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Ritratto di Signora radical-chic

Il radical-chic è un tipo umano molto interessante: contraddizione vivente, il suo lato B è l’esatta negazione del lato A, cosa che non lo turba minimamente. Tutti vedono la contraddizione, ma lui no; lui e quelli della sua stessa sponda ideologica, anche se assai meno forniti di denaro, di amicizie che contano e di visibilità mediatica. Lui è al di sopra della comune umanità: è la coscienza, l’intelligenza e il senso morale della parte migliore del Paese. Lui è il cane da guardia che si mette ad abbaiare ogni qualvolta questo sfortunato e incorreggibile Paese di lascia andare ad uno dei suoi ricorrenti rigurgiti di fascismo. Dobbiamo ringraziare il cielo per la sua vigile presenza: se non vegliasse lui, che ne sarebbe di noi tutti? All’interno di questo interessante tipo antropologico c’è la variante femminile, la Signora radical-chic. Coi suoi abiti di gran classe, le sue acconciature perfette, i suoi modi da nobildonna, sfoggia una grinta perfino superiore a quella dei maschi, che le viene dal suo ultrafemminismo e dalla fiera consapevolezza di essere assolutamente indispensabile al genere umano, proprio in quanto donna. Le battaglie più appassionate, battaglie di civiltà e di libertà, si capisce, la trovano sempre in prima linea, sempre sulle barricate; se c’è da pagare un avvocato, da perorare una causa, da spezzare una lancia a favore dei compagni perseguitati per il loro passato rivoluzionario, lei è lì, immancabile, imprescindibile, intramontabile. Non importa quanti anni son passati né quante rughe ora segnano quel viso un tempo così ammirato: valga per tutti il caso di Jane Fonda, che a ottant’anni continua a farsi arrestare simbolicamente, dalla polizia per aver partecipato a qualche marcia non autorizzata e trova così modo di far parlare ancora di sé, patrocinando la buona causa dell’impeachement del presidente Trump, bestia nera dei progressisti sulle due sponde dell’Atlantico, reo d’essere stato eletto benché l’apparato mediatico, finanziario e culturale fosse compattamente schierato per la Clinton e contro di lui, l’orribile miliardario populista (e chi non ricorda l’orrore, lo sbigottimento, il panico manifestati in diretta dalla corrispondente Giovanna Botteri al momento della sua elezione? Proprio non riusciva a crederci…). Ma per non andar lontano, prendiamo in considerazione una di queste Signore nell’ambito nostrano, quella Carla Bruni che da supermodella strapagata, proveniente da una ricca famiglia ebrea torinese, ha sposato quel perfetto gentiluomo di Nicolas Sarkozy, divenendo la premiére dame di Francia dal 2008 al ’12, anni nei quali ha messo a segno una serie di azioni tipiche della mentalità radical-chic.

Scrive il giornalista Bruno Vespa nel libro Donne di cuori (Milano, Mondadori, 2009, pp. 214-217):

Carla Bruni non ha mai manifestato particolare orgoglio per il fatto di essere italiana. Alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi invernali di Torino, nel 2006, fu tuttavia elevata a simbolo nazionale ricevendo – in uno stupendo abito lungo di Armani – il tricolore da un carabiniere in alta uniforme. Era l’immagine stessa dell’Italia, eppure nel novembre 2008, già signora Sarkozy, nel "David Letterman Live", affermò di avere la sola cittadinanza francese. (È invece titolare di un doppio passaporto, come ha candidamente ammesso nel gennaio 2009° "Che tempo che fa").

Politicamente, Carla ha sempre avuto posizioni di estrema sinistra. Sostiene di averle un po’ attenuate dopo il matrimonio, ma tiene a precisare: "Mio marito, prima di sposarmi, sapeva quali fossero le mie idee, ma non mi ha mai chiesto di cambiarle". Tuttavia, queste idee l’hanno portata ad assumere comportamento oltraggiosi verso il suo paese d’origine, coinvolgendovi purtroppo anche il marito.

Il 12 ottobre 2008 la Francia ha negato l’estradizione di Marina Petrella, cinquantaquattro anni, membro storico della colonna romana delle Brigate Rosse guidata da Barbara Balzerani. La Petrella partecipò al sequestro Moro e fu condannata nel 1992all’ergastolo per l’omicidio di un agente di polizia, il sequestro di un magistrato, un tentato omicidio e diversi attentati. Si rifugiò in Francia, come molti terroristi italiani, e ottenne l’impunità grazie all’incredibile "dottrina Mitterrand", che considerava "perseguitati politici" tutte le centocinquanta persone accusate di terrorismo e riparate Oltralpe: come se la Petrella, Giorgio Pietrostefani o Cesare Battisti fossero Pietro Nenni o i fratelli Rosselli. Con il governo Chirac, in cui Sarkozy era ministro dell’Interno, la Francia attenuò la sua protezione ai terroristi, e nell’agosto 2002, fu arrestato ed estradato in Italia Paolo Persichetti, condannato a ventidue anni per l’omicidio del generale dell’aeronautica Licio Giorgieri, avvenuto a Roma nel 1987. Nel 2002 l’Italia chiese l’estradizione anche della Petrella e di altri terroristi. La donna venne arrestata dalla polizia francese nell’agosto 2007, durante un controllo stradale. Il 14 dicembre dello stesso anno la Corte d’appello di Versailles confermò il provvedimento di estradizione, ma il governo non diede mai il via libera. Nell’estate dell’anno successivo la Petrella fu ricoverata per una grave forma depressiva nell’ospedale di Saint-Anne dove, a metà ottobre 2008, è andata a trovarla Carla Bruni, che le ha detto: "Ho un messaggio da parte di mio marito. Lei non sarà estradata in Italia". In un’intervista rilasciata al "Corriere della Sera" il 13 ottobre 2008, Valeria Bruni Tedeschi — attrice e sorella di Carla, anche lei su posizioni di sinistra radicale – raccontò di essersi attivata presso la coppia presidenziale perché non fosse concessa l’estradizione all’ex terrorista. "Il presidente della Repubblica — rivelò — si è informato direttamente presso i medici che hanno in cura questa signora, ha incontrato i suoi avvocati e ha studiato personalmente tutti i dossier sul suo stato di salute… Io penso che questa signora abbia già pagato il suo debito per ciò che ha fatto. E in ogni caso mi chiedo: che vantaggio poteva dare, per le vittime e più in generale all’Italia, contare un morto in più? I familiari delle vittime sono persone che hanno sofferto, penso che possano capire. In carcere Marina Petrella sarebbe morta, e non perché rifiutava il cibo di sua volontà. Non era in sciopero della fame, non aveva attuato alcun ricatto verso nessuno. Semplicemente, non ce la faceva a mangiare per lo stato di depressione fisica e psichica che l’aveva assalita e dal quale non è ancora guarita." Questa dichiarazione è sconvolgente perché lascia intendere che le signore Bruni Tedeschi, e purtroppo lo stesso presidente della Repubblica francese — che da ministro dell’Interno ha represso con particolare durezza le rivolte nelle banlieue parigine -, ritengano che l’Italia sia uno Stato di polizia dove un detenuto malato viene di fatto soppresso invece di godere di cure talvolta migliori e più tempestive rispetto a quelle riservate ai cittadini comuni.

Ma ancora più grave, se possibile, è la seconda parte della dichiarazione: "Io sono arrivata in Francia da bambina proprio perché la mia famiglia temeva quello che stava accadendo in Italia, anche a causa del terrorismo. Avevamo tutti un senso di paura, anch’io che ero piccola, e so che cosa significa essere accolti da un paese straniero, sentirsi protetti da questo, e posso immaginare che cosa significhi vedersi negare improvvisamente quell’accoglienza e perdere quella protezione". La fuga all’estero di un ricco industriale che temeva un sequestro di persona per la sua posizione economica viene tranquillamente equiparata a quella di una terrorista scappata dopo aver ucciso un agente di polizia che, detto per inciso, guadagnava meno di un domestico di casa Bruni Tedeschi.

Una iniziativa ancor più brutta è stata intrapresa dalla signora Bruni qualche mese dopo aver fatto visita alla Petrella e averla rassicurata, a nome di suo marito, che la sua estradizione verso l’Italia non sarebbe stata concessa. Il 22 dicembre 2008 si trovava in vacanza a Rio de Janeiro insieme a Sarkozy, quando la coppia presidenziale ha ricevuto una visita del presidente brasiliano Lula da Silva. Come riportato sul Corriere della Sera a metà gennaio 2009 dal giornalista Rocco Cotroneo, in quella occasione Carla Bruni aveva perorato presso il loro ospite la causa di Cesare Battisti, il terrorista pluriomicida che, dopo aver goduto di altissime protezioni in Francia, ove per anni era vissuto tranquillamente, ricercato nei salotti buoni e scrivendo romanzi gialli molto apprezzati dalla critica che conta, si era rifugiato in Messico, poi in Brasile, sempre godendo di larghi appoggi dai cugini transalpini, ma era stato raggiunto anche nel Paese sudamericano da una richiesta di estradizione della magistratura italiana. Nel 2007 la polizia brasiliana lo aveva arrestato, e quando Lula aveva fatto visita ai due illustri visitatori, era in attesa di conoscere la propria sorte, dopo una latitanza di ben ventisette anni. Ebbene, il 13 gennaio il ministro della Giustizia brasiliano aveva respinto la domanda di estradizione, riconoscendo che, come sostenuto dai legali dell’arrestato, egli era vittima di una persecuzione giudiziaria da parte dell’Italia. Che cosa aveva spinto il governo di Brasilia ad assumere una tale decisione, che suonava come uno schiaffo in pieno viso nei confronti di un Paese amico, l’Italia, equiparato pubblicamente ad uno Stato di polizia che perseguita ingiustamente e perfidamente i suoi cittadini e cerca di incastrarli e di gettarli in carcere con false accuse giudiziarie? Secondo Cotroneo, l’elegante e distinta signora si era comportata da perfetta nemica della sua patria d’origine, supplicando Lula con queste accorate parole: Signor presidente, lei deve darci una mano; non restituisca all’Italia Cesare Battisti. La stampa brasiliana, da parte sua, aveva sostenuto che la first lady francese era intervenuta in favore dell’ex terrorista italiano presso il ministro della Giustizia brasiliano, il quale aveva confermato la cosa. E l’indiscrezione era divenuta talmente imbarazzante che la Bruni, il 25 gennaio, aveva ritenuto di rilasciare una pubblica e solenne smentita di ogni suo indebito interessamento a favore di Battisti, nel corso del programma televisivo Che tempo che fa di Fabio Fazio, su Rai Tre. Non ho mai voluto difendere Battisti; ignoro come sia nata questa calunnia; la moglie di un presidente francese non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ha detto con enfasi e con tono di vivissima indignazione, fra i sorrisi compiaciuti e compiacenti del giornalista italiano. Peccato che due settimane prima il Corriere della Sera aveva portato a galla tutta la storia, con dovizia di particolari; e non era una bella storia. Fra parentesi, la succitata intervista a Che tempo che fa è stata quella in cui la signora Bruni si è lasciata scappare di avere la doppia cittadinanza, mentre l’anno prima aveva detto di avere solo quella francese. Ma per le Signore radical-chic mentire non è una cosa disdicevole, anzi per dirla tutta non se ne accorgono neppure: a loro tutto è permesso, sono al di sopra del giudizio dei comuni mortali, specie se sono in gioco i loro sacri ideali politici. Possono dire qualsiasi cosa e nessuno le può giudicare: anche che una terrorista assassina ha già pagato il suo debito per il fatto di essere caduta in depressione, a molti anni di distanza dai suoi delitti; oppure che emigrare per sfuggire a un pericolo oppure emigrare per sottrarsi alle conseguenze di un omicidio sono due cose, se non proprio identiche, in qualche modo equivalenti. Ma Cotroneo, com’era venuto a sapere dell’intervento a gamba tesa della coppia presidenziale francese nell’affare Battisti, intervento che avrebbe portato al rigetto della richiesta d’estradizione e a una seria crisi diplomatica fra Italia e Brasile, con la Farnesina che richiamava in patria il suo ambasciatore? L’aveva saputo da un facoltoso senatore italo-brasiliano, Eduardo Sulpicy Matarazzo che, a sua volta, era a conoscenza delle manovre della scrittrice ultraprogressista e ultrafemminista Fred Vargas (pseudonimo di Frédérique Audouin-Rouzeau), classe 1957, una che conta parecchio nei salotti buoni della gauche, scrittrice di gialli e Pigmalione dello stesso Battisti nel medesimo genere letterario. La Vargas è molto amica di Carla Bruni. Mi ha raccontato che dopo il caso Petrella… ha convinto Sarkozy che anche Battisti andava aiutato… Dell’atteggiamento dell’Eliseo, e soprattutto delle prove consegnatemi da Fred Vargas a favore di Battisti, ho parlato von Lula non più tardi di qualche giorno fa. Tra l’altro il detenuto ha l’epatite B, perché non dovrebbe essere trattato come la Petrella? Il presidente mi sembrava convinto. Evidentemente, Carla Bruni doveva avergli fatto lo stesso discorso (citato da Bruno Vespa, p. 217). Povero Battisti con l’epatite B, povera Petrella con la depressione: la vita è davvero crudele. La Vargas, che aveva un filo diretto con l’Eliseo e cui non mancavano certo i quattrini, aveva assunto i migliori avvocati esistenti sul foro parigino per difendere il terrorista e far sì che all’Italia venisse negata l’estradizione, prima dalla Francia, poi dal Brasile. Come è andata a finire, lo sappiamo: fuggito in Bolivia per evitare l’estradizione in caso di vittoria di Bolsonaro alle presidenziali brasiliane, nel gennaio 2019 è stato arrestato e immediatamente estradato in Italia, dove la Corte di Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo. Il commento della Vargas è stato lapidario: Battisti è innocente, non mi scuso (su Panorama del 17 marzo 2019).

Ci sembra giusto. La regola numero uno delle Signore radical-chic è proprio questa: non chiedere scusa mai a nessuno, per nessun motivo. Anche se ci sono altre donne, meno facoltose che piangono i loro mariti ammazzati dai giovanotti che giocavano alla guerra rivoluzionaria. E perché dovrebbero scusarsi? Loro sono le vestali del Giusto. Frattanto, Sarkozy sarà processato per corruzione, mentre Lula è stato condannato in appello, sempre per corruzione, e si è già fatto 580 giorni di prigione…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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