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Le due Italie destinate a scontrarsi

L’emergenza che stiamo vivendo a causa del Coronavirus, o piuttosto dovremmo dire per i provvedimenti assurdi e sproporzionati che il governo, con dubbia legittimità costituzionale, ha deciso d’imporre al Paese, unico al mondo ad aver deciso il blocco e l’isolamento pressoché totale dell’intera popolazione, se non altro sta facendo emergere con plastica chiarezza una cosa che finora, per tutta una serie di ragioni, era passata relativamente inosservata, o che, se pure era stata osservata, raramente aveva provocato le opportune, anzi doverose, riflessioni: l’esistenza di due Italia destinate fatalmente a scontrarsi. Non ci riferiamo al dualismo, che pure esiste ed è fortissimo, fra Nord e Sud, specie sotto il profilo economico e produttivo; né alla dialettica giovani/vecchi, o città/campagna. Ci riferiamo all’esistenza, nella stessa nazione, di due classi sociali lontanissime l’una dall’altra, e la cui incomunicabilità e incompatibilità, e potenziale contrapposizione, è ulteriormente aggravata dalla siderale distanza ideologica, culturale, comportamentale. La cosa appare evidente, in questi giorni e in queste settimane di quarantena, non appena si accende il pulsante del televisore: tutti la possono notare, ma, finora, il solo Vittorio Sgarbi l’ha indicata con assoluta chiarezza e lucidità. A tutte le ore, su tutte le reti, in tutti i programmi, e naturalmente nella pubblicità inserita all’interno di qualsiasi film, telefilm o reality, il faccione facondo di questo o quel personaggio dello spettacolo, di questo o quel presentatore, cantante, attore, ci ricorda quanto è bello, igienico e salutare restarsene a casa… a tempo indeterminato. Qualcuno di costoro spinge il suo zelo filo-governativo (di questo governo giallo-rosso, sia ben chiaro; perché quando era ministro degli Interni un certo Matteo Salvini, la musica era ben altra) ancora più in là, e non si perita d’insinuare che la colpa di tutto o quasi tutto, in fondo, è di noi italiani, perché siamo cattivi contribuenti, cerchiamo di frodare il fisco e così lo Stato si trova con le casse mezzo vuote e non può allestire un numero adeguato di posti letto in ospedale e apparecchi per la terapia intensiva. La cosa deve esser talmente vera, talmente sacrosanta, talmente lapalissiana, che il signor papa ha ritenuto bene citare questa tesi nel corso di una di quelle sue esternazioni che non dispensano agli italiani speranza, e meno ancora cristiane benedizioni, ma predicozzi, rampogne e atti d’accusa veri e propri, per la loro notoria insensibilità, il loro egoismo e la loro durezza di cuore verso i migranti e verso i rom; e che potrebbero uscire benissimo dalla bocca di una Lagarde, di una von der Leyen, e naturalmente di un George Soros, il quale fa beneficenza a milioni ma solo per traghettare gli africani in casa nostra, non certo per aiutare gli italiani in difficoltà.

Ora, nessuno può negare che in una reclusione in casa, per ragioni di forza maggiore, uno spirito filosofico possa trovare il clima adatto per dedicarsi a profonde meditazioni, e che un padre o una madre di famiglia possano vedervi l’occasione giusta per riscoprire le gioie della famiglia, dello stare vicini ai propri figli, facendo una pausa nei loro ritmi di vita frenetica, specie per quanto riguarda il lavoro. Così come è evidente che a quei cantanti, presentatori, soubrette e via dicendo, che con tanto impegno e buona volontà sponsorizzano le direttive del governo sullo stare chiusi in casa, in apparenza per il nostri bene e per la tutela della nostra salute, questa situazione non crei particolari problemi: a parte il fatto che continuano a lavorare, e a guadagnare profumatamente, proprio per dire queste amene idiozie, queste sussiegose stupidità, ciascuno di loro è certo di poter rientrare nel normale ritmo di attività alla fine dell’emergenza, sia che ciò avvenga fra due settimane, o due mesi, o magari quattro. Vorrà dire che si saranno riposati, che avranno staccato dagli impegni più stressanti, che avranno fatto ginnastica nella palestra personale, magari con l’istruttore personale e il massaggiatore personale. E la stessa cosa, anche se in termini assai più modesti, vale per quel 15% di italiani che vive di uno stipendio o di una pensione sicuri, e che continua a ritirarli anche se resta a casa dal lavoro, ad esempio gli insegnanti che non vanno a scuola, o i ferrovieri che non viaggiano sui treni, e così via. Ma per il restante 85% che vive di un lavoro proprio o di un’attività professionale propria; per tutto quell’esercito eroico di piccoli imprenditori, di piccoli artigiani, di piccoli commercianti, che lottando quotidianamente contro le tasse (sì, proprio le tasse che evadono con tanta incoscienza e mancanza di senso civico) e destreggiandosi fra le mille, assurde disposizioni dell’UE circa la lunghezza delle acciughe pescate, o gli avvisi da appendere nei bar, sotto pena di multe da migliaia di euro; tutti gli italiani che devono seguitare a pagare affitto, bollette e naturalmente tasse, pur senza più percepire alcun reddito, senza avere più un cliente, senza sapere se e quando potranno riaprire il negozio o il locale, ebbene per tutti costoro lo stare chiusi in casa a tempo indeterminato non è quella cosa bella e piacevole che dicono i vari Fiorello, D’Urso e compagnia, ma una vera e propria tragedia. Con che cosa pagheranno la prossima spesa del mangiare, se non hanno più soldi? Coi discorsi di Conte & Casalino, o gli slogan dolciastri di Fiorello e Jovanotti? E stiamo parlando, si badi, di quell’Italia che lavora e produce e manda avanti la nazione; perché, senza offesa per alcuno, i lavoratori a reddito fisso non mandano avanti il Paese, si limitano a percepire lo stipendio, sia che vadano a lavorare, sia che non ci vadano; e se lo percepiscono è perché ci sono quegli altri italiani che, senza avere alcuna sicurezza, sgobbano e forniscono il denaro necessario per mandar avanti lo Stato, perché lo Stato possa pagare stipendi e pensioni ai suoi dipendenti.

La cosa, ripetiamo, era già evidente ben prima che il nostro Paese precipitasse, da un giorno all’altro, nell’incubo della quarantena, della sospensione delle garanzie costituzionali, della chiusura del parlamento, delle multe con denuncia per chi esce di casa senza un valido e impellente motivo, della soppressione della santa Messa, dei funerali, dei battesimi e dei matrimoni. Ed era evidente anche grazie all’intervento a gamba tesa di illustri, si fa per dire, personalità del bel mondo internazionale: ad esempio di milionari come Carola Rackete, di star di Hollywood come Richard Gere, di cantanti come Roger Waters dei Pink Floyd, accomunati dalla fortissima propensione a far la predica agli italiani perché non sono abbastanza generosi e ospitali con gl’immigrati clandestini, e ad accusarli di voler difendere egoisticamente le loro frontiere (e la loro pizza!), cosa che peraltro hanno sempre fatto tutti gli altri Paesi, in Europa e fuori, ma che agli italiani, per qualche imperscrutabile decreto del destino, evidentemente è interdetto. Ora, se gente ricca sfondata come Richard Gere o Roger Waters si mette a criticare l’egoismo degli italiani, che da anni stringono la cinghia per ripagare gli strozzini della finanza e al tempo stesso lasciano entrare in casa loro centinaia di migliaia di clandestini/invasori di ogni provenienza e con ogni tipo di fedina penale, nonché con ogni genere di malattie latenti o conclamate (un argomento tabù, quest’ultimo, eppure terribilmente vero), molti dei quali non fanno quasi in tempo a toccar terra che incominciano a ringraziare l’Italia creando ogni sorta di problemi, dal furto allo spaccio e dallo stupro al terrorismo di matrice islamica: ebbene, a quel punto le cose dovrebbero cominciare ad essere chiare, quanto meno per chi le voglia vedere. La ristrutturazione capitalistica della cosiddetta globalizzazione prevede infatti che i costi ricadano sulle spalle, o meglio sulle tasche, della gente comune, dei ceti medio-bassi (i ceti medi veri e propri tendono infatti a sparire e anzi son già quasi un ricordo del passato), per consentire ai miliardari di aumentare ulteriormente i loro capitali e, al tempo stesso, di farsi belli con presunte attività filantropiche, ma sempre facendole pagare agli altri, ai popoli e agli Stati maggiormente investiti dall’urto della globalizzazione stessa. E mentre la viziata e annoiata Carola Rackete, dall’alto dei suoi soldi e con le alte protezioni di cui gode, viene a farci le sue tele-prediche, gradita ospite di Fabio Fazio, sempre a spese nostre perché la RAI, a quanto ci risulta, è pagata da noi, così come i clandestini sono pagati da noi e non da lei o dal suo governo; e mentre Richard Gere si fa fotografare a bordo delle navi delle o.n.g. accanto ai poveri migranti «in fuga da guerra e fame», come recita il mantra del politicamente corretto, tutti giovanotti robustissimi e muscolosi, con tanto di telefonini al seguito e catenine d’argento al polso, che paiono usciti dalla palestra o dalla piscina di una villa hollywoodiana o di una puntata di Dynasty, i pensionati milanesi, torinesi o genovesi, dopo una vita intera di onesto lavoro, devono trascorrere gli ultimi anni della loro vita praticamente assediati da immigrati fuori controllo, e non osano più uscire in strada, anzi non osano neanche uscire dalla porta di casa, perché fra spacciatori nigeriani, prostitute congolesi, delinquenti senegalesi, i quartieri più poveri e trascurati son caduti in mano a tutta questa bella società multietnica e multiculturale e le stesse forze dell’ordine non osano neanche farsi vedere da quelle parti. Dal che appare chiaramente chi sono i vincenti e quali i perdenti della globalizzazione, più che da qualsiasi discorso o analisi sociologica. I vincenti sono quelli che, con essa, hanno conservato e accresciuto il loro reddito, i loro privilegi, la loro visibilità; i perdenti sono quelli che non hanno alcuna voce in capitolo e stanno scivolando inesorabilmente verso la povertà, la disoccupazione e una triste solitudine.

Ora, il lato profondamente immorale di questa situazione, oltre al fatto che i ricchi diventano sempre più ricchi a spese dei poveri, i quali diventano sempre più poveri, in altre parole che la povertà finanzia la ricchezza, come se ciò fosse la cosa più naturale del mondo, tanto è vero che pochi ne parlano e nessuno degli statisti fa nulla (ma esistono ancora, gli statisti, nell’era della globalizzazione?, o sono una merce sparita dal mercato, perché legata all’esistenza degli Stati sovrani, ora in via d’estinzione?), è il fatto che i ricchi, mentre accumulano nuova ricchezza prelevandola dai poveri, e rifiutandosi di pagare la loro parte alla società – vedi la FIAT che si trasferisce all’estero senza restituire un solo centesimo di ciò che ha avuto, per decenni, dallo Stato italiano — salgono in cattedra, o sul pulpito, a fare la morale a tutti quanti, a predicare la bontà e la misericordia, l’accoglienza e la solidarietà. Accusano i poveri di casa propria di essere egoisti, xenofobi e fascisti, e parteggiano visceralmente per i poveri stranieri, assicurando per prima cosa che essi hanno ogni diritto di risolvere i loro problemi trasferendosi in massa e abbandonando al loro destino le loro famiglie e le loro società. Di fatto, però, si vede che i "poveri" per i quali parteggiano i ricchi di casa nostra, non sono poi così poveri, visto che possono pagare fino a 5.000 dollari per farsi traghettare in Europa dai mercanti mafiosi di carne umana, il che li qualifica non come poveri, ma come benestanti, secondo i parametri dei luoghi di provenienza. Se quei soldi venissero impiegati per migliorare la produzione agricola o per sviluppare un po’ di commercio, sicuramente tornerebbero a beneficio dell’Africa anziché impinguare le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di carne umana. E se le loro intenzioni fossero trasparenti, non si presenterebbero a bordo dei barconi, ma, col denaro di cui dispongono, salirebbero a bordo di un aereo o di una nave passeggeri; e non si presenterebbero senza documenti, adducendo persecuzioni per lo più inesistenti (lo dicono i dati del Ministero dell’Interno), né incomincerebbero a protestare già nei centri di accoglienza perché il vitto non è di loro gradimento, inscenando perfino scioperi della fame (ma non scappavano dalla fame?) e perché, invece che in albergo, li sistemano nelle caserme in disuso. Quanto ai poveri di casa nostra, cioè agli ex ceti medi che si stanno impoverendo ogni giorno che passa, quando due pensionati devono arrangiarsi con pensioni da seicento euro e quando dei giovani laureati devono accontentarsi di un lavoro nei call center o come riders per consegnare la pizza a domicilio, si può ben dire che queste persone, nel nostro contesto, sono veramente ridotte alla povertà, o sulla soglia della povertà, e quindi, facendo le proporzioni, sono messe peggio della maggior parte dei cosiddetti migranti economici. Senza contare che la nostra è una cultura dignitosa, per cui un ragazzo preferirebbe crepar di fame piuttosto che piazzarsi tutti il gironi sulla porta di un supermercato per portare la borsa della spesa alle signore, o per mendicare qualche spicciolo di carità. E nessun genitore, per quanto angosciato dalle strettezze, oserebbe servirsi dei propri bambini, come avviene nella cultura dei rom, per mandarli in giro a borseggiare sugli autobus e al mercato, oppure a chiedere la carità, magari fingendo di essere storpi, e riempiendoli di botte se tornano a casa con troppo pochi soldi. Ma anche in questo caso si vedrebbe, se si facesse una rapida indagine, che quei soggetti non vivono necessariamente in orribili baracche di lamiera, ma sovente hanno ville da milionari, anzi alcuni ne possiedono diverse, e sono intestatari di decine di automobili. Che cosa strana, non è vero?

Capito, caro Richard e carissima Carola, che non siete i cavalieri senza macchia dei più poveri, ma gli utilissimi idioti di un sistema che trasferisce sempre più ricchezza ai ricchi, sottraendola agli altri? No, certo: è probabile che non lo capirete mai. Perché non vi conviene: non è nel vostro interesse. Voi siete dall’altra parte della barricata: siete fra i vincitori; noi comuni cittadini siamo i perdenti. È per questo che esistono dei partiti che fanno i vostri interessi e ci predicano senza sosta la bontà e l’accoglienza. Quali partiti? Quelli che fino a ieri c’invitavano ad abbracciare un cinese

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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