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Ora, almeno, le cose diventano più chiare

Dobbiamo "ringraziare" il Coronavirus perché le cose, in questa situazione di emergenza, sono finalmente divenute molto più chiare: è nei momento di crisi, infatti, che emerge la nuda verità delle persone e si vede chi è fatto di stoppa e chi di carne e sangue.

Credevamo di vivere in una democrazia. Ora abbiamo scoperto che un signor X può chiudere il Parlamento con un tratto di penna e consegnare in casa sessanta milioni di persone, e nessuno si azzarda a dire "bah": nessuno, dal presidente della Repubblica in giù. Neanche Mussolini era arrivato a tanto. Osserviamo, per inciso, che se al governo ci fosse stato ancora Salvini, quelli stessi che ora invocano lo stato di necessità, dura lex, sed lex, si sarebbero messi a starnazzare come anatre, denunciando con gran clamore e con parole di fuoco l’attentato alla democrazia e l’instaurazione della dittatura.

Credevamo di avere una sanità pubblica di livello europeo, per la quale paghiamo fior di tasse, e abbiamo scoperto di averne una da Terzo Mondo, con un numero di posti letto, di attrezzature per la terapia intensiva e perfino di mascherine antibatteriche per il personale medico e infermieristico, ridicolmente inferiori alle necessità di una situazione d’emergenza. La quale oggettivamente non è particolarmente drammatica: non siamo in presenza di una pestilenza, ma di una influenza un po’ più cattiva delle solite e che si diffonde più velocemente. Perciò il dramma non è il virus, ma la totale impreparazione della nostra macchina sanitaria, smantellata da due decenni di tagli forsennati. È come scoprire che, allo scoppio della guerra, l’esercito ha le truppe e anche i cannoni, ma non i proiettili. Si chiama imprevidenza e non è colpa dello Spirito Santo.

Credevamo che la scienza ci avrebbe detto cosa fare e come valutare un’epidemia, ma ora vediamo gli scienziati litigare furiosamente fra di loro e minacciarsi querele a causa di ciò che dicono, delle valutazioni che fanno sull’emergenza sanitaria. Si è capito che in ultima analisi comandano loro, sono loro che prendono le decisioni per il bene del popolo italiano, a loro insindacabile giudizio, e non la politica; però fra essi regna la discordia, e quindi ci domandiamo: a quali di essi dobbiamo prestar fede? Impossibile trovare una risposta: se il disaccordo regna fra i tecnici, cosa possiamo capire noi, che tecnici non siamo?

Credevamo che le forze dell’ordine e l’esercito esistessero per la nostra protezione e per la difesa dei nostri interessi vitali; che il loro scopo istituzionale fosse la tutela della nostra sicurezza contro i delinquenti e contro una eventuale aggressione esterna. Ora invece scopriamo che possono essere utilizzati per controllarci, per multarci, per denunciarci, per trattarci alla stregua di criminali per aver commesso il terribile reato di uscir di casa per fare una passeggiata di mezz’ora, o di andare a far la spesa con nostra moglie, la quale, magari, per l’età o per altre ragioni, non ha abbastanza forza nelle braccia per portare a casa le borse troppo pesanti o uno scatolone di generi alimentari. Scopriamo che è un crimine anche prendere la macchina per andare a prendere nostra figlia all’aeroporto, rientrata dall’estero dopo mille difficoltà, con un volo speciale organizzato dal Ministro degli Esteri, ma rimasta bloccata per l’assenza di treni, stremata fisicamente e psicologicamente per la totale assenza d’informazioni e la chiusura degli alberghi, che l’ha costretta a trascorre una notte di fortuna: i carabinieri possono fermarci, irrogarci una multa salatissima e far scattare contro di noi una denuncia penale.

Credevamo che la Chiesa cattolica esistesse per darci conforto spirituale, per amministrare i Sacramenti, per rafforzare in noi la fede, specialmente in momenti di particolare difficoltà; e scopriamo che essa non ha saputo dirci assolutamente nulla di confortante, ci ha lasciato senza la santa Messa, senza l’Eucarestia, senza la Confessione e perfino senza i funerali, il tutto adducendo la ragione che bisogna tutelare la salute pubblica evitando gli assembramenti. Scopriamo così che il clero dichiara inutile la fede in Dio e si rimette totalmente alla scienza per cercare la salvezza. Notiamo anche, di sfuggita, che lo stesso papa, gli stessi vescovi e gli stessi preti che c’intronavano gli orecchi tutti i giorni con la giaculatoria dell’accoglienza ai migranti, per non dire dell’ambiente, del clima, della plastica e della biodiversità, non hanno saputo dirci una sola parola buona, una sola parola spirituale, né sono stati capaci del più piccolo gesto di accoglienza e di misericordia verso di noi, le pecorelle del gregge di Cristo, rimasti frastornati e impauriti sotto la grandine del terrorismo psicologico di Stato.

Credevamo, perché ci era stato ripetuto fino alla noia, che le frontiere sono una cosa bruttissima, che bisogna lasciar entrare chiunque lo voglia, abbattere muri, gettare ponti, abbracciare i cinesi e brindare con l’aperitivo perché Milano non si ferma, e così glie l’avremmo fatta vedere noi a quei razzisti, sovranisti e populisti che parlavano di quarantene e chiusura dei confini; e ci siano trovati immersi in un incubo del quale non s’intravede la fine, nel quale l’altro è diventato un pericolo, un untore, un nemico da tenere a debita distanza, da trattare solo coi guanti e la mascherina. Ora non parlano più di baci e abbracci, divenuti un attentato alla pubblica salute e una provocazione nei confronti dei medici impegnati fino allo stremo per strappare alla morte i ricoverati negli ospedali. Non si è capito bene quando è avvenuto il cambio di rotta e quando, per esempio, quei governatori che minimizzavano e si stupivano perché alcune delle loro province erano state incluse nella "zona rossa" iniziale, e annunciavano che avrebbero chiesto la revoca di tali provvedimenti, ora predicano e invocano misure sempre più rigorose, sempre più draconiane, e pungolano il governo perché non fa abbastanza, non è sufficientemente severo, non moltiplica i divieti e non inasprisce le sanzioni per i trasgressori. Sta di fatto che questo cambio radicale è avvenuto, ed è avvenuto sotto il nostro naso: ma con una tale subitaneità, con una tale destrezza, che forse nemmeno un prestigiatore o un illusionista sarebbero stati capaci di far meglio.

Credevamo di avere un governo quale peggio non si sarebbe potuto immaginare: non eletto, non voluto, largamente minoritario nel Paese, moralmente e politicamente screditato fin dall’inizio per il cinismo con il quale è stato fatto, mettendo insieme due partiti che si odiano e che fino al giorno prima si erano rovesciati addosso valanghe di reciproco disprezzo; ma di avere, in compenso, una forte e costruttiva opposizione, dei partiti di centro destra con le idee chiare e con due giovani leader pieni di grinta e d’iniziativa, capaci d’interpretare i veri sentimenti del popolo italiano (non parliamo del terzo, la salma vivente che si ostina a intrallazzare per far gl’interessi della BCE, oltre che i suoi, come un cavallo di Troia); e di avere, inoltre, un galantuomo nel ruolo di Presidente della Repubblica, a fare da onesto arbitro nella partita sgradevole e truccata che si gioca fra governo e opposizione. Abbiamo scoperto, invece, che non esiste alcuna opposizione, perché la sedicente opposizione si è messa semmai a far la concorrenza al governo, mostrandosi più realista del re e invocando provvedimenti emergenziali ancor più duri e polizieschi: per il resto, nessuna differenza di metodo e di approccio ai problemi; nessuna idea, nessuna grinta, niente di niente. Quanto al Presidente, abbiamo scoperto che non c’è.

Credevamo che l’Unione Europea avrebbe mostrato, almeno in questa occasione, un po’ di quella coesione e di quella solidarietà che ci sono state sempre promesse e magnificate, ma che ben di rado abbiamo visto all’opera; che almeno questa volta ci sarebbe stato, da parte degli altri Paesi membri, un po’ di collaborazione con il nostro, investito per primo e in maniera più forte dal virus; che si sarebbero sospese le trattative per il tanto controverso MES, che la BCE avrebbe prontamente concesso un prestito agevolato all’Italia, o almeno che si sarebbe affrettata a tagliare gli interessi sui prestiti dei quali essa avrà bisogno per fronteggiare il blocco delle proprie attività economiche e di gran parte della produzione industriale. Invece abbiamo visto la Francia insultarci e sfotterci con dei video oltraggiosi e razzisti; la Germania trattenere per sé il materiale sanitario e requisire perfino le mascherine cinesi già acquistate da una ditta italiana, in transito sul suo territorio; l’Austria chiudere la frontiera del Brennero con l’esercito e la Slovenia interrompere il transito dei valichi alpini con delle barriere di pietre sulla carreggiata; ciliegina sulla torta, la presidente della BCE dichiarare tranquillamente che non è suo compito tener basso lo spread, e scatenare automaticamente, con tali parole non certo dette a caso, una furiosa speculazione finanziaria che in un giorno solo ha bruciato sulla nostra borsa da 70 a 100 miliardi di euro.

Credevamo anche di avere, pur nella disorganizzazione complessiva, alcune delle intelligenze più brillanti, più libere e originali al mondo, tanto nel campo del giornalismo, quanto in quelli della cultura e della scienza. Abbiamo invece scoperto una piattezza, un conformismo, una mediocrità sconcertanti in ciascuno di questi ambiti. Giornalisti e intellettuali hanno fatto letteralmente a gara nello sdraiarsi sulle opinioni più banali e, guarda caso, sulle indicazioni e le raccomandazioni del governo, approvando incondizionatamente la linea del rigore e della repressione, facendo proprio il parere dei biologi più allarmisti, e contribuendo a diffondere, con il massimo zelo, il panico fra la popolazione. È pur vero che solo i punti di vista politicamente corretti hanno trovato e trovano spazio sui mass-media di portata nazionale: se qualcuno si azzarda a esprimere un’opinione considerata eterodossa, viene subito zittito ed emarginato, come si è visto nel caso di Vittorio Sgarbi, che pure non è uso a lasciarsi intimidire. E tuttavia, magari ripiegando sui social, ci sarebbe piaciuto vedere almeno alcuni dei grandi nomi del giornalismo e della cultura porre al potere le domande scomode che tutti vorremmo fare: è logico mettere in quarantene sessanta milioni di persone per tutelarne una piccola parte? Non sarebbe stato più razionale e più semplice porre in quarantena quest’ultima? E ha senso imporre le stesse restrizioni e limitazioni ai comuni più colpiti dal virus e quelli che non registrano neppure un solo caso sospetto? E perché il presidente del Consiglio sceglie sistematicamente le ore della notte per annunciare ogni nuovo pacchetto di misure anticontagio, peraltro restando sempre nel vago e senza mai fornire indicazioni precise e con un chiaro termine temporale? Siamo l’unico Paese al mondo, Cina compresa, ad avere adottato una simile linea di contenimento e prevenzione, che comporta il blocco pressoché totale della vita nazionale: davvero siamo i più bravi e i più intelligenti di tutti?

Tuttavia le sorprese più amare e più sgradite, diciamolo sinceramente, non sono quelle venute dall’esterno, ma da noi stessi, sia sul piano psicologico che spirituale. Psicologicamente, credevamo di essere discretamente preparati ad affrontare le difficoltà e gli imprevisti della vita, e soprattutto a fare i conti con l’idea della nostra mortalità, e invece abbiamo scoperto di essere totalmente impreparati e totalmente, irrazionalmente terrorizzati dalla possibilità di ammalarci e di morire: anche se i numeri dicono che, finora, praticamente nessuno è morto solo di Coronavirus. Ci siamo chiusi ermeticamente in casa, ed invochiamo provvedimenti ancor più severi, e guardiamo in cagnesco il vicino di casa che va fuori a far due passi con il cagnolino, non tanto perché abbiamo paura della multa e delle sensazioni di legge, ma perché abbiamo una fifa nera di morire. È vero che la televisione, nostra quasi unica risorsa in tempi di quarantena, fa del suo meglio, o del suo peggio, per terrorizzarci, aggredendoci ventiquattro ore su ventiquattro con un martellamento ossessionante sull’epidemia e adoperando toni isterici e angoscianti. Noi, però, eravamo predisposti a lasciarci suggestionare al massimo, perché avevamo maturato inconsciamente una sorta di pretesa all’immunità dalle malattie e dalla morte. Il che, senza dubbio, ci rimanda non solo agli stili di vita del diabolico consumismo, ma anche al tradimento del clero ex cattolico, il quale ha smesso, da tempo, di predicarci Ricordati, uomo, che sei polvere ed in polvere ritornerai, per blandire i nostri orecchi con ritornelli assai più melodici e rasserenanti, fatti di buonismo e di misericordismo a un tanto il chilo, nello stile dell’ex buttafuori argentino indecentemente assurto alla cattedra di san Pietro. Spiritualmente ci siamo accorti della debolezza, per non dire dell’inconsistenza, della nostra fede, se cattolici, e dei nostri punti di riferimento laici, se non credenti. Ci siamo accorti di essere fragili e spaventati come bambini: perché quando i nodi vengono al pettine, si scopre di che pasta è fatto un uomo; e noi ci siamo accorti di essere fatti di stoppa.

Chissà che da tutto questo non possa venire un bene. Non sarà una cosa automatica: l’hastag andrà tutto bene è una sciocchezza, se inteso come un automatismo. Le prove non rendono le persone migliori, semmai peggiori, se non vengono vissute con la giusta disposizione di spirito. Dobbiamo riconvertire le nostre vite dalla frivolezza alla serietà, dall’incoscienza alla consapevolezza, dalla superficialità alla riflessione. Dobbiamo tornare a chiederci chi siamo e che ci stiamo a fare al mondo, perché ce ne siamo scordati, In breve, dobbiamo ripartire da zero, perché allo zero siamo arrivati, cioè al nulla. Dal nulla dobbiamo tornare al qualche cosa: non a qualsiasi cosa, bensì alla cosa giusta. La sola cosa giusta, la sola che conta, è Dio. È a Lui che, pentiti, dobbiamo ritornare…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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