Le due Italie destinate a scontrarsi
26 Marzo 2020Gustavo Camerini, un eroe del nostro tempo
27 Marzo 2020Se vogliamo andare veramente alle radici della nostra crisi attuale, che è solo una variante locale della crisi generale della tarda modernità, non dobbiamo parlare di economia, né di finanza, né di politica, né di cultura, e neppure di religione: bensì di noi stessi. La crisi è partita da noi e sta ricadendo su di noi: tutto il resto sono le sue manifestazioni esterne a livello sociale. Inoltre ha un nome ben preciso: l’ego; la nostra è la malattia dell’ego: è l’ipertrofia dell’ego che ci ha condotti fuori strada, che ci ha sistematicamente malconsigliati, che ha ottenebrato la nostra intelligenza, paralizzato la nostra volontà e perfino sovvertito i nostri istinti. Perciò, di tutto quel che ci sta capitando, dobbiamo innanzitutto ringraziare noi stesi e fare un bel mea culpa. Certo, alcuni poteri occulti hanno sfruttato e manovrato il nostro deragliamento; ma noi eravamo già deragliati, questa è la verità, dentro noi stessi. La nostra anima era già uscita dai binari; avevamo già perso la padronanza di noi stessi e andavamo avanti alla cieca, follemente, come un convoglio ormai fuori controllo, privo di macchinista. La civiltà moderna è la civiltà dell’ego. Si usa dire che è anche la civiltà del denaro, ed è vero; ma la smania di accumulare e posseder denaro non è che una delle manifestazioni della malattia dell’ego.
È la malattia dell’ego a spingere i grandi banchieri internazionali a voler moltiplicare all’infinito i capitali, stendendo la loro paziente, bavosa tela di ragno sull’intera umanità. Il denaro li fa sentire potenti, e la sensazione di potenza è ciò di cui si alimenta incessantemente un ego ipertrofico. Questi signori sono padroni di imperi che superano, per ricchezza, il PIL di parecchi Stati: ma a ben guardare sono schiavi, più schiavi dell’ultimo dei loro sudditi; infatti le catene della brama che li avvincono sono strette dalle loro stese mani, solo che non se ne avvedono, non se ne rendono conto. Si credono liberi, immensamente liberi, ma le leggi inesorabili della finanza, così come li hanno resi immensamente ricchi, li tengono anche costantemente in uno stato di dipendenza che ignorano le persone di più umile condizione. Prigionieri di una logica perversa, scambiano la potenza con la libertà e non capiscono di essere, sì, immensamente potenti, ma al tempo stesso immensamente schiavi. Devono girare sempre con la scorta, prendere mille precauzioni, e intanto non sono liberi di godersi nemmeno un’ora del proprio tempo; non ci sono veri legami affettivi nella loro vita, usano le persone e le trattano come se fossero merce, e si condannano così a una solitudine disumana, anche se possono permettersi il lusso di pagare qualsiasi genere di compagnia, anche acquistando un apposito locale e affittando una intera orchestra, solo per godersi una serata speciale con gli amici. Ammesso che abbiano degli amici e non solamente dei mercenari ben pagati, comprese le loro mogli e i loro figli, pronti a piantarli in asso se le cose dovessero prendere, per qualsiasi ragione, una piega indesiderata.
È la malattia dell’ego a pungolare senza sosta gli uomini politici che, dietro il paravento del bene pubblico, altro non cercano se non di appagare la loro smania di potere e che, pur di arrivare alla meta, sono pronti e disposti a calpestare ogni più sacro dovere, ogni giuramento, ogni lealtà, ogni pudore. E poco importa se non si tratta nemmeno di un potere effettivo, ma della sola facciata del potere, esercitato per conto di chi li tiene al guinzaglio, o a libro paga; di chi possiede davvero le leve del potere, cioè i signori della grande finanza. Anche quella parvenza, quello staccio di potere di secondo livello, è sufficiente ad accendere le loro brame, a scatenare i loro appetiti, e a farli compiere, senza rimorsi né scrupoli di sorta, le azioni più nere, a ordire gli inganni più cinici, a farsi docili strumenti delle manipolazioni più immorali ai danni di quegli stessi che li hanno eletti, che hanno creduto in loro, che hanno riposto in essi la loro fiducia e la loro speranza. Cosa non farebbero pur di occupare quelle poltrone e di restarci il più a lungo possibile? Pur di godere di quei privilegi, pur di sentirsi al di sopra della comune umanità e di potere, volendo, con un solo tratto di penna, consegnare agli arresti domiciliari un popolo intero?
È la malattia dell’ego a spingere migliaia di giornalisti, opinionisti e sedicenti intellettuali, assieme a uno sterminato codazzo di uomini e donne di spettacolo, a farsi megafoni quotidiani di ciò che dice il governo; delle direttive che il governo vuole imporre, martellandole senza sosta nella testa della popolazione; a ripetere, come dischi rotti, ma con l’aria di chi dice la cosa giusta, la cosa corretta, la cosa doverosa, le imposizioni illiberali e antidemocratiche di chi si serve di una pretesa emergenza sanitaria per chiudere la bocca a qualsiasi opposizione, e anzi di chi riesce ad arruolare anche l’opposizione nella crociata contro un invisibile e pericolosissimo nemico, quando il solo vero nemico è quel potere finanziario che si serve di ogni occasione, anche dei virus, dei terremoti e di qualunque altro disastro naturale, per rinserrare le catene del debito e strangolare i popoli con il cappio dell’usura. Non è per timore di perdere il posto che lo fanno, perché parliamo di giornalisti, docenti e attori affermati, che hanno già l’attico (e spesso due: il secondo a New York o a Miami), e che già si possono permettere uno stile di vita che è molto, ma molto superiore a quello del cittadino comune, per conto del quale fanno finta di parlare, di scrivere, d’indignarsi e di preoccuparsi; ma è per la smania di avere ulteriore visibilità, ulteriore spazio mediatico, ulteriore gratificazione del loro ipertrofico ego. Quali menzogne non sarebbero disposti a dire, quali bugie non sarebbero pronti ad avvalorare, su quali falsità non sarebbero più che disposti a giurare, pur di assicurarsi una tribuna ancor più importante, una platea ancor più vasta? E pazienza se si tratta di una platea coatta, perché chiusa in casa e costretta a scegliere fra canali televisivi che si somigliano tutti, che dicono le stese cose, che inganno i lettori con spudorata ipocrisia, tutti allo stesso modo. Questi sono dettagli, e non è il caso di andare tanto per il sottile: l’importante è esserci. La loro psicologia è la stessa degli squallidi minivip del Grande Fratello o degli altri reality televisivi: quel che conta è apparire, essere visti da milioni di persone; tutto il resto è secondario.
È la malattia dell’ego a spingere certi magistrati ad aprire inchieste nei confronti di personaggi importanti, a dispetto del buon senso e dei sentimenti della larghissima maggioranza della gente comune, tenendo sospesa la spada di Damocle della giustizia, se giustizia si può ancora chiamare un simile abuso di potere, sopra il capo di quelli che la gente crede essere uomini di potere, e gustando il piacere di sentirsi più potenti di loro: perché i politici possono fare le leggi e governare, ma loro possono mettere in prigione anche i politici, e nessuno può fare altrettanto con loro. E pazienza se tali azioni non nascono da iniziative spontanee, ma sono l’effetto di ordini precisi che vengono dai loro fratelli massoni, superiori ad essi di grado; poco importa se anch’essi, in realtà, sono solo dei meri esecutori, e se il potere di cui s’inebriano è un potere riflesso, che non sta realmente nelle loro mani, ma che viene da molto più in alto di loro, e che essi devono servire senza discutere. Questo, in basso, non lo sa nessuno, o al massimo c’è qualcuno che può arrivare ad intuirlo, forse, ma senza averne la certezza. Quel che conta è che, agli occhi della gente comune, essi sono potenti: talmente potenti da potersi porre, in un certo senso, al di sopra della legge; perché, con il pretesto di servirla, di fatto la neutralizzano, la modificano, la abrogano, la sostituiscono, la rendono inoperante. E tutto ciò offre una immensa gratificazione al loro ego malato. Se la loro carriera avesse comportato la necessità di guadagnarsi la stima e la fiducia dei cittadini, probabilmente non sarebbero arrivati più in su di amministratore di condominio o di rappresentante d’istituto scolastico; invece hanno imboccato una strada che li mette in condizioni di essere, o di apparire, superiori a tutti quanti, e di prendersi una immensa rivincita sui loro ex compagni di università più bravi, sui loro ex colleghi più meritevoli, sui loro parenti che li disprezzavano.
Ed è sempre la malattia dell’ego a far sì che preti, vescovi e cardinali, dimentichi di ogni loro dovere verso Dio e verso quella fede che hanno giurato di difendere e custodire nelle anime dei credenti, anche a prezzo della loro vita, si sono sbrancati per mettersi a caccia di gloria sul piano personale, per rendersi popolari e graditi al pubblico, per far parlare di sé e magari per arrivare ai salotti televisivi, o agli eventi mondani, alle grandi sfilate di moda, ai mega spettacoli politicamente coretti, ad esempio pro LGBT, fino al punto di offrire le loro chiese e le loro cattedrali per ospitarli. È la malattia dell’ego che li spinge a parlare, a gigioneggiare, a strimpellare la chitarra, a sfornare la pizza dentro la casa del Signore, a rilasciare interviste a destra e a sinistra, a pavoneggiarsi nelle loro belle sciarpe arcobaleno, a sentenziare che l’inferno non esiste, che il diavolo non esiste, che non ci sarà il Giudizio finale, che tutte le fedi vanno bene, che tutti i peccati saranno perdonati anche senza pentimento; a tacere sull’aborto, a girare la testa dall’altra parte davanti all’eutanasia, perfino quella dei bambini; a salire a bordo delle navi delle o.n.g. che raccolgono gli immigrati illegali, a fianco di star del cinema e ricche miliardarie viziate che agiscono coi soldi dei finanzieri più cinici e immorali, e a sparire poi come nebbia al sole quando si tratta di soccorrere il proprio popolo, spaventato e demoralizzato, oltre che chiuso in casa, da una situazione di emergenza, dove le loro belle parole d’ordine: apertura, accoglienza, abbracci, ma sempre verso gli stranieri e preferibilmente gli africani islamici, di colpo ammutoliscono sulle loro labbra e ciascuno, clero in testa, si rinchiude nel proprio cantuccio, in attesa che la tempesta sia passata. Ora non li si sente più cantare Bella ciao alla santa Messa, anche perché non c’è più la santa Messa; ora non li si sente più dire che non fanno recitare il Credo, perché loro, tanto, non ci credono; non li si sente più sferzare lo sciacallaggio dei sovranisti, che cavalcano sempre la paura della gente, anche perché adesso sono loro i primi a dire le cose che dicevano, fino a ieri, proprio quegli stessi sovranisti, anzi si spingono assai oltre, fino a giustificare la totale soppressione delle sacre funzioni, battesimi e funerali compresi, in nome di un bene che, evidentemente, ritengono assai più importante del terzo comandamento: ricordati di santificare le feste. Adesso non hanno più bisogno di appendere cartelli sulla porta della chiesa, che intimano ai "razzisti" di star fuori, e neppure di sopprimere, di loro iniziativa, la santa Messa di Natale, per solidarietà verso i poveri migranti: adesso le chiese sono chiuse o comunque la Messa non c’è più, non ci sarà nemmeno per la santa Pasqua. Possono star contenti, era quello che volevano: o forse s’immaginano, nel turgore incontenibile del loro ego, che i fedeli non si siano accorti che tutto quel che dicevano e facevano aveva una sola ed unica radice: l’odio, inconfessato e inconfessabile, verso Cristo e il suo Vangelo, e l’amore sviscerato per tutto ciò che non è con Cristo, che è contro Cristo, dall’islam alla massoneria, dall’ateismo militante alla nuova religione dei Diritti Civili, primo dei quali il diritto al più totale disordine sessuale?
Abbiamo passato in rassegna alcune categorie di persone che occupano posizioni sociali di rilievo. La malattia dell’ego, però, non colpisce solamente loro, anche se in loro, per ovvie ragioni, è maggiormente visibile: è la malattia della nostra civiltà, quindi è la malattia di tutti. Tutti, o quasi tutti, nella loro vita e nel loro ambito sociale, ne sono vittime: vittime che coltivano con passione il morbo che li affligge, e dal quale non hanno alcuna intenzione di liberarsi. Quasi tutti gli uomini e le donne moderni soffrono di un io patologico, lo alimentano e lo servono; non esitano a calpestare gli altri, a far soffrire i loro cari, a calunniare i colleghi di lavoro, a tradire i migliori amici, pur di carezzarlo e farlo crescere ancor più. La malattia dell’ego imperversa nelle relazioni affettive, devasta le famiglie, crea tensioni insopportabili fra marito e moglie, fra genitori e figli, fra zii e nipoti, fra fratelli e sorelle. Moltissime donne, e fin da giovanissime, pur di gratificare il loro ego giocano a fare le seduttrici, collezionano amanti, si beano di vedere gli uomini impazzire di desiderio; e moltissimi uomini, pur di gratificare il loro ego, si servono delle donne per affermarsi, per salire in alto, o anche semplicemente per assaporare il piacere perverso di calpestare la dignità delle donne con le quali hanno una relazione, riducendole a supplicarle di non essere lasciate, anche alle condizioni più umilianti. La malattia dell’ego esplode non appena una persona qualsiasi si trova a disporre di un sia pur minimo potere su quanti gli stanno vicino: è la sindrome del caporale, per cui un cambiamento subitaneo trasforma le persone apparentemente miti e modeste in zelanti e inesorabili ministri dell’Autorità. Gli altri non li riconoscono più: sembrano divenuti delle persone diverse, assolutamente inimmaginabili rispetto a com’erano prima. La ragazzina che ha superato un provino televisivo e si vede già attrice o ballerina di successo, il semplice impiegato divenuto capufficio, il tenente promosso capitano, l’inquilino eletto amministratore di condominio divengono irriconoscibili e mostrano come la malattia dell’ego, in loro, fosse già latente, e attendeva solo l’occasione di manifestarsi in tutta la sua virulenza. Come si guarisce da questa terribile malattia, che avvelena la vita delle persone, crea conflitti distruttivi e ammorba il clima dell’intera società? Umanamente non ci sono rimedi né medicine; o meglio ci sarebbero, ma nessuno è abbastanza forte da sottoporsi ad esse e perseverare. E allora? E allora non resta che l’antica, infallibile medicina dei nostri nonni: il Vangelo di Gesù Cristo. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi (Mt 19,30).
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