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Il ritorno della gnosi sotto le vesti dello scientismo

Uno spettro si aggira, instancabile, inesauribile, insospettabile, nella cultura moderna, sia nel salotto buono, quello della scienza, sia in quello meno buono della filosofia, della letteratura, dell’arte, della religione: lo gnosticismo. Esso è l’espressione di un sogno antichissimo dell’uomo, quello di assumere il controllo della situazione, di impadronirsi del segreto del mondo e così, con le sue sole forze, farsi il dio di se stesso; certo, non un dio creatore, e tuttavia pur sempre un dio di serie A, perfino superiore al Dio tradizionale, perché capace di correggere taluni "errori" di quello, grazie alle sue capacità tecniche e scientifiche che gli permettono di porsi davanti alla natura in attitudine non più passiva, ma aggressiva e dominatrice. Lo gnosticismo, che è stato la più antica e la più pericolosa delle eresie cristiane, ma che ha preceduto lo sviluppo del cristianesimo perché se ne trovano le tracce già nelle culture e nelle religioni pre-cristiane, è in sostanza una dottrina della salvezza tramite la conoscenza, quindi è necessariamente una dottrina esoterica. Il sapere che conduce alla salvezza è infatti un sapere ristretto, iniziatico, cui solo pochi sono in gradi di accedere, e che consiste nel riconoscimento di una "verità più vera" all’interno della verità ufficiale, pubblica, quella di cui si contentano le persone da poco, le persone semplici; e pazienza se Gesù Cristo in Persona aveva reso a lode al Padre suo per aver rivelato i misteri della fede precisamente ai piccoli e ai semplici, e per averle nascoste a coloro che si credono sapienti e intelligenti (cfr. Matteo, 11,25).

Dicevamo che il salotto buono della cultura è quello della scienza. La società moderna è pervasa da una cultura scientista, che assolutizza il valore della conoscenza scientifica e svaluta, al suo confronto, tutte le altre forme del conoscere. Da ciò il suo carrettiere intrinsecamente relativista, dato che la maggior parte del sapere scientifico è soggetto a continui aggiustamenti, revisioni e periodiche rotture: le "rivoluzioni" di cui parlava Thomas S. Kuhn, determinanti altrettanti cambi di paradigma scientifico. Voler fondare un sapere assoluto su una base di per sé instabile e precaria è in se stesso contraddittorio e conferisce un carattere effimero e incerto all’intera società, cosa che si ripercuote inevitabilmente anche nelle relazioni interpersonali: si pensi alla formula uno, nessuno e centomila di Pirandello, non a caso divenuta celebre; e si pensi anche ai discutibili trionfi della psicanalisi. Di qui, anche, una sorta di corsa ad accaparrarsi lo status di "scientifico" per le più svariate forme di conoscenza e di pseudo conoscenza. Il caso della psicanalisi è emblematico: pur non essendo una scienza, è riuscita a penetrare e ad insediarsi così bene nel club esclusivo del sapere scientifico, da costituirsi cine una vera e propria psicopolizia, al punto che ora gli psicanalisti si prendono il gusto di psicanalizzare gli stessi scienziati, e il loro verdetto è temuto quasi quanto lo è, per il paziente, quello dell’oncologo o del cardiologo.

Un’altra conseguenza della scientizzazione del sapere moderno è il ritorno della gnosi, una forma di conoscenza che si perde nelle nebbie del passato e che molti, superficialmente, credevano morta e sepolta, confinata nei libri di storia della filosofia e di storia delle religioni. Lo gnostico, come lo scienziato (o lo pseudo scienziato) è, o crede di essere — ma la differenza, dal punto di vista psicologico soggettivo, è irrilevante — il detentore di un sapere superiore ed esclusivo, al quale è giunto per suo merito e che è negato alla maggioranza dei comuni mortali. In altre parole, lui sa, gli altri no; e perciò quando lui parla, gli altro devono tacere e ascoltare; e quello che lui decide che si debba fare, va fatto, e ciò che a suo giudizio non deve essere fatto, resta bloccato nel limbo delle possibilità abortite. L’ipotesi che anch’egli, dopotutto, potrebbe essere vittima d’una illusione di sapere, semplicemente non è contemplata, non è ammessa: di certo la gnosi non è democratica.

A questo proposito osservava, nel suo saggio La riscoperta di Dio, il sociologo Gaspare Barbiellini Amidei, esponente della cultura cattolica liberale (Milano, Rizzoli, 1984, pp. 67-70):

Gli scienziati, menti vigili al presente, alla ricerca di ciò che sta accadendo, non sempre conoscono la storia, almeno la storia della filosofia: o piuttosto non ritengono necessario riaprire gli antichi libri, quando costruiscono, dopo i loro esprimenti, le loro nuove metafore. Negli antichi libri troverebbero, già scritte, con antiche parole, le loro proiezioni semi-religiose. Basterebbe ricordare la Gnosi. Un giovanissimo e forte pensatore italiano, una delle menti più lucide di questo secolo, che un incidente stradale ha voluto rubare alla filosofia e alla vita esemplare quando da poco era salito alla cattedra, Emanuele Samek Lodovici, mi parlava, alcuni anni fa, della diffusa influenza del pensiero gnostico nella spesso inconsapevole cultura scientifica e parafilosofica contemporanea.

È una ripresa singolare, che chissà per quali rami arriva nei laboratori di fisica nucleare e di astrofisica, nelle conferenze e negli articoli di scienziati alla moda. Come il pensiero gnostico, chi ragiona di scienza e insieme vuole andare ai confini della scienza, sovente indossa gli abiti mentali tecnomorfi e sociomorfi. Con il modello tecnomorfo l’azione di un demiurgo creatore viene pensata secondo gli schemi di comportamento artigianale, ci immaginiamo l’azione di un dio artigiano, che crea e organizza, come noi artigiani del mondo creiamo e organizziamo. Oppure, secondo il modello sociomorfo, interpretiamo la realtà, soprattutto la realtà che si intuisce ma non si riesce a definire, secondo il modo con il quale leggiamo le azioni e le relazioni sociali, cioè il modo di essere dell’"entourage" umano, con i suoi concetti di famiglia, di costume, di diritto, di vendetta, di punizione. Per ritagliare l’errore di questi atteggiamenti mentali, Samek Lodivici si richiama all’insegnamento di Plotino. Il modello tecnomorfo e il modello sociomorfo prendono per la stessa cosa, e confondono la ricerca del pensiero e il pensiero vero: così si riduce il principio direttore del mondo al rango di coloro che apprendono, e si attribuiscono al principio direttore del mondo riflessioni, dubbi, ricordi, come a uno che confronti il passato con il presente e con il futuro. Se invece vediamo in quel principio "Uno che sa", dobbiamo attribuirgli un pensiero quieto, che ha raggiunto il suo fine. Degradare Dio a noi non serve a capire di più, è una perdita del centro e un impoverimento della possibilità umana di sintesi, è rinunciare a una delle due mani con le quali raccogliere una parte, almeno la nostra parte di realtà. Samek Lodovici, come gli autori sui quali si era formato nel suo cristallino, fermissimo cristianesimo, era tutto dentro la tranquilla certezza di una scelta, che non era più soltanto ipotesi religiosa, era personale, e istituzionale (cioè dentro una Chiesa) conoscenza di Dio. Il nostro discorso invece si propone qui soltanto di muoversi fino alla soglia di ogni possibile scelta, alla soglia del riconoscimento nuovo, anzi rinnovato della attendibilità e della dignità logica di una scelta religiosa, della proponibilità attuale di una ipotesi dell’esistenza di Dio. La cultura scientifica si trova di fronte all’irrisolta dimensione dell’infinito. Tutti i modelli drasticamente finiti dell’antropomorfismo, il modello sociomorfo come quello tecnomorfo, riescono inadeguati a raccogliere questa dimensione dell’infinito, anzi la esasperano in uno scacco della ragione, oppure la manipolano in deboli fantasie da romanzo astrale e in parodie gnostiche e teosofiche, fra eoni consapevoli, stelle intelligenti, elettroni ricchi di memoria e di coscienza, particelle elementari dotate di spirito, fotoni e antifotoni capaci di tornare ad essere luce, buchi neri divoratori di materia, molecole interstellari responsabili di comportamenti razionali, e via fantasticando, come capita in tanti libri di mezza divulgazione e mezza filosofia scientifica. Aveva ragione Samek Lodovici quando ironizzava sulla traduzione di schieramenti antichi in schieramenti moderni, e sulla resistenza che il processo creativo della natura oppone tenacemente ai tentativi analitico-riduzionisti degli gnostici moderni. "Nella disputa antica, il conflitto aveva come oggetto la produzione del mondo e il contraddittorio correva tra una mentalità gnostica di tipo fabbricatorio e una concezione plotiniana tesa a salvaguardare la legittimità di produzioni creative (e in quanto creative per ciò stesso non totalmente rifacibili e riconoscibili). Qui il contraddittorio ha come materia l’essenza stessa e la modalità del costituirsi delle forme naturali, e vede opposti, da una parte, i nuovi gnostici, coloro che suppongono essere la natura risultato di procedimenti fabbricativi in ultima analisi in potere dell’uomo (attraverso l’utilizzo del concetto di caso) e, dall’altra, gli eredi di fatto della filosofia della natura di Plotino, coloro cioè per i quali la vita, in nessun modo risultato casuale di un assemblaggio di parti, ha un suo modo di procedere creativo come tale non totalmente conoscibile e ricostruibile dall’uomo."

In parole semplici, si può dire che una cultura scientista è intrinsecamente incapace di cogliere la dimensione spirituale e perciò di porre la domanda fondamentale sul senso dell’esistenza, domanda che, peraltro, non le compete nemmeno di porre, dato che la scienza si occupa per definizione di ciò che è finito e materiale, dunque del mondo naturale, mentre qualunque domanda di senso proietta automaticamente chi la pone nella dimensione dell’infinito e dunque nel mondo immateriale, che si definisce in senso metafisico e soprannaturale. È quando si verificano queste condizioni che l’antica tentazione gnostica trova spazio e alimento, perché, in un certo senso, viene a colmare un vuoto. L’aspetto più caratteristico dello gnosticismo moderno è che non si tratta di un ritorno delle vecchie scuole e tradizioni sapienziali, bensì di uno gnosticismo, potremmo dire, inconsapevole, che viene adottato da molti esponenti della cultura scientifica rimasti orfani della risposta alla domanda di senso, senza però che essi possiedano il retroterra filosofico che permetterebbe loro di capire quel che stanno facendo, cioè attingere un vino vecchissimo e travasarlo in otri nuovi, troppo nuovi, quelli della moderna tecno-scienza, con risultati prevedibilmente disastrosi. In un certo senso, questa è la nemesi dello scientismo: avendo sbarrato la porta a ogni vera metafisica — operazione che risale a Kant — non può fare altro che trasformare gli scienziati in pseudo metafisici, specialmente quando le loro stesse ricerche, come nel campo dell’astronomia o della fisica delle particelle sub-atomiche, li pongono a contatto con il mistero dell’infinito. Mistero che si guardano bene dal considerare tale, perché, come osservava giustamente Gabriel Marcel, per la mentalità scientista non vi sono più misteri, ma solo problemi: i quali sono sempre suscettibili di soluzione. La vita non è più un mistero; l’essere non è più un mistero; la morte non è più un mistero; sono tutti problemi scientifici, suscettibili di trovare, un bel giorno, la loro brava soluzione sul terreno scientifico. È sconcertante vedere quanti fisici, quanti matematici, quanti astrofisici s’improvvisano filosofi, metafisici e perfino teologi — la pena del contrappasso, direbbe Dante – e si accalorano a sentenziare pro o contro l’esistenza di Dio, pro o contro il caso o il finalismo. Ma uno scienziato che s’improvvisa filosofo o teologo sarà certamente un cattivo filosofo e un pessimo teologo, perché la sua struttura logica è calibrata sul metro del finito, non dell’infinito; sulla dimensione del materiale, non dell’immateriale. Il danno che essi arrecano alla cultura e alla spiritualità è duplice: da un lato, sbarrano la strada alla vera metafisica, censurando, disprezzando e rifiutando l’autentica ricerca di senso, fatta con gli strumenti concettuali adatti; dall’altro, sostituiscono ad essa una pseudo metafisica, elaborata da menti antimetafisiche e negate alla metafisica, capaci di ragionare solo sul come delle cose e giammai sul loro ultimo perché. Il che, del resto, è evidente già nel loro ambito specifico, quello della scienza. Quanti medici si chiedono non come si debba combattere una certa patologia, ma perché essa sia insorta proprio in quell’organismo e in quel momento? Pochissimi; quasi nessuno. Sono riduzionisti e materialisti per formazione, mentalità, abito e consuetudine. Figuriamoci se sono adatti a porsi la domanda delle domande, che è la domanda di senso. Se lo fanno, e sovente lo fanno, le risposte che formulano sono addirittura imbarazzanti per la loro miseria e ristrettezza: un bambino di quattro anni, pieno di stupore davanti al mistero del mondo, saprebbe formulare meglio di loro sia la domanda, sia il tentativo di risposta.

Emanuele Samek Ludovici ha avuto il merito di indicare anche un altro aspetto del ritorno della gnosi nella cultura moderna: la riduzione del principio direttore del mondo al rango di coloro che apprendono; l’indebita equiparazione della ricerca del sapere con il raggiungimento del sapere (mentalità che si estende a tutti gli ambiti, ad esempio quello dell’arte, dove la sperimentazione più balorda viene spacciata per arte bell’e fatta); l’abbassamento del divino al livello del’umano. Ed è quest’ultimo il più esiziale degli effetti collaterali del neo-gnosticismo in salsa scientista: come dice giustamente Barbiellini Amidei, degradare Dio a noi non serve a capire di più, è una perdita del centro e un impoverimento della possibilità umana di sintesi. Eppure questo errore è passato dalla cultura laica a quella religiosa, e ora stiamo assistendo al suo aberrante trionfo proprio nel cuore della cittadella, ossia la Chiesa cattolica. Ogni giorno dobbiamo confrontarci con lo spettacolo orripilante di un clero, ormai tale solo di nome, tutto impegnato a togliere il sacro, il trascendente e il misterioso, per offrirci un "divino" che non è più tale, ma ne è solo la diabolica contraffazione…

Fonte dell'immagine in evidenza: Francescoch - iStock

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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