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Ma quale virus?

Sono ben pochi, in Italia e nella maggioranza degli altri Paesi, a conoscere il nome di Stefan Lanka, un microbiologo tedesco divenuto virologo suo malgrado, e giunto alla conclusione, nel corso delle sue esperienze di laboratorio, che i virus semplicemente non esistono: ossia che non esistono nel senso in cui comunemente li si concepisce, come agenti patogeni che si insediano da parassiti in un organismo vivente (umano, animale o vegetale) e possono farlo ammalare, sino a condurlo alla morte. Già resosi noti al pubblico del suo Paese per aver dichiarato che il virus dell’HIV non esiste, egli 2011 egli aveva annunciato pubblicamene che avrebbe pagato un premio di 100.000 euro a chiunque avesse potuto dimostrare, con piena evidenza scientifica, l’esistenza di uno dei virus più noti, quello del morbillo. Allettati dalla bella somma furono in molti a farsi avanti e nel 2015 un tribunale gli diede torto, assegnando il premio a un ricercatore che aveva presentato una voluminosa documentazione di tipo classico. Lanka però non si è dato per vinto, ha fatto ricorso in appello e la seconda sentenza, emessa nel 2016, ha rovesciato la prima, dichiarando, con l’avallo di un gruppo di biologi, che non esiste alcuna prova scientifica a sostegno dell’esistenza del virus del morbillo. Naturalmente dell’intera vicenda si è parlato il meno possibile, in modo che all’opinione pubblica non giungesse la sconcertante notizia: gli scienziati ammettono clamorosamente che nessuno ha mai visto il virus del morbillo, pertanto è impossibile dire se esso esista realmente, oppure no. Ma allora, se questo è stato accertato nel caso del morbillo, che cosa pensare di virus più recenti, come quello dell’HIV o, ai nostri giorni, del coronavirus? Va bene che siamo tutti coscienti, chi più e chi meno, che ci è toccato in sorte di vivere ai tempi della post-verità: ma fino a questo punto? È chiaro che una simile notizia dovrebbe far scricchiolare tutto l’apparato della scienza ufficiale e in particolare della medicina occidentale moderna.

Le implicazioni della teoria di Lanka, che coincide, in ultima analisi, o quanto meno si integra alla perfezione con quella del dottor Ryke Geerd Hamer (e che questi non presenta come una teoria, ma come un’evidenza scientifica, verificabile e documentabile, sotto il nome complessivo di Cinque leggi biologiche; quella evidenza che sembra non esserci affatto nel campo della virologia) sono di portata sconvolgente. In pratica, se confermata, la tesi di Lanka (e di Hamer) è che non esistono agenti patogeni "maligni", né cellule "impazzite" cui si devono le formazioni tumorali, bensì svariate patologie che si mettono in moto quando la psiche subisce uno shock emotivo, shock che viene somatizzato in diverse maniere nei differenti organi, secondo uno schema ben preciso, documentabile e dimostrabile. L’idea di fondo è di tipo olistico: non esiste una netta separazione fra il soma, il corpo, e la psiche, l’elemento spirituale: tale separazione è un frutto relativamente recente nella storia del pensiero medico europeo, ed è stata codificata da Cartesio; su di essa, però, è stato costruito l’intero edificio della medicina moderna, a dispetto del fatto che, fino al 1500, per tutta l’antichità e il medioevo, la medicina considerasse mente e corpo come due aspetti complementari di una realtà unica. Ma cosa sono, allora, quelle entità chiamate virus dai microbiologi, e alle quali la medicina moderna attribuisce l’origine delle malattie contagiose chiamate, appunto, virali? Nient’altro che residui di batteri in decomposizione che si creano, in vitro, quando tali cellule vengono sottoposte a forti sollecitazioni, a ritmi assai velici, che non esistono in natura. In natura i batteri, se privati dell’alimentazione, si spengono lentamente; e, nei tempi lunghi, producono delle spore, che restano potenzialmente vitali per centinaia di anni, tanto da poter riprendere il loro normale metabolismo anche dopo lunghissimi periodi di quiescenza. In laboratorio, invece, le cellule che si disgregano formano un residuo acellulare, che potremmo definire "quanti di energia", ma che i biologi hanno definito virus, ossia "tossine, veleni", secondo l’etimologia latina, attribuendo loro una natura patogena. In altre parole, i virus, in natura, non esistono: si formano solo in vitro, a causa dei procedimenti artificiali cui sono sottoposte le cellule nel corso degli esperimenti. Se è così, bisogna ammettere che la scienza sperimentale ha prodotto qualcosa che non esiste allo stato naturale cui viene attribuita una natura patogena e malefica, mentre tale natura sarebbe frutto di speculazioni e non di vere osservazioni. Questa, per la verità, è un’idea che non ci è del tutto estranea da quando la fisica delle particelle subatomiche ci ha familiarizzati con l’idea che il fatto stesso dell’osservazione modifica l’andamento di un esperimento, nel senso che le particelle, ad esempio i fotoni, in laboratorio, anche se vengono solo osservati e non stimolati, si comportano in maniera così anomala da rivelare indirettamente che, in natura, si comporterebbero diversamente.

I batteri, secondo la scienza ufficiale, sono degli organismi unicellulari procarioti — cioè privi di un nucleo definito da una membrana nucleare, tipica degli eucarioti — i quali parassitano altri organismi e vi si riproducono; alcuni di essi non provocano la morte dell’organismo ospitante, nel quale possono anzi stabilirsi a milioni, senza che questo ne soffra; ad altri, invece, si attribuisce la diffusione di malattie molto gravi come il tifo, la peste, la lebbra, il colera, il tetano. I batteri comunque sono degli organismi, sia pure minuscoli; mente dei virus, che sono molto più piccoli e privi di cellula, nessuno è mai stato capace di precisare in maniera convincente che cosa realmente siano, tanto che molti biologi preferiscono collocarli in un regno a parte, posto a metà strada fra la materia organica, vivente, e quella inorganica, non vivente. In questi giorni l’Italia, l’Europa, il mondo si trovano sotto scacco a causa della pandemia del coronavirus. Le attività commerciali sono semiparalizzate, gli uffici pubblici e le scuole sono chiusi, e così i cinema, i teatri, le palestre; non si celebra più la santa Messa e molte chiese sono state chiuse; i voli da e per l’estero sono bloccati, le frontiere sono parzialmente sigillate, i turisti stranieri disdicono le prenotazioni e quelli italiani all’estero vengono rimandati indietro o messi in quarantena. Ma se il virus del morbillo non esiste, o almeno se la sua esistenza non è scientificamente dimostrata; e se la stessa cosa si può dire per quello dell’HIV, allora chi ci assicura che per il Coronavirus sia diverso? È un quesito inquietante, tale da gettare una luce completamente nuova sull’intero scenario della drammatica emergenza sanitaria che l’Europa e il mondo, ma specialmente il nostro Paese, stanno vivendo in questo mese di marzo del 2020.

Ecco il testo di un’intervista rilasciata dal dottor Stefan Lanka al giornalista Mark Pfister nell’agosto del 2018 e intitolata: I fondamenti, la validità e i limiti della conoscenza medico- scientifica. Prima parte: quali virus?, e Seconda parte: Modello cellulare?; riportiamo qui solo il passaggio iniziale della prima parte: https://www.youtube.com/watch?v=rEOSyaSgHFQ), lasciando ai lettori di visionare l’intero video, compresa la seconda parte, in lingua tedesca, ma con le scritte in traduzione italiana (https://www.youtube.com/watch?v=8WdXf9Lb6Ls):

PFISTER: Buongiorno, dottor Lanka. Sono davvero felice di poter condurre questa intervista e di poter lavorare insieme in questo programma per la corretta informazione delle persone.

LANKA: Buongiorno, signor Pfister.

PFISTER: Lei ha potuto provare, in tribunale e davanti a cinque periti ufficiali, che non vi è nessuna prova dell’esistenza del virus del morbillo. Questo significa che non sappiamo se esiste e come: non ne abbiamo alcuna prova! Vorrei parlare oggi con lei dei fatti: come si sia arrivati a questo malinteso? Cosa sono in realtà i virus, quello che viene definito virus?

LANKA: Lo si spiega facilmente partendo dal significato della parola virus, in latino tossina. C’era una dottrina medica che ad oggi si crede scomparsa. Essa continua però a mantenere sotto la nuova veste moderna, la credenza che le malattie sono causate da tossine, veleni patologici. Alla base della teoria umorale c’era la credenza che se i liquidi corporei ristagnavano, diventavamo velenosi e che potevano così diffondere le malattie all’interno del corpo; oppure anche dall’emanazione del corpo. La "mal-aria", l’aria cattiva, che si riteneva contagiosa. Sapevo come condurre la mia ricerca, perché anch’io avevo scoperto nel mare una struttura che io stesso avevo denominato virus. L’avevo identificato come un virus innocuo. Pensavo davvero fosse un virus, anche se innocuo perché non aveva fatto danni nell’organismo dove l’avevo trovato. Quindi sono andato dal mio professore, e gli ho fatto vedere quello che avevo trovato. Gli ho fatto vedere le foto al microscopio elettronico di particelle che sembravamo essere dei virus e ce n’erano miliardi. L’organismo comunque viveva senza problemi e il virus non sembrava dare effetti negativi. Così, dal 5° semestre avevo già il mio laboratorio ed ero praticamene diventato un "virologo". All’epoca non avrei mai pensato che non fosse possibile trovare un protocollo in medicina su come isolare un virus! Nella batteriologia ci sono protocolli dal 1940. Quando i batteri muoiono a causa di un cosiddetto virus batterico, si prende questo liquido, lo si mette sotto un microscopio elettronico e si vede che sono batteri. Ma si vedono anche tante minuscole particelle presenti in grande quantità, le si separa, le isola, in modo da aver solo questo tipo di mini spore, e si vede che sono, sembrano esattamente uguali…

PFISTER: … che presentano l’aspetto di virus.

LANKA: Esatto. Ed è diventato un modello, questi "virus" dei batteri, un modello anche per i virus umani. Ma quello che i biologi all’epoca non hanno colto è che quando i batteri muoiono velocemente, non hanno il tempo di creare delle spore. Se li si priva delle fonti nutritive, se è troppo caldo o troppo freddo, o in altri processi lenti, allora questi creano delle spore che possono sopravvivere per secoli. E se l’ambiente è favorevole, ricrescono alle loro stesse spore. Ma quando i batteri non ne hanno il tempo, creano mini-particelle, particelle ancora più piccole, costituite solo di cosiddetto acido nucleico, il cosiddetto materiale genetico, circondato da un involucro proteico. E sono tutti uguali. E sono loro la causa della morte dei batteri. No, in natura i batteri non muoiono mai, se queste particelle vengono aggiunte. Questo lo fanno solo batteri ipercoltivati e labili, che, appena li si giarda in modo "storto", si riconvertono nel materiale da cui erano sorti. Questo era un breve excursus. Da queste strutture nascono i batteri e i nostri tessuti utilizzano a loro volta batteri come componenti per rigenerarsi. E qualcosa come quello che viene chiamato batteriofago, divoratore di batteri, per usare una denominazione scorretta, l’ho scopeto in mare. Uno più grande, una catena di acido nucleico un po’ più lunga, e pensavo fosse un virus. E così ero un virologo! All’epoca, avevo adottato anch’io il concetto dell’HIV, ossia che esistesse questo virus e che fosse mortale. Fino a quando un professore austriaco, uno specialista della cosiddetta genetica e dell’acido nucleico, che mi diede il permesso di usare il suo laboratorio, siccome non avevo ancora tutti gli strumenti né tutto il sapere… E con lui ho stretto un rapporto di amicizia,. Un giorno mi chiese, dandomi del tu come fanno gli austriaci: «Stefan, hai verificato la storia dell’HIV?». Risposi: «Tutto il mondo lo dice!». Egli mi rispose che non stava chiedendo al mondo, stava chiedendo a me. Diventai rosso in viso e risposi: «No… non l’ho fatto». Mi diede una tessera con cui potevo fotocopiare gratis e mi disse: «Fai una copia di tutto quello che leggi e lasciamela in ufficio». E ogni venerdì pomeriggio discutevamo della ricerca. In biblioteca ho poi capito che scritto il titolo "virus", ma nella pubblicazione stessa non parlava di alcuna struttura, nemmeno una struttura vista in un essere umano, nel sangue o in qualche altro liquido corporeo. Anche nel morbillo o quello che si chiama morbillo, che si vede in bocca, nelle macchie sul corpo o tipiche manifestazioni del morbillo, da nessuna parte si è visto nell’essere umano, ma sempre particelle in cellule morenti. E così siamo arrivati al punto: nelle cellule morenti! Ed è proprio questo il punto. Diversamente rispetto ai batteriofagi, che esistono e che dal 1940 vengono isolati in modo classico, come le monetine all’interno di un salvadanaio a maialino, insieme a bottoni, cicche, pezzettini di carta. Allora si separano i diversi componenti e ci sono dentro 11 monete da un euro. Guarda. Prima fotografo l’interno del maialino, con i suoi frammenti. Poi isolo le parti, le cicche, i pezzettini di carta, i bottoni, tolgo tutto, e rimangono le pure monete di euro. E poi le fotografo di nuovo e dico: «Guardate, sono pure». Non c’è quindi alcun centesimo di dollaro o vecchie lire, o sterline. 11 pure monete da un euro. Poi prendo queste monete e applico la biochimica. E vedo che sono effettivamente composte da questi tre metalli, nelle stesse percentuali e con lo stesso peso specifico. Sono veri euro! Questa si chiama biochimica. E questa verifica non è riuscita per nessun virus che si presume produca malattia negli uomini, negli animali o nelle piante. L’avevo già capito durante i miei studi. Non avevo all’epoca ancora nessuna idea su cosa ci faccia realmente ammalare. Questo mi divenne chiaro solo in seguito, grazie ai contatti col dr. Hamer…

Vale la pena, ripetiamo, di ascoltare l’intera intervista prima di formulare delle conclusioni. A noi sembra comunque estremamente notevole il fatto che cinque eminenti studiosi, appositamente interpellati per dirimere, una volta per tutte, la vexata quaestio, hanno dovuto concludere che non esiste la prova dell’esistenza del virus del vaiolo. Estendendo questa affermazione anche agli altri virus, risulterebbe che i biologi hanno creato una entità inesistente per poterle attribuire l’origine di una serie di malattie. Noi personalmente non possediamo la competenza scientifica per aderire alla tesi di Lanka; ci sembra tuttavia sorprendente che gli scienziati, e specialmente i biologi, non abbiano ritenuto di approfondire una questione di tale portata, che, se quella tesi risultasse confermata, rivoluzionerebbe totalmente le nostre idee sulla salute, sulla malattia e sulla medicina ufficiale, quella che viene insegnata all’università e l’unica che un medico o un biologo riconoscano come certa e vera. E non meno strano ci pare il silenzio dei divulgatori scientifici e dei giornalisti specializzati, ai quali dovrebbero sorgere molte domande e che dovrebbero renderle note al grande pubblico, sempre con la doverosa prudenza, ma anche con quel pizzico d’intraprendenza e di anticonformismo che dovrebbero far parte della loro professione. Questo, almeno, se si parte dal presupposto che noi attualmente viviamo in una società libera e democratica, dove tutte le ricerche e tutte le teorie scientifiche possono trovare cittadinanza, salvo poter essere falsificate, secondo la nota affermazione di Karl Popper. Il quale sostiene che una teoria è scientifica appunto se può essere falsificata, ossia se si può trovare almeno un caso anomalo che confermi, per la sua irriducibilità a uno schema generale, la bontà della teoria stessa; mentre non è falsificabile una teoria, come quella della psicoanalisi freudiana, la quale non può essere mai falsificata, nel senso che non ammette eccezione alcuna, perché offre una spiegazione pronta e infallibile per qualsiasi caso particolare, anche il più anomalo.

Ci sembra che vi sia, qui, ampia materia di riflessione, su ciò che sappiamo e su ciò che non sappiamo, e tuttavia crediamo di sapere, nel’ambito della scienza, specie nel momento in cui gli scienziati, in presenza di un evento calamitoso, come una pandemia, del quale ritengono di avere la conoscenza esclusiva, pretendono poi di esercitare un’azione decisiva a livello politico globale, scavalcando la normale dialettica parlamentare e zittendo qualsiasi eventuale obiezione sul piano dell’informazione che viene data ai cittadini. Lo avevamo già visto, anche di recente, ad esempio quando si aprì un certo dibattito a proposito dell’efficacia, della pericolosità e della obbligatorietà dei vaccini, specie quelli prescritti ai minori. Non fosse altro che per questo, ossia per le ricadute concrete sulla nostra vita, ci pare che sarebbe estremamente utile l’apertura di un ampio e libero dibattito sui fini e sui limiti del sapere medico, nonché sulla liceità delle critiche e delle obiezioni che possono essergli rivolte, non nell’ottica di attaccare irragionevolmente la scienza, ma in quella di presidiare il valore essenziale della libertà delle persone, sia in tempi normali che in tempi eccezionali. Una volta sospese le libertà fondamentali col pretesto di un’emergenza sanitaria, infatti, è difficile sapere dove si andrà a finire, e cioè se verrà mai più ristabilita la situazione esistente alla vigilia di quell’evento, o se la legislazione eccezionale non diverrà la nuova "normalità" calata sul corpo sociale, nonché il bavaglio imposto all’informazione e alla cultura.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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