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Suvvia, perché non lo dite che non ci credete?

L’epidemia di coronavirus è piombata come un vento di tempesta sulla putrida palude di un quietismo e di un conformismo che per i cattolici erano divenuti ormai l’abito di tutti i giorni, dietro il quale tener gelosamente nascosta, anche a se stessi, la semplice ma decisiva verità della perdita della fede. Di colpo sono cadute le finzioni, le ipocrisie, le mezze verità; non solo per i laici, ma anche e soprattutto per il clero. E una cosa è apparsa evidente: che non appena la forza degli avveninenti li ha messi con le spalle al muro, quasi tutti i sedicenti cattolici hanno alzato bandiera bianca e si sono dichiarati per ciò che effettivamente erano diventati già da molto tempo: dei mezzi credenti, dei semi credenti, dei credenti della domenica, o, come diceva con chirurgica precisione Kierkegaard, dei cristiani fino a un certo punto. Cioè: fino a quando si resta nel regno delle chiacchiere, dove ciascuno può dire quel che vuole senza timore di smentita da parte dei fatti. Ma quando i fatti si sono incaricati di bussare rudemente alla porta, le chiacchiere sono ammutolite ed è rimasta la cruda realtà: che quasi tutti i sedicenti cattolici non sono realmente tali, sono degli uomini moderni in tutto e per tutto; che non credono più in Dio, e tanto meno nel Dio di Gesù Cristo, ma nella scienza, nella tecnica, nel progresso, nel denaro, nelle cose materiali. Ora, la modernità è il contrario del cristianesimo: non si può essere cristiani moderni; è una contraddizione in termini. Essere moderni significa credere nel mondo, appartenere al mondo; essere cristiani significa appartenere a Cristo e vivere nel mondo, senza però appartenere al mondo, per la semplice ragione che non si possono servire due padroni. Ecco qui il grande inganno, la grande menzogna del cristianesimo moderno, in particolare del cattolicesimo postconciliare: che si possano servire due padroni nello stesso tempo, sia Dio che il mondo. E invece no. Dio è un signore geloso, come sono gelosi i veri amici: felici solo del nostro bene. Il vero amico non pensa che, de noi ci mettiamo su una strada sbagliata e pericolosa, lui deve stare sa guardare mentre ci perdiamo, per un senso malinteso di rispetto della nostra libertà. Se vede che stiamo andando verso il precipizio, il vero amico ci scuote con tutte le sue forze, cerca di trattenerci in ogni modo: preferirebbe perdere la nostra amicizia piuttosto che vederci perire miseramente. Ebbene, tale è l’atteggiamento di Dio verso gli uomini. È geloso di loro, ma non nel senso che Egli sia possessivo, ma nel senso che vorrebbe solo il nostro bene; e se noi scegliamo il nostro male, Egli farà di tutto per distoglierci. Metterà sulla nostra strada delle buone occasioni, ci farà incontrare delle anime sante, ci farà trovare delle felici coincidenze: le proverà tutte per distoglierci dalla via rovinosa che abbiamo intrapresa. Ma se, ciononostante, noi vorremo perseverare e non dar retta ad alcuno; se vorremo perderci lucidamente, consapevolmente, Egli infine ci lascerà andare, perché non vuole fare di noi i suoi burattini. Non ci considera dei servi, ma degli amici: amici per i quali il Figlio si è incarnato e ha dato la sua stessa vita. Dice Gesù agli Apostoli (Gv 15,12-17):

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri.

Ora è venuta l’epidemia del coronavirus e il re è rimasti nudo, in mutande. Il papa, o meglio quel signore che si spaccia per tale, si è dato malato e per una settimana lo hanno visto ben pochi; ha annullato quasi tutti gli impegni, compresa la partecipazione al ritiro quaresimale della Curia romana, a causa di un raffreddore. Una sobria nota dell’ufficio stampa vaticano ha fatto sapere ai fedeli che era stato leggermente indisposto; poi, però, trionfalisticamente, un’altra nota ha chiarito che è risultato negativo al tampone per accertare la presenza del virus. Benissimo: buon per lui. Strano però che perfino in questi giorni, finché è apparso in pubblico, abbia continuato a predicare, come un disco rotto, come ormai fa quasi ogni giorno da sette anni a questa parte, il dovere cristiano di accogliere incondizionatamente i clandestini che si presentano a bordo di barconi e barchini, al 95% e oltre non come veri profughi, ma finti, che pagano anche 5.000 dollari ai trafficanti di uomini, secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Interno. Contemporaneamente, in Vaticano, nessuno ha mai visto un profugo, vero o falso; nessuno ha mai visto un clandestino. I barboni che dormivano in piazza San Pietro, sotto il colonnato del Bernini sono stati allontanati a tempo dalla gendarmeria. Il papa più misericordioso della storia vuole fare il misericordioso con i confini dell’Italia, con le risorse dell’Italia, con l’ordine pubblico dell’Italia, ma dentro le Mura Leonine non vuole né stranieri, né mendicanti; inoltre non vuol correre rischi con il coronavirus. Peccato si sia del tutto scordato di dire una parola buona, non diciamo una preghiera, per gli italiani alle prese con l’epidemia. Né ha donato all’Italia un solo centesimo, una sola mascherina; in compenso ne ha regalate centinaia di migliaia alla Cina, il cui governo, come dice monsignor Sorondo, è quello che più si avvicina a realizzare la dottrina sociale della Chiesa. Buono a sapersi: è giusto che tutti lo sappiano e ne prendano nota.

Quanto alle chiese sprangate, alle Messe soppresse e ai funerali sospesi, bisogna tuttavia osservare che non facevano così i pontefici del passato. Né facevano così i vescovi del passato: quanto scoppiava un’epidemia, anche assai più grave di quella attuale, ad esempio di tifo, di colera, di peste, invitavano tutti quanti alla preghiera e le chiese, in tali occasioni, si riempivano all’inverosimile di fedeli che supplicavano Dio di avere misericordia dei suoi figli e delle sue figlie. Bravi fessi, dice la cultura moderna: in tal modo il contagio si propagava molto più in fretta e mieteva molte più vittime. Se si fossero chiusi in casa, se avessero evitato di affollarsi nei luoghi pubblici, quante vite sarebbero state risparmiate! E così la pensano i vescovi odierni, tutti figli del Concilio Vaticano II e della centralità dell’uomo nel fatto religioso, tutti esponenti della chiesa in uscita e in gran parte vescovi rock, o vescovi di strada, o vescovi pizzaioli, nel senso che trasformano le loro cattedrali in pizzerie per offrire la pizza ai poveri, in modo che tutti sappiano che le chiese non servono per pregare e non sono neppure la casa del Signore, come accadeva ai tempi dell’aborrito clericalismo, ma servono, oggi, per sfamare i poveri (una volta l’anno, e solo alla presenza dei giornalisti: tanto per rispettare l’esortazione evangelica affinché la mano sinistra non sappia l’elemosina che fa la destra!). Quello di Bologna, tanto per fare un esempio, ha fatto esporre sulla porta delle chiese della sua diocesi dei cartelli nei quali si avvisava che la santa Messa domenicale non è più di precetto, ma è divenuta un atto completamente libero e volontario. Quello di Milano è andato ancora oltre: ha fatto chiudere il Duomo — poi l’ha riaperto, ma sempre col contagocce – e ha lasciato i milanesi senza la santa Messa. Disposizioni tassative del prefetto, si è affrettata a far sapere la curia; ordini del prefetto, hanno ripetuto, con aria di circostanza, i suoi zelanti sostenitori, tutti i cattolici progressisti e modernisti. (Peccato che il cardinale Karjewski, l’elemosiniere del papa, quello che ripristina la corrente agli occupanti di case abusivi che non pagano affitto né bollette, non perché in possono, ma perché non vogliono, e poi scarica la bolletta sulla collettività, pur avendo promesso che l’avrebbe pagata di tasca sua, non la pensi così quanto al rispetto delle leggi; ma pazienza, non tutti possiedono la qualità della coerenza). Eh, sì: ovvio che bisognava fare in quel modo. Non solo per il rispetto delle leggi, ma anche perché qualsiasi ignorantone sa quel che dice la scienza moderna: che i virus si diffondono quando non vengono isolati, perché, per riprodursi, hanno bisogno di un organismo da parassitare; e dunque, niente folla e niente assembramenti. Almeno il papa Gregorio Magno e l’arcivescovo san Carlo Borromeo avevano la giustificazione che, ai loro tempi, nessuno sapeva quale fosse la causa delle epidemie, perché i virus sono stati scoperti solo verso la fine del XIX secolo; ma oggi che lo sappiamo, sarebbe stato imperdonabile ignorare ciò che dice la scienza e fare come facevano quei nostri ingenui e rizzi antenati; sarebbe stato patetico e masochistico affollarsi in chiesa a pregare, non parliamo poi di fare processioni per invocare l’intercessione della Vergine Santissima, degli Angeli e dei Santi. No, ma quando mai. Siamo cattolici moderni ed emancipati; siamo cattolici adulti, figli della svolta antropologica e la nostra religione non è più il cattolicesimo (e del resto Dio non è cattolico, lo dice perfino il papa), ma il Concilio Vaticano II; noi non crediamo più al Vangelo, ma alla Nostra aetate, alla Dignitasi humanae e alla Gaudium et spes; noi non siamo più seguaci di Cristo, ma seguaci della scienza e della tecnica.

Il simbolo di questa resa alla cultura moderna è in quell’acquasantiera dalla quale è stata tolta l’acqua benedetta e un bravo parroco modernista ha messo, in sua vece, una bottiglietta di disinfettante: di quelle che permettono di sciacquarsi le mani senza toccare che una minima superficie, con la punta del dito, schiacciando lo stantuffo. Che bello, vivere al tempo della scienza moderna: come siamo fortunati. E che bella cosa essere cattolici moderni, e sentirsi custoditi dalla sollecitudine dei pastori moderni. Si preoccupano di metterci a disposizione il disinfettante; e pazienza se sospendono la santa Messa, per non parlare del Rosario o dell’adorazione Eucaristica. Tanto, la Messa può aspettare, l’igiene del corpo no. E quel parroco, senza dubbio, si è sentito un ottimo pastore del suo gregge di pecorelle, nel togliere l’acqua benedetta e mettere al suo posto una bottiglia di disinfettante: quella sì che è premura verso i suoi parrocchiani, quello sì che è amore del prossimo! Anche i responsabili del santuario di Nostra Signora di Lourdes si son sentiti certamente degli ottimi custodi del gregge nel chiudere le piscina dell’acqua miracolosa: che diamine, bagnarsi in quell’acqua può andar bene in tempi ordinari, tanto, se pure non guarisce, male però non ne fa; ma immergersi di questo tempi nella stessa acqua dove si bagnano tante persone, be’, lasciateci dire che questa sarebbe incoscienza bella e buona; questo sarebbe un andarsi a cercare le grane con il lanternino. Come dite, voi là in fondo? Che la forza del cristianesimo è tutta nella preghiera, e che quando si ha fede, e si prega con fervore, non solo non bisogna temere il contagio, ma addirittura bisogna star certi che Dio ascolterà le nostre invocazioni? Eh, via: lasciamo queste cose nelle pagine della Bibbia. La Bibbia è un libro antico; e poi, chissà cosa è successo veramente. Mica c’erano i registratori, al tempo di Gesù Cristo, per sapere cosa veramente ha detto e fatto. Chi lo sa, forse tutta la faccenda dei miracoli, delle guarigioni dei malati e dei paralitici, delle liberazioni degli indemoniati, è solo un pio racconto devozionale. Forse aveva ragione il teologo protestante Rudolf Bultmann: bisogna togliere i miti e restituire il cristianesimo alla sua nuda verità storica. E la verità è che Gesù non faceva miracoli perché i miracoli, come dice giustamente Voltaire, sarebbero una sospensione dell’ordine naturale; mentre Dio non agisce se non all’interno dell’ordine naturale, e questo lo pensa e lo dice continuamente Bergoglio, ma lo pensano e lo dicono anche i vari Kasper, Sosa, Paglia, Bianchi, ecc. E l’altra ragione per cui Gesù non faceva miracoli è che non poteva farli, non essendo altro che un profeta, cioè un semplice uomo: come dicono, ancora, Bianchi e lo stesso Bergoglio. Quest’ultimo fatto lo ha reso noto Eugenio Scalfari, e non ci risulta che Bergoglio lo abbia smentito. Dunque, eccoci finalmente giunti al crocevia: di qui si resta cattolici, di là si diviene modernisti, o ex cattolici, meglio ancora anticattolici. E tutto ciò grazie all’epidemia di coronavirus. Se non fosse altro che per questo, dovremmo quasi ringraziare la sorte: ci ha permesso di far chiarezza, prima di tutto in noi stessi. Perciò, cosa vogliamo essere: cattolici o modernisti anticattolici? Per scegliere quale via seguire, basta che ci poniamo onestamente la seguente domanda: crediamo alla forza della preghiera, sì o no? Crediamo che Dio Padre ci ascolta, che Gesù ci ascolta, che lo Spirito Santo ci ascolta e ci consiglia, e che la Vergine Santissima, gli Angeli e i Santi intercedono per noi; oppure no? Se crediamo a queste cose, allora è segno che vogliamo restar cattolici e seguire la strada che i nostri genitori, i nostri nonni e i nostri antenati hanno sempre seguito, in accordo con il Magistero perenne della Chiesa. Se non ci crediamo, allora è giusto porre termine alla finzione, e mettersi per un’altra strada: quella aperta dal Concilio Vaticano II. Il quale non è stato un dono dello Spirito Santo, come dicono i suoi apologeti, ma un’ispirazione del Maligno, il quale come sempre, come fece con Eva nel Giardino terrestre, ha fatto leva sull’orgoglio umano, sull’invidia nei confronti di Dio: sarete come Lui. Ma prima di scegliere, ascoltiamo un’ultima volta la Parola di Gesù Cristo (Gv 14,13-14): Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualcosa nel mio nome, io la farò.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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