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Padre Pio morì di dolore vedendo la setta conciliare

C’è una cosa che tutti, o quasi tutti, i devoti e gli ammiratori di san Pio da Pietrelcina sanno, ma che nessuno, o quasi nessuno, osa esprimere ad alta voce. Potremmo esprimerla mediante una serie di domande: perché padre Pio, temperamento sereno e affettivo per natura, appariva così spesso turbato e sofferente? Perché quel velo di malinconia posato quasi costantemente sul suo sguardo buono? Che cosa provocava in lui quelle tristezze improvvise, quegli sbigottimenti e quei silenzi carichi di preoccupazione? Insomma: che cosa rendeva il suo viso tanto angosciato, quasi una maschera di dolore? È facile rispondere: la sofferenza fisica legata alla sua condizione di stigmatizzato. E si può aggiungere: lì amarezza per la persecuzione cui venne, per decenni, sottoposto, e i malevoli sospetti che avvelenarono la sua esistenza terrena. Ancora: il suo ardente misticismo, il suo spirito ascetico, che lo spingevano a identificarsi con la Passione del Signore, in particolare ogni vola che celebrava la santa Messa (e che, con lui, poteva durare anche tre ore, tanto era rapito in estasi, smarrendo la nozione del tempo. I più audaci si spingono ad ammettere che egli si era offerto a Dio in olocausto, che aveva offerto le sue sofferenze quale riparazione per i peccati degli uomini e per intercedere per la loro salvezza. E senza dubbio ciascuna di queste risposte contiene una parte di verità. Nessuna, però, a nostro modesto parare, coglie pienamente nel segno: la risposta più precisa non è nessuna di queste. La risposta più esauriente è questa: egli soffriva atrocemente, nel profondo del’anima, perché presentiva che tempi terribili si stavano avvicinando non solo per tutta l’umanità, che si stava allontanando sempre più da Dio, ma specialmente per la santa Chiesa, della quale una setta scellerata stava tramando per impossessarsene, allo scopo preciso e diabolico di sovvertirla dall’interno. E come avrebbe potuto non averne piena consapevolezza, proprio lui, che, oltre alle visioni e alla vicinanza spirituale con il Signore, aveva sperimentato su di sé, per gran parte della sua vita, la malevolenza, la perfidia, la calunnia e la persecuzione sistematica, spietata, da parte dei suoi stessi superiori, e con il benestare, o cin la colpevole indifferenza, delle più alte sfere ecclesiali? Quando poi venne il Concilio Vaticano II; quando venne la sì cosiddetta riforma liturgica, in realtà una rivoluzione ideata ed effettuata dall’arcivescovo massone Annibale Bugnini, con la tacita o esplicita copertura di Paolo VI; quando alla vera religione cattolica iniziò a sostituirsi una nuova e falsa religione, la religione modernista e conciliare, che ignorava o rifiutava quasi tutto della Tradizione e che, come il protestantesimo, metteva al centro l’uomo e riduceva la fede a una relazione soggettiva e sentimentale fra l’uomo e Dio, egli vide confermati i suoi timori e comprese che il veleno dell’eresia, che da decenni strisciava entro il corpo della Chiesa per farsi strada fino al suo vertice, era arrivato sino al cuore della Sposa di Cristo e che la perfida setta stava riuscendo nel suo intento, sfruttando, come cavallo di Troia, un falso spirito di conciliazione con il mondo, e sbandierando parole come ecumenismo, dialogo iter religioso e libertà religiosa, che fino a quel momento avevano avuto, nella teologia e nella dottrina cattolica, un significato diametralmente opposto. E per avere chiaro ciò che egli pensava del Concilio e di tutte le sue strombazzate novità, sia sufficiente questo: che egli chiese e ottenne, fino all’ultimo giorno della sua vita di poter seguitare la celebrazione della santa messa secondo il vecchio rito e non secondo il novus ordo di Paolo VI. Ebbene noi pensiamo che il vedere, unico o quasi unico in mezzo ai ciechi, il male che avanzava a grandi passi; il vere lo spettacolo miserevole di una turba di chierici irresponsabili che accoglievamo festanti tutte le innovazioni, fin le più bislacche e repulsive, come altrettanto doni dello "spirito", ma non si sa bene di quale spirito, non certo dello Spirito Santo; il vedere la colpevole imprudenza e e il generale ottenebramento che faceva scambiare la resa al mondo della Chiesa per l’inizio di una nuova e straordinaria stagione di evangelizzazione, abbia fatto sanguinare il cuore del santo frate di Pietrelcina e abbia affrettato la sua morte.

Chi si è maggiormente avvicinato a questo segreto della vita di Padre Pio, che poi tanto segreto non era perché il santo non nascose quel che pesava del cosiddetto rinnovamento conciliare, ma che è sempre stato politicamente scorretto rendere esplicito, è il giornalista Antonio Socci, il quale individua il "punto di rottura" fra Padre Pio e la "nuova" chiesa che avanza nelle indignate e scomposte reazioni di una parte del clero e del mondo cattolico all’enciclica Humanee vitae del 25 luglio 1968 – il santo cappuccino sarebbe morto appena qualche mese dopo, il 23 settembre – e che scrive nel suo libro Il segreto di Padre Pio (Milano, Rizzoli, 2007, pp. 259-260):

Le stesse circostanze della morte del frate stigmatizzato potrebbero celare un mistero, un’offerta di sé che riguarda proprio il Papato. Infatti la situazione della Chiesa, in quell’autunno 1968, era cupissima. Proprio dieci giorni prima di morire, il 12 settembre 1968, il Padre indirizza una lettera pubblica a papa Paolo VI.

L’evento è del tutto insolito e va compreso. Mai Padre Pio aveva fatto una cosa simile. Quali ne erano le regioni? Principalmente la terribile crisi che stava esplodendo nella Chiesa. Il postconcilio, come ebbe a dire Paolo VI, si rivelò essere, anziché l’alba di un giorno radioso, una giornata buia e tempestosa. Soprattutto con la pubblicazione del’enciclica "Humanae vita", sulla crescita demografica del mondo e sulla morale sessuale, esplose tutta la carica di ribellione al papato che stava covando dentro la Chiesa, anche tra teologi e pastori.

E sempre lo stesso Socci, nel suo libro successivo I segreti di Karol Wojtyla (Milano, Rizzoli, 2008, pp. 98-100; 101):

Padre Pio, con quel gesto clamoroso della lettera, corse in difesa del papato e della Chiesa minacciata da una delle crisi peggiori della sua storia. Questo spiega l’eccezionalità della sua iniziativa.

Padre Pio invitò l’ordine cappuccino a essere vicino al Santo Padre, poi offrì le sue quotidiane preghiere e sofferenze "quale piccolo, ma sincero pensiero" dell’ultimo" dei suoi figli, in riparazione delle tante sofferenze inflitte al papa che penava "per le sorti della Chiesa, per la pace del mondo, per le tante necessità dei popoli, ma soprattutto per la mancanza di obbedienza di alcuni, perfino cattolici".

A questo proposito lo ringraziò per la "parola chiara e decisa" pronunciata con la "Humane vitae" e solennemente scrisse: "Riaffermo la mia fede, la mia incondizionata obbedienza alle Vostre illuminate direttive". Chiedendo infine la sua apostolica benedizione per sé, i confratelli, per i figli spirituali, i gruppi di preghiera e le iniziative di carità.

Non era solo un incoraggiamento Padre Pio si offriva ancora, e stavolta in modo definitivo, come vittima in difesa del Papa e della Chiesa in un momento drammatico della sua storia. E infatti così immolò la sua vita come aveva chiesto fin dalla sua consacrazione sacerdotale (dopo 50 anni esatti di crocifissione come gli era stato predetto). Infatti, dieci giorni dopo quella lettera a Paolo Vi, trascorso il 50°anniversario delle sue stimmate (il 20 settembre), Padre Pio morì improvvisamente.

Il senso di quella morte offerta si coglie dalle parole di Paolo VI, il 15 febbraio 1970: "La Chiesa anch’essa ha bisogno di essere salvata da qualcuno che soffre, da qualcuno che porta dentro di sé la Passione di Cristo".

Una figlia spirituale del cappuccino come Cleonice Morcaldi ha testimoniato che già un prelato vaticano, subito dopo la morte del frate , le disse: "Padre Pio è morto di crepacuore per quel che succede nella Chiesa di Dio". E altri testimoni hanno aggiunto le considerazioni drammatiche che il santo faceva sullo smarrimento del mondo ecclesiastico "Negli ultimi giorni della vita un fatto lo faceva soffrire: ‘Si tace di fronte al male! Non si parla più dell’aldilà; non esistono più i Novissimi!’".(…)

Non possiamo sapere da quanti mali il sacrificio di padre Pio abbia protetto la Chiesa e il papa. Di sicuro in quegli anni l’assalto al papato e alla Chiesa e al Papato fu tale che si poteva temere potesse veramente prevalere. Del resto è stata la Madonna in persona, apparendo alla mistica Luigina Sinapi, figlia spirituale di padre Pio di cui è in corso il processo di beatificazione, a svelare il senso e il valore del sacrificio di padre Pio in quel tempo: "Ci voleva una grande vittima nei momenti attuali della Chiesa".

Questo è un aspetto che, non a caso, viene sottaciuto dalla maggioranza degli studiosi cattolici, e particolarmente da quelli di area progressista, vale a dire il 90% e più di quanti hanno accesso al grande pubblico mediante le maggiori case editrici, le riviste e le reti televisive: il fatto che san Pio era letteralmente angosciato per la deriva modernista della Chiesa cattolica, apparsa in tutta la sua drammatica evidenza dopo la pubblicazione della Humane vitae. Era il 1968 e cominciavano a spuntare, come funghi velenosi dopo la pioggia, i primi frutti del Concilio. Teologi come Rahner, Küng, Schillebeeckx, sfidavano apertamente il Magistero e pretendevano di modificarlo e di rifarlo ogniqualvolta non si adattava ai loro schemi rivoluzionari. Il papato, in effetti, era già "loro", perché sarebbe un gravissimo errore di prospettiva storica ritenere Giovanni XXIII e Paolo VI estranei alla rivoluzione modernista e alla penetrazione delle logge massoniche al vertice della Chiesa; e tuttavia i primi papi della nuova era, diciamo pure della nuova religione conciliare, talvolta puntavano i piedi, facevano un po’ di resistenza, come nel caso di Paolo VI con la Humanae vitae nell’ambito della questione demografica e della sfera sessuale; allora subito la setta conciliare si metteva a ringhiare e a mostrare i denti. Lo abbiamo visto, in forme ancor più esplicite e sconcertanti, durante il pontificato di Benedetto XVI, quando non c’erano quasi un atto o sua parola del pontefice che non scatenassero un baccano d’infermo da parte dei teologi e dei vescovi ultraprogressisti, ecumenisti e fautori della "chiesa in uscita", i quali vedevano in lui un protervo reazionario, un ostacolo sulla via della piena applicazione del Concilio, nonché un fomentatore di odio verso i non cattolici. Si pensi solo alle reazioni di certi prelati tedeschi al discorso di Ratisbona, quando, del tutto in malafede, qualcuno pensò bene di accusare il papa di anti-islamismo e fece in modo che mezzo mondo si mobilitasse contro di lui, a cominciare dalla cancelliera Angela Merkel, che non perse mai un’occasione di puntare l’indice contro di lui, vuoi per un presunto atteggiamento anti-islamico, vuoi per una presunta compiacenza verso i negatori della Shoah, come si vide all’epoca del caso Williamson.

Ebbene, san Pio vide avanzare la nera marea fangosa: non la previde, la vide e ne stimò tutta la tragica portata; comprese che per la Chiesa si stava avvicinando a grandi passi l’ora del cimento supremo, e che il pericolo mortale stava arrivando dal suo interno, non da fuori; e ne soffrì come di una vera passione, come soffriva fisicamente e moralmente per la Passione di Cristo ogni volta che celebrava il Sacrificio eucaristico. Per questo si offrì in olocausto, vittima innocente per le colpe dei cattolici apostati. La sua non fu una morte naturale: morì di crepacuore per ciò che stava accadendo nella Chiesa. Aveva sopportato la propria persecuzione per tutta la vita, senza protestare; ma non sopportò di vedere che, nella persona del papa, si voleva perseguitare un’altra volta Gesù Cristo. Si ricordi che era un mistico, ma coi piedi ben piantati sulla terra: era bene infornato e possedeva una cultura teologica tutt’altro che scarsa, per cui capiva perfettamente che la setta conciliare stava attuando uno vero e proprio stravolgimento della dottrina; sapeva inoltre che ciò era dovuto a un fattore preciso: la massoneria infiltrata nella Chiesa. Per questo diede a don Luigi Villa la sua benedizione e il mandato spirituale di condurre le sue pericolose indagini per smascherare i pastori felloni, come Bugnini. Ma il male era già troppo avanzato: il B’nai B’rith aveva già imposto la sua agenda al Concilio, e ora era impossibile tornare indietro, ricuperare la giusta prospettiva, non tanto verso il giudaismo, quanto verso il concetto stesso di libertà religiosa, piegato a una terribile falsificazione in nome del dialogo. Noi personalmente abbiamo conosciuto dei vecchi e santi sacerdoti, colti e pieni di carità, che sono morti di crepacuore davanti allo spettacolo della Chiesa occupata e sfigurata da codesti criminali. Siamo persuasi che anche i cardinali Caffarra e Meisner siano morti per lo stesso motivo: di dolore e angoscia, dopo che Bergoglio aveva rifiutato di rispondere loro e perfino di riceverli in privato. E siamo altrettanto convinti che Socci sabbia colto nel segno: il grande cuore di san Pio, che aveva affrontato impavido cento battaglie, anche col Diavolo in persona, non resse al pensiero straziante che Satana entrava da trionfatore nella Chiesa…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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