Il Vangelo? È per gli squilibrati: parola di Bergoglio
3 Marzo 2020Suvvia, perché non lo dite che non ci credete?
4 Marzo 2020Parlando dei suoi "maestri" e dei suoi teologi "preferiti", Bergoglio fa spesso riferimento al cardinale Walter Kasper, a sua volta discepolo diretto del discusso Karl Rahner e dell’eretico Hans Küng, e al sedicente monaco Enzo Bianchi, divenuto figura di primo piano alla corte del signore argentino, pur non essendo nemmeno sacerdote (cosa che non ha impedito al suo illustre discepolo di carezzar l’idea di farlo vescovo e magari cardinale). Tuttavia, accanto a loro e più di loro, sul pensiero teologico, se così possiamo chiamarlo, di Bergoglio, ha influito l’insegnamento di un teologo sudamericano che qualche decennio fa ha avuto il suo spettacolare momento di gloria negli ambienti ultraprogressisti della Chiesa e specialmente nell’ambito della teologia della liberazione, della quale stato considerato una delle voci più autorevoli: il brasiliano Leonardo Boff, classe 1938, autore di oltre cento libri, ex frate francescano ed ex sacerdote. Ex, perché oggi vive felicemente con una compagna, Marcia Maria Monteiro, e con i loro sei figli adottivi, dopo aver lasciato l’ordine e il sacerdozio nel 1992, punto d’arrivo di un lungo contrasto con la Chiesa che aveva conosciuto la svolta decisiva nel 1984, quando aveva dovuto presentarsi a Roma, davanti al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, per giustificare alcune sue posizioni ritenute incompatibili con la dottrina cattolica e con lo stato sacerdotale. Quali posizioni, esattamente? Ci limiteremo a dire che Boff era, e è sempre stato, estremamente critico verso la gerarchia ecclesiastica, da lui ritenuta una struttura di potere; ha sempre messo gli uomini, e più precisamente i poveri, al centro della sua teologia; ha sempre mostrato la tendenza a delineare una teologia olistica, ossia facente perno sui temi dell’ambientalismo; è favorevole al sacerdozio femminile; è stato un sostenitore del presidente di sinistra Lula da Silva (quello, per intenderci, che negò al’Italia l’estradizione del terrorista Cesare Battisti e che poi è finito in galera per corruzione, e dovrà affrontare a breve il processo definitivo), salvo poi distaccarsene, perché lo giudicava troppo moderato; infine ha sempre mostrato una spiccata simpatia per il marxismo, tanto che dopo il 1992, passato tranquillamente ad insegnare in una università statale, si è accreditato come uno dei maggiori teorici marxisti all’interno della cultura brasiliana odierna. Ebbene: sono tutti temi costanti nella pastorale, si fa per dire, del signor Bergoglio: i poveri, l’ambiente, le donne, la sinistra, la critica incessante al "clericalismo" e al "conservatorismo" della Chiesa, vista quasi come un’entità nemica, una cittadella da prendere d’assalto. Su Ratzinger, in particolare, divenuto poi Benedetto XVI, il giudizio di Boff era molto duro, perché lo accusava di concepire una Chiesa "fuori della storia" e autoreferenziale, che non ammette alcuna verità al di fuori di se stessa (cosa perfettamente logica e naturale dal punto di vista cattolico; e nessuno costringe il signor or Boff a dirsi cattolico); ma anche il giudizio su Giovanni Paolo II era duro, perché, a suo parere, aveva tradito il famoso "spirito" del Concilio, tentando di riportare la Chiesa su posizioni preconciliari. E anche questo giudizio, benché certo non confessato (e non confessabile) deve aver pesato nelle relazioni fra Bergoglio e il papa emerito. Sta di fatto che Bergoglio ha sempre parlato con stima e simpatia di questo ex francescano ed ex prete, tentando in ogni modo di riabilitarlo e di ritagliare per lui un ruolo nella sua "chiesa in uscita".
Per dare un esempio delle idee di Leonardo Boff all’epoca in cui era particolarmente in auge, ecco cosa scriveva verso l’inizio degli anni ’70 del Novecento sul tema della speranza cristiana (da: L. Boff, Vita oltre la morte; titolo originale: Vida para alem da morte, Petropolis, Editora Vozes, 1973; trad. dal portoghese di Anita Sorsaja, Assisi, Cittadella Editrice, 1974, pp. 125; 126-127):
La speranza si fonda, esattamente, sulla differenza tra quello che GIÀ È e quello che ANCORA-NON-È, ma è possibile; tra il presente e il futuro, che può diventare presente. Il GIÀ costituisce il futuro realizzato, il NON ANCORA forma il futuro aperto. In quanto la speranza vede il futuro e il regno già presenti in mezzo a noi, nel bene, nella comunione, nella fraternità, nella giustizia sociale, nella crescita veramente umana dei valori culturali, nell’apertura dell’uomo al trascendente, essa ha motivi per celebrarlo e festeggiarlo nella gioia serena e nel tranquillo godimento della sua manifestazione. Da ciò sorge la festa nel cuore della vita (…)
Solo la fede cristiana ci permette di gustare Dio nella fragilità umana e di festeggiarlo nella caducità della figura di questo mondo che passa (1 Cor 7,31). Il GIÀ, tuttavia, non può essere assolutizzato; esso è sempre aperto al NON ANCORA che verrà. Tutte le volte che il Già si sostantiva sorgono le ideologie totalitarie, profane o religiose. Compaiono il dogmatismo, il legalismo, il ritualismo, il razzismo, il materialismo, il capitalismo, e tutti gli altri ‘ismi’. Nell’ideologia c’è sempre l’assolutizzazione di un relativo, l’universalizzazione di una parte della realtà e l’ereticalizzazione di una verità. In nome del Non ancora si deve contestare il Già radicalizzato. Qui la matrice di tutta a vera contestazione. Il "no" presuppone un "sì" a qualcosa di futuro e possibile. Come giustamente afferma la lettera papale "Octagesima Adveniens", questa forma di critica del presente a partire da un futuro "stimola l’immaginazione prospettica per percepire nel presente le possibilità ignorate, che vi trovano iscritte, e in pari tempo per orientare nel senso di un futuro nuovo " (n. 37).
Questa critica conferisce libertà al cristiano: tutto è relativo in questo mondo, se paragonato a Dio e a ciò che Egli ci promette. È relativa la Chiesa, con i suoi dogmi e sacramenti e gerarchie. Sono relativi i valori culturali e morali. È relativo lo Stato, con tutta la prepotenza delle sue istituzioni e della sua ideologia. Con ciò non si vuol dire che queste realtà terrene non abbiano importanza. Esse sono importanti, poiché in esse troviamo mediato l’Assoluto. Ma non sono l’Assoluto e non possono esigere totalmente il cuore dell’uomo. Questo è stato fatto solamente per Dio: Lui solo risponde pienamente agli anelito profondo dell’uomo.
Da questa considerazione fa capolino il senso di "humour" che pervade l’atteggiamento autenticamente cristiano. Lo "humour" non significa atarassia e impassibilità storica [o stoica?] che superbamente impone di sorridere di fronte al tragico, poiché di fronte ad esso non si può sfuggire. Il cristiano, in virtù della sua speranza, sa che nel mondo non c’è niente di tragico, perché crede che niente sfugge a Dio. Ci può essere il drammatico, perché nella storia in cammino verso Dio lottano e si alternano violenza e libertà, peso del peccato e soffio dello Spirito (cf. "Octagesima Adveniens", 37). Ma alla fine la libertà trionfa sulla violenza e il soffio dello Spirito annienta il peccato…
Crediamo che questa pagina basti e avanzi per capire che genere di "cristianesimo" sia quello di Lonardo Boff, e che tipo di "teologia" sia la sua, che pure gli ha dato un momento di grande celebrità mezzo secolo fa, quando era considerato una delle figure di spicco della teologia della liberazione e tutti i cattolici progressisti, non solo in America Latina ma anche in Europa, gli riconoscevano un ruolo di primo piano nel preteso processo di rinnovamento post-conciliare.
Cominciamo partendo dal fatto che il suo discorso ruota attorno alla speranza, ma francamente non si capisce a che tipo di speranza egli si riferisca: non solo perché la scrive con la lettera minuscola, ma per come la descrive, si direbbe proprio che sia un sentimento del tutto umano e non la virtù teologica che, insieme alla Fede e alla Carità, forma la vita divina che lo Spirito Santo trasfonde negli uomini. Questa premessa è importante perché serve a definire l’orizzonte di senso nel quale si muove il ragionamento di Boff. Teniamolo a mente: quando parla della speranza, lo fa da un punto di vista umano; e se anche, formalmente, la pone come virtù teologale, di fatto la concepisce in una maniera umana, e precisamente la collega all’attesa di un mondo migliore, qui, sulla terra, da realizzarsi mediante il lavoro degli uomini. Ora, il sentimento umano della speranza è la cosa più ingannevole e fallace che esista: quante speranze umane sono destinate a infrangersi e naufragare, tutti i giorni: lo vediamo nella nostra vita, lo vediamo nei calcoli dei potenti e nel destino degli Stati e dei popoli. Voler fondare qualcosa di durevole su di essa è una contraddizione in termini. Viceversa, per il cristiano la Speranza che viene dalla fede in Dio, e che è un dono dello Spirito Santo, è una realtà salda come la roccia: i cieli e la terra passeranno, ma la Speranza non passa, così come non passa nulla di quanto viene direttamente da Dio. E già da questa impostazione iniziale si comprende perché Boff è il vero maestro di Bergoglio: perché gli ha insegnato a pensare il bene, il futuro, l’insieme delle cose da farsi, come concepibili a partire da una prospettiva umana: è bene quel che all’uomo appare bene, la giustizia, la solidarietà, la condivisione; tutte belle cose, senza dubbio, ma se pensate come distinte da Dio, come opera dell’uomo, anche queste belle cose finiscono per diventare cattive, e la loro attuazione si trasforma in un incubo. Il non inginocchiarsi davanti al Santissimo (ma davanti agli uomini sì, eccome); il non recitare il Credo neppure durante la santa Messa; lo svilire il Sacramento dell’Eucarestia, aprendolo ai divorziati risposati; il parlare con sconcertante, e a volte blasfema familiarità, rozzamente, volgarmente, di Dio, di Gesù Cristo, della Vergine Santissima: il dedicare uno spazio autonomo ai temi delle migrazioni, dell’ecologia, dell’ambiente, dell’inquinamento, della biodiversità, del clima, fino a dedicare ad essi degli appositi documenti magisteriali, o che vengono presentati come tali, in pratica senza dare spazio alla voce di Dio, senza subordinarli all’amore di Dio, senza trattarli come parte della dimensione soprannaturale cui l’uomo è chiamato: tutto questo è pessima teologia, teologia antropocentrica, e viene da padre Leonardo Boff. E come vede il futuro, la speranza di cui parla Boff, e che solo per un equivoco si potrebbe intendere come la Speranza cristiana? Lo vede come la realizzazione già avvenuta del Regno di Dio (!), precisamente nei seguenti punti: 1) nel bene (quale bene? un bene umano o il Bene cristiano?); 2) nella comunione (umana); 3) nella fraternità (umana); 4) nella giustizia sociale (da stabilirsi con criteri puramente umani); 5) nella crescita veramente umana dei valori culturali (si noti la sottolineatura di quell’avverbio, veramente umana); 6) nell’apertura dell’uomo al trascendente. Su sei punti, solo uno, l’ultimo, fa riferimento a Dio; anzi, genericamente al divino. Ma di quale dio si stia parlando, non viene detto: dal contesto, potrebbe essere benissimo il dio di Maometto o quello del Dalai Lama. E poi si parla semplicemente di "apertura", non di conversione, che è ciò che conta per un cristiano: Convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,15). Questo non è il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo; questa non è nemmeno una religione, una religione qualsivoglia: questa è l’agenda dell’ONU, vale a dire l’agenda della massoneria internazionale. Né più, né meno. E il signore argentino vestito di bianco è il suo esecutore: per questo è stato scelto, fra tanti migliori di lui, più intelligenti, più colti, più preparati, più ammodo; per questo fa le cose che fa, dice le cose che dice, tace le cose che omette di dire. È molto probabile che a breve riceverà il Premio Nobel, per la pace naturalmente: lo riceverà dalle mani di una giuria massonica, così come ha già ricevuto senza batter ciglio, anzi con evidente compiacimento, il Premio Carlo Magno dalle mani di un’altra potente agenzia massonica. E così come non ha trovato niente di strano che i supermassoni del Gruppo Bilderberg invitassero il suo segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, ad una delle loro riunioni annuali, nel corso delle quali discutono a porte chiuse, e in ultima analisi decidono i destini del mondo: come a dire che il Vaticano, di questi tempi, deve essere considerato a tutti gli effetti, e ormai alla luce del sole, una delle maggiori centrali della massoneria internazionale. A questo punto, non c’è neanche bisogno che il Vaticano ritiri ufficialmente la scomunica emessa da Clemente XII nel 1738, in seguito più volte rinnovata, ai cari fratelli massoni, come li chiama alquanto familiarmente e affettuosamente il cardinale Gianfranco Ravasi: autorizzando Parolin a recarsi alla sessantaseiesima riunione del Bilderberg (Torino, 7-10 giugno 2018), rigorosamente a porte chiuse e rigorosamente senza partecipazione della stampa, come in tutte le altre sessantacinque, è come se Bergoglio avesse sdoganato la massoneria tutta intera, ligio al suo motto: abbattere muri, gettare sempre ponti, in questo caso gettando un ponte dorato verso il peggiore e il più tenace fra tutti i nemici della Chiesa cattolica.
Ma torniamo a Leonardo Boff. Nel fare l’elenco dei totalitarismi, come lui dice, profani o religiosi (e nessuno pensi che alluda, che so, all’islamismo fondamentalista: no, lui ha sempre in mente l’oppressiva Chiesa cattolica) balza all’occhio che non vi figurano né il marxismo, né il comunismo, né il socialismo; in compenso c’è il capitalismo e c’è l’inevitabile razzismo (vade retro, Satana!); e ci sono tre —ismi: il dogmatismo, il legalismo e il ritualismo, i quali evidentemente si riferiscono alla Chiesa cattolica — chissà perché non alla religione ebraica, o a quella islamica — e, guarda caso, sono i vocaboli che più spesso ricorrono nei discorsi di Bergoglio quando è in vena, cioè quasi quotidianamente, d’inveire contro la Chiesa di cui è al vertice e contro la fede di cui è, o almeno dovrebbe essere, il vicario di Cristo in terra. E che dire del suo manifesto, esplicito relativismo? Egli afferma che tutto è relativo in questo mondo, se paragonato a Dio e a ciò che Egli ci promette. È relativa la Chiesa, con i suoi dogmi e sacramenti e gerarchie. Sono relativi i valori culturali e morali. Davvero? Ma è lecito a un sacerdote cattolico parlare in questo modo? Può sostenere tranquillamente che la Chiesa è relativa; che i dogmi sono relativi; che i Sacramento sono relativi; che la morale è relativa? Eppure, lui lo fa. E lo fa con la tipica astuzia sudamericana, che così bene abbiamo imparato a riconoscere in Bergoglio, di nascondere la mano che scaglia la pietra dietro a un espediente dialettico, e cioè dicendo che tutto è relativo se paragonato a Dio. Bella scoperta! Ma se tutto ciò che esiste nel mondo è certamente relativo a paragone di Dio, non è però relativa affatto la sua Parola: e la sua Chiesa, la sua dottrina, i suoi Sacramenti, la sua morale, non sono per niente relativi, ma assoluti, perché fondati sulla sua Parola, come una casa costruita sulla roccia. Relativi i dogmi, cioè la dottrina? Ma quando mai! Se così fosse, ogni epoca avrebbe la sua dottrina, il suo cristianesimo, il suo Vangelo! Relativi i Sacramenti, ad esempio l’Eucarestia? Ma questa è una bestemmia vera e propria! Che cosa intende dire, il signor Boff: che per alcuni c’è la Presenza Reale, mentre per altri la santa Messa è solo una allegoria dell’Ultima Cena, un simbolo, una commemorazione, alla maniera protestante? A ciascuno secondo il suo estro, e ciascuno la pensi come gli pare e piace? Macché! Questo non è il cattolicesimo; questa è una delle tante sette di matrice luterana o calvinista, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Infine: che cosa vuol dire che ogni epoca ha i suoi valori, la sua morale? Che anche per il cristiano il bene e il male non sono assoluti, ma relativi? Ecco dove porta l’idea, tipicamente rahneriana e conciliare, della storia che si fa Chiesa, e non della Chiesa che illumina la storia: alla totale storicizzazione della dottrina, della pastorale, della stessa etica.
Che dire, infine, del concetto dello humour del cristiano, derivante dalla convinzione che nel mondo non vi sia niente di tragico, perché tutto è nelle mani di Dio? Qui siamo a metà strada fra la bestemmia e il vaneggiamento: viene il dubbio che chi scrive quelle cose non sia del tutto in sé. Certo che ogni cosa è nelle mani di Dio; esiste, però, per volontà e per dono di Dio stesso, la libertà umana: e dalla libertà umana deriva la possibilità di scegliere il male anziché il bene, l’ingiusto invece del giusto, il falso invece del vero, il brutto invece del bello. E tutto questo non è terribilmente tragico? In che cosa vede lo humour, il signor Boff? Cosa c’è di umoristico nel Peccato originale, nel fratricidio di Abele da parte di Caino, e nel peccato in generale? Cosa c’è di umoristico nel giudizio di Dio e nell’alternativa, per l’uomo, fra il paradiso e l’inferno? E cosa c’è di umoristico nel sangue dei martiri, nel calvario dell’anima che si offre volontariamente a Dio in riparazione del male e dei peccati?
Con simili "maestri" alle spalle, non stupiscono le enormità, le eresie e le bestemmie che escono in continuazione dalla bocca del signore argentino che faceva il buttafuori, e che adora mangiare la carne cruda; talmente cruda che, alla suora la quale gli domandava come volesse la bistecca, subito dopo essere stato eletto papa, rispondeva: Che muggisca!
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