcuno, e ne dà una spiegazione che, sul piano filosofico, non fa una grinza. A che servirebbe anatemizzare qualcuno, in un’epoca in cui la fede della società nel suo complesso si è talmente raffreddata, che la cristianità non poggia più sopra una base dottrinale realmente condivisa, e quindi le odierne eresie non sono dirette esplicitamente contro la religione, bensì contro la ragione naturale che è alla base della religione stessa? In altre parole, domina il relativismo: e come ciascun "cattolico" ha le sue opinioni non solo sulla morale insegnata dalla Chiesa, ma anche sulla dottrina trasmessa dal sacro Magistero, e si regola di conseguenza in base al proprio criterio, così manca un consenso generale anche su ciò che attiene al principio della verità, dalla politica alla cultura e dall’economia alla scienza. In tali condizioni, l’attacco che la Chiesa sta subendo è condotto a livelli più profondi delle vecchie eresie del passato; tanto più che oggi è venuto a mancare il clima generale di uniformità che caratterizzava la cristianità, sia pur sempre più faticosamente, fin verso i primi decenni del XX secolo. Pertanto ogni individuo è messo a nudo di fronte all’interrogativo religioso; non ha più il conformismo dietro il quale nascondersi, deve fare una scelta e nel farla l’elemento religioso esercita ormai un peso minimo rispetto ad altre sollecitazioni ed altre pressioni, ben più massicce e capillari, che gli vengono dalla dimensione immanente e secolarizzata. E tuttavia, sebbene l’analisi sia giusta, le conclusioni, a nostro avviso, sono sbagliate.
Guitton individua nella modernità il processo che ha colpito non solo la possibilità razionale della fede, ma che ha scalzato ogni altro punto di riferimento certo e stabile, perché, avendo mitizzato l’idea del progresso al posto della fede nel trascendente, è "costretta" a distruggere e ridisegnare continuamente la mappa concettuale, morale, estetica e affettiva degli uomini. La modernità ha creato una scissione nell’uomo, particolarmente fra la sua parte religiosa, che aspira al trascendente, e quella profana, che si appaga dell’immanente. Inoltre ha elaborato, sotto l’azione della filosofia cristiana, l’idea dell’unità della famiglia umana; però, avendo messo fra parentesi, o addirittura abolito la paternità divina, non sa dar conto del perché gli uomini dovrebbero aspirare all’armonia, e tutto ciò che è arrivata a teorizzare sono la tolleranza illuminista o la concordia massonica. Sempre, però, a livello teorico; perché nella sfera pratica una società impregnata di relativismo non può far altro che riconoscere la legittimità di ciascuna aspirazione e desiderio individuale, sempre sul metro del bene inteso soggettivamente: del bene oggettivo neppur l’ombra perché, se ci fosse, tornerebbe ad apparire evidente la necessità di un criterio morale condiviso, proprio quello che essa ha abolito e che costituisce il vanto della sua "maturità e della sua "emancipazione". Ed è per questo che oggi il potere politico preferisce ignorare la religione invece di perseguitarla: perseguitandola, le riconoscerebbe un certo statuto ontologico, una certa legittimità nell’ambito dei possibili. Ha scoperto di potersi reggere benissimo anche senza l’appoggio della religione e non vuole essere debitore di nulla ad alcuno. Però si sbaglia: senza la religione, né un codice morale condiviso, il potere si mostra, senza veli, nella sua nuda essenza di volontà di dominio fine a se stesso: non c’è più nulla che lo ingentilisca, che ne attenui la ferocia e soprattutto che lo giustifichi. Comporre i conflitti sociali? Ma non è capace di farlo, dacché si è inchinato al dogma della libertà soggettiva e si è prostituito al vero potere rimasto in campo, quello finanziario. Guitton elenca i passati fattori di coesione e armonia sociale: oltre al potere (politico), struttura sociale, costumi, usanze, lingua, sensibilità, una data atmosfera. Ma la globalizzazione li sta distruggendo tutti, inesorabilmente. Sentendosi affondare, gli uomini torneranno a volgesi a Dio. Ma a quale Dio, se la religione è stata adulterata e una falsa chiesa ha sostituito la vera? Ecco perché i padri conciliari dovevano servirsi dell’anatema: per conservare, pura, la fede nel vero Dio. Ma forse era proprio ciò che non volevano…
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