Finché i piedi ci portano
28 Marzo 2020Ce biel ch’al è la a Messe
30 Marzo 2020Paradossalmente, sarà l’emergenza stessa che stiamo vivendo ad aprirci gli occhi. Le cose che non volevamo vedere, che non abbiamo voluto vedere per anni e per decenni, ora si sono concentrate e accumulate sino a formare una tale montagna che non può più assolutamente passare inosservata. Ormai anche i ciechi saranno costretti a vedere e anche i sordi saranno costretti a udire, per quanto avrebbero preferito seguitare a farne a meno, e fingere che tutto sia normale, ancora per chissà quanto tempo: tanto forte è l’istinto di conservazione nel cittadino-massa, unito alla pigrizia morale, al conformismo e alla viltà.
È impossibile che, passata questa crisi, la gente torni alle credenze e alle convinzioni di prima per tutto ciò che riguarda la finanza, l’economia, la democrazia, la pubblica amministrazione e lo Stato. Ma soprattutto è impossibile che torni a rivolgersi ai mass-media con lo stesso stato d’animo di prima. I cittadini hanno potuto rendersi conto che la televisione e i giornali, ma soprattutto la televisione, vale a dire i maggiori canali nazionali, pubblici e privati, non sono affatto strumenti per essere informati su quel che accade in Italia e nel mondo, bensì strumenti per condizionare la loro mente, per orientare le loro scelte, per giustificare qualsiasi decisione del potere, anche la più illiberale, e per stroncare qualsiasi critica od opposizione. Inoltre si sono accorti che le televisioni e i giornali, rispondendo a una regia unica e con insignificanti differenze di stile, altro non fanno che servire il potere: che, in questo caso, voleva spargere il massimo della preoccupazione, del timore, dell’angoscia nella popolazione. Si sono accorti che il libero scambio delle idee è divenuto impossibile: i media ospitano solo le opinioni di quanti confermano e ribadiscono, ossessivamente, ciò che il poter vuole che si sappia e che si creda; chi la pensa diversamente non trova spazio, viene scacciato, emarginato, ridicolizzato, denigrato e infine querelato, insieme a quei giornalisti che gli hanno dato spazio, soprattutto sulla rete e nei social. Il cosiddetto Patto Trasversale per la scienza, promosso da Guido Silvestri e Roberto Burioni, si configura oggettivamente come una macchina repressiva paragonabile all’antica inquisizione, destinata a rivolgersi non solo contro il cittadino comune che, inesperto di questioni specifiche della biologia, facesse affermazioni inesatte o discutibili, ma anche contro quei colleghi scienziati che non si adeguano al Pensiero Unico e osano sostenere punti di vista diversi e valutazioni divergenti, sia pure partendo dagli stessi dati di fatto e in particolare dai dati forniti dall’Istituto Superiore della Sanità. Il che ha mostrato oltre ogni dubbio che lo scopo perseguito dal potere in questa fase storica, che è quella della ristrutturazione capitalistica dettata dalla globalizzazione, è quello di omologare i modi di pensare e appiattire le coscienze e le intelligenze, rendendo di fatto impossibile l’esercizio della facoltà critica, e così svuotando di senso qualunque pratica democratica. La democrazia, infatti, piaccia o non piaccia, ha come presupposto la libertà del dissenso: una volta reso il dissenso non solo irrilevante, ma sovversivo, cioè dopo averlo criminalizzato, la democrazia è morta e ciò che resta al suo posto è un regime totalitario, sia pur mascherato dietro una tenue vernice di falsa tolleranza.
Stampa e televisione hanno lasciato cadere del tutto la maschera e se fino a prima dell’emergenza potevano ancora far finta di essere ciò che non sono, ossia veri organi d’informazione, ora appare evidente che la loro unica funzione è quella di fare da megafono a ciò che i loro padroni, ossia i signori della finanza, vogliono da essi; e praticamente tutti i giornalisti di un certo peso, con rarissime eccezioni, hanno mostrato di essere più che disposti a mettersi al servizio, come dei volgari mercenari, di qualsiasi disposizione venga dall’alto, oltretutto con l’immensa sfacciataggine di ostentare indipendenza di giudizio e rispetto, anzi, addirittura sollecitudine per il bene dei cittadini. I personaggi dello spettacolo non legati direttamente all’informazione, a loro volta, si sono affrettati a mettere i loro volti ben conosciuti dal grande pubblico, per svolge la stessa identica funzione, con uno zelo, un calore, un’insistenza che hanno rasentato il ridicolo. Bisognerà che gli italiani si ricordino di loro, delle loro facce, delle loro parole d’ordine, quando l’emergenza sarà passata e si tornerà, sia pure in maniera limitata e parziale — è questo, infatti, che probabilmente accadrà: non torneremo più alla stessa situazione di prima — a ragionare e non più a vaneggiare sotto l’effetto di un’emotività esasperata dal fattore paura. In realtà, sono tutte cose che sapevamo già, almeno in via teorica: che tivù e giornali sono dei persuasori occulti; che sono il quarto potere; che non c’è una sostanziale differenza fra la pubblicità commerciale, esplicita, e la televisione in quanto tale, che è una forma di pubblicità implicita, ma potentissima, a livello socio-politico: queste cose ce le aveva spigate benissimo Marshall McLuhan fin dagli anni ’60 del secolo scorso, con il celebre slogan il medium è il messaggio; ricordate? In pratica, però, ce n’eravamo scordati; in pratica, abbiamo seguitato a ingozzarci di televisione e giornali senza prendere alcuna precauzione, senza assumere alcuna distanza critica, ingurgitando tutte le menzogne e le porcherie che hanno voluto rifilarci. Conosciamo persone sagge ed equilibrate, discretamente colte, che proprio in questi giorni di quarantena nazionale ci hanno fatto capire quanto a fondo sia penetrato il male, perché anch’esse, quando tentavamo di ragionare sull’enorme sproporzione esistente fra il pericolo reale rappresentato del virus, e la campagna terroristica di Stato messa in opera principalmente attraverso i media, ci hanno candidamente risposto: Ma queste cose che affermi sono inverosimili; non hai sentito cosa dice la televisione?
La prima cosa che dovremo fare, dunque, anzi che dobbiamo fare, è disintossicarci dalla televisione. La televisione è la punta di lancia del progetto demoniaco che vuole strapparci via l’anima e ridurci a degli utili idioti che si bevono tutto, non fanno mai domande scomode e non si stupiscono più di nulla, neanche delle cose più atroci. In secondo luogo, visto che non si può abolirla dalle nostre vite, perché troppe persone non saprebbero più farne a meno, dobbiamo imparare a star bene attenti, in futuro, in quali mani andrà a finire la televisione di Stato; per quelle private non c’è nulla da fare, esistono in funzione della logica commerciale e quindi è naturale che ci rifilino, nel migliore dei casi, programmi spazzatura, se non addirittura veleno. Dobbiamo insegnare ai nostri figli a farne un uso moderato e, soprattutto, a fruirne in maniera critica: a non guardarla mai se non riflettendo su ciò di cui parla e sugli scopi che si prefigge, fosse pure un programma apparentemente innocuo come un reality o un cartone animato. Perché la tv non è mai innocente, nel senso che non è mai neutrale: è al servizio di qualcuno, e precisamente da chi la paga; e poiché la paga, direttamente o indirettamente, il grande capitale finanziario, e poiché il grande potere finanziario è tenuto insieme, a livello internazionale, da una rete di tipo massonico, impregnata di "valori" e ideali massonici, ecco che la tv fa il suo, cioè il loro, sporco mestiere: predisporre le nostre menti, la nostra sensibilità, il nostro gusto, al Nuovo Ordine Mondiale ispirato dalla massoneria. Abituarci, anche attraverso sceneggiati televisivi apparentemente ingenui, ad accettare, per dirne una, la cosiddetta teoria gender, cioè ad accettare come perfettamente lecita e naturale l’idea che un padre di famiglia, un bel giorno, stanco di essere uomo, faccia un’operazione e diventi donna, e che tutti, a cominciare dalla moglie e dai figli, devono accettare pienamente la cosa e volergli bene come prima, anche se li ha abbandonati, anche se ha fatto ogni cosa di nascosto, perché costui non ha fatto altro che esercitare un suo diritto sacrosanto, del quale non deve render conto ad alcuno: ecco, anche questa è una delle cento e mille tessere che formano il grande e orribile mosaico della società futura ispirata a quella visione della vita.
La seconda cosa da fare è scegliere meglio i nostri rappresentanti politici. Anche se la crisi innescata dall’epidemia di Coronavirus ci ha sorpresi con un governo non eletto, anzi con il classico governo nato da un vergognoso papocchio di palazzo, in spregio ai cittadini e alla costituzione, un governo che ha mostrato di essere davvero il peggiore che avremmo potuto sperare, o temere, in una simile congiuntura, resta il fatto, desolante ma istruttivo, che neppure le forze di opposizione si son fatte notare per saggezza e perspicacia nel drammatico frangente che l’Italia sta vivendo. E nelle regioni dove più forte è l’emergenza e dove, guarda caso, governa l’opposizione, le amministrazioni locali non hanno saputo far di meglio che abbaiare contro la popolazione, redarguirla, rimbrottarla, minacciarla di pene severissime per la sua indisciplina, come non avrebbero saputo far di meglio, o di peggio, i più arrabbiati e ottusi caporali della sinistra. Nessuno che abbia avanzato un’idea nuova, un progetto diverso, una prospettiva più ampia: solo polizia per le strade e norme di quarantena ancor più restrittive. Quando alla fine conteremo le vittime di questa tragedia che si sarebbe potuta evitare, scopriremo che i suicidi, i drammi familiari e i casi di depressione grave, forse irrecuperabile, avranno superato di molto il numero delle vite salvate. ermo restando che quasi tutti i colpiti dal virus erano e sono persone assai avanti in età e con un sistema immunitario alquanto compromesso per altre patologie. Il che significa, dati ufficiali alla mano, che di Coronavirus sono morte forse meno persone di quante se ne contino sulle dita delle mani. Il problema fondamentale di questa classe politica, governo e opposizione, messo chiaramente a nudo dall’emergenza sanitaria, è la sua complessiva inadeguatezza sotto il profilo culturale, nel senso più ampio della parola. Per governare un grande Paese, quale è l’Italia, e per governare le sue regioni, specialmente le più progredite, le più ricche, le più produttive, ci vogliono altro che caporali come cani da guardia ringhianti e abbaianti: ci vuole intelligenza. E d’intelligenza, in queste settimane, non c’è stato di sicuro uno spreco. Si è visto e capito inoltre che le forze di opposizione non sanno fare vera opposizione e che, probabilmente, sono colluse, in qualche modo, con quello stesso potere finanziario che muove come marionette gli uomini del governo. Come spiegare altrimenti la proposta di Draghi quale presidente del Consiglio al posto di Conte? Come spiegare il fatto che nemmeno adesso l’opposizione parla di uscita dall’euro, come pure ne parlava in tempo di campagna elettorale e quindi prima che l’UE rivelasse anche ai ciechi il suo vero volto, come ha fatto la signora Lagarde nella storica intervista da presidente della BCE, che ci è costata circa 100 miliardi di euro, vale a dire la somma che ora ci servirebbe per sostenere gli italiani in tempo di blocco quasi totale dell’economia? E cos’è questo sdraiarsi ciecamente sulla politica estera degli Stati Uniti e d’Israele, come se ciò non compromettesse fatalmente gl’interessi dell’Italia in aree per noi vitali, come il Medio Oriente? Questa non è solo mancanza di cultura o difetto d’intelligenza: temiamo che sia qualcosa di peggio. Perciò la prima cosa da fare è metter mano a un progetto politico nuovo, che consideri definitivamente archiviata la stagione della dialettica destra/sinistra e prenda atto che la globalizzazione richiede risposte del tutto diverse da quelle che la politica ha saputo escogitare, sia in termini di governo che di opposizione. Fino ad ora abbiamo lottato con le spade di cartone in mezzo a gente armata di ferro; ora bisogna che fabbrichiamo della armature anche noi e che cominciamo a menare mazzate anche noi, perché ne abbiamo giù subite abbastanza. Siamo in guerra e prima lo capiremo, meglio sarà: la stagione dello stupido pacifismo e del buonismo beota è morta e sepolta, abbiamo compreso che era solo una delle forme dell’ipnosi che ci induceva a tener la guardia abbassata perché altri ne approfittasse a nostro danno. Serve perciò gente nuova e sopratutto servono idee nuove: e le idee di Salvini e Meloni, con tutto rispetto, hanno mostrato di essere tutt’altro che brillanti e tutt’altro che nuove.
La terza cosa da fare, come credenti, è prendere atto che questa chiesa "cattolica", la chiesa di Bergoglio & Soci, non ha niente a che fare col cattolicesimo, non viene dal Signore ma dal diavolo, e i suoi ministri sono tutti schiavi del diavolo, il cui scopo è quello di perdere le nostre anime allontanandole da Dio, confondendo in loro la percezione del bene e del male, e aprendo le porte al peccato, fatto passare per legittima scelta umana. Nessun compromesso, nessun dialogo con tutti costoro: sarebbe follia. Non meritano altro che il nopstro più caldo disprezzo: hanno fatto un lavoro ignobile,ingannando milioni di persone e al tempo stesso godendosi i privilegi e il capitale che i fedeli hanno donato nel corso del tempo affinché la Chiesa, quella vera, avesse dei veri pastori, non degli strumento dell’Anticristo. Non dobbiamo aver più nulla a che fare con questa immonda congrega; non dobbiamo più acquistare una sola copia della stampa ex cattolica; né offrire un solo centesimo del nostro denaro. Dobbiamo tornare alla vera fede, perché costoro ci hanno traviato: quella di prima del Concilio, quella di sempre. E al diavolo, suo patrono, la teologia della svolta antropologica di Karl Rahner e tutti questi preti in uscita e questi vescovi di strada.
La quarta cosa da fare, la più importante, è agire su noi stesi. Nessuno può aiutarci, se noi non lo vogliamo. Dobbiamo rimetterci in piedi fra le rovine, tener la schiena dritta e recuperare la stima di noi stessi; tornare a volerci bene e prenderci le nostre responsabilità. E poi confidare in Dio, sempre.
Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla (Giovanni 15,5).
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