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Frode, dolo e voluta ambiguità: le armi del nemico

La chiave per capire cosa realmente è successo, a partire dal Concilio Vaticano II, è liberarsi dall’idea che i protagonisti di quella stagione, comunque la si voglia giudicare, abbiano agito in maniera corretta e rispettosa delle regole, o che i loro scopi fossero sinceri e che il loro obiettivo fosse quello di attuare un rinnovamento della Chiesa da essi ritenuto indispensabile e assolutamente improcrastinabile, per consentirle di sopravvivere nel mondo moderno che stava mutando così in fretta. Al contrario, essi erano perfettamente coscienti del fatto che, servendosi di mezzi leali, non sarebbero mai riusciti a far passare le loro innovazioni e a persuadere in maniera onesta quanti vi si sarebbero opposti. Da ciò nacque in essi la decisione di agire in maniera coperta, sfruttando tutte le occasioni per piazzare i colpi giusti nei punti giusti, al momento opportuno; come quando i vescovi della corrente ultraprogressista rifiutarono di accettare gli schemi preparatori del Concilio e pretesero di rifarli daccapo, di loro pugno, ignorando le indicazioni della Curia romana e assumendosi la responsabilità di forzare le procedure con un vero e proprio atto di forza di una piccola minoranza nei confronti di un’assemblea ecumenica, paragonabile, per le sue modalità e soprattutto per i suoi effetti, alla convocazione dell’Assemblea nazionale costituente al posto degli Stati Generali, il 9 luglio 1789: vale a dire un atto rivoluzionario. Questo concetto deve essere ben chiaro ai cattolici, specialmente a quelli che non lo sanno, semplicemente perché nessuno glielo ha detto: che il Concilio è stato il teatro di una rivoluzione programmata da tempo e studiata in ogni dettaglio, destinata a far passare sulla testa di una larga maggioranza inconsapevole e genericamente desiderosa di novità, un programma rivoluzionario, vale a dire una rottura nella storia della Chiesa e una radicale alterazione del messaggio cristiano. Che poi la grande maggioranza dei cattolici non si sia accorta di ciò e che anche nei decenni successivi, proprio mentre i fautori del Concilio portavano sempre più avanti il loro programma e spostavano sempre più in là la linea di frattura delle loro innovazioni, sia sfuggita loro la reale natura del Concilio stesso e delle sue pretese riforme, che invece erano altrettante spaccature con la Tradizione, ciò mostra soltanto la forza del conformismo culturale e la potenza dei mezzi d’informazione allorché decidono di sponsorizzare una causa e di far sì che le persone non credano a ciò che vedono e che possano toccare con le loro mani, bensì a quello che sentono dire dai Padroni del discorso. Ed è per questo che, ad esempio, un affezionato lettore di Famiglia Cristiana, o de L’Avvenire, il più delle volte continua a comprare e a leggere quei giornali, senza rendersi conto di un fatto che dovrebbe essergli invece evidente: che Famiglia Cristiana di oggi, e L’Avvenire di oggi, non hanno più nulla a che fare con ciò che erano al tempo in cui li leggevano i nostri genitori e i nostri nonni, non tanto perché siano cambiate le strategie comunicative — questo è normale e perfettamente comprensibile – ma proprio perché sono cambiati radicalmente i contenuti: i contenuti della fede e della morale. I quali, a questo punto, com’è evidente, non si possono più chiamare cattolici, visto e considerato che la dottrina cattolica e la morale cattolica sono quelle e non cambiano, non possono cambiare, non sono soggette alle mode del momento, perché sono saldamente ancorate ala Tradizione e sono emanazione diretta, e quindi atemporale, della Parola di Dio, esemplificata concretamente dall’insegnamento e dalla vita terrena di Gesù Cristo, il Figlio di Dio.

Ora, il nostro problema è essenzialmente questo. Che la massoneria ecclesiastica agisca in maniera subdola, non dovrebbe destare sorpresa: è nella natura delle cose; la sorpresa, semmai, dovrebbe venire dal fatto che non ci siamo accorti che da molto tempo la massoneria cercava di penetrare nella Chiesa, e che a un certo punto dei cardinali massoni si sono impadroniti del papato. Sia come sia, il nostro problema è renderci conto di come stanno effettivamente le cose, dopo che la massoneria ecclesiastica si è impadronita, un poco alla volta, delle facoltà teologiche, dei seminari, dell’alto clero e di buona parte dei sacerdoti, della liturgia, infine della dottrina e della santa Messa, che è il cuore della vita cristiana e senza la quale è difficile anche solo immaginare che il cristianesimo possa sopravvivere. Finché ci saranno dei cattolici che non vogliono vedere la realtà dei fatti; che non vogliono prendere atto che Bergoglio e i suoi uomini-chiave non sono cattolici ma anticattolici; che una forza estranea è entrata nella Chiesa e si è impadronita delle sue strutture materiali e cerca di sostituirsi interamente ai suoi contenuti dottrinali e morali: finché ci saranno dei cattolici che non vorranno vedere tutto ciò e si rifiutano di credere all’evidenza e seguitano a cullarsi nell’illusione che la Chiesa di oggi sia la Chiesa di sempre, e che la dottrina cattolica che oggi viene spacciata come tale sia davvero quel che dice di essere, non ci sarà alcuna speranza di ristabilire la Verità e dovremo rassegnarci a una infedeltà verso Dio della quale ciascuno di noi, secondo i suoi mezzi e le sue possibilità, sarà chiamato un giorno a rendere conto al Signore, quando Egli avrà stabilito l’ora del Giudizio.

E non basta ancora: bisogna che i cattolici, quelli veri, si rendano conto che la strategia preferita dalla massoneria ecclesiastica per realizzare interamente il suo antico disegno, quello di sostituirsi al cento per cento al vero cristianesimo e alla vera Chiesa, consiste nell’uso calcolato e sistematico dell’ambiguità. L’ambiguità regna sovrana già nei documenti del Concilio; ancor più la si nota nei documenti e nei discorsi dei pontefici successivi al Concilio, per toccare il culmine nell’ora presente. La maggior parte dei discorsi, delle omelie, degli scritti di Bergoglio, di Paglia, di Bianchi, di Kasper, di Sosa Abascal, ecc., sono una diabolica mescolanza di verità, menzogne e frasi volutamente ambigue. Ciascuno le può interpretare come preferisce; e subito i rivoluzionari più estremisti si affrettano a fornire l’interpretazione più lontana dal vero Magistero, nel silenzio e con la tacita approvazione del sedicente vicario di Cristo. In pratica, si tratta di un gioco delle parti: c’è qualcuno che tira il sasso e poi nasconde la mano; qualcun altro raccoglie quel sasso e lo scaglia di nuovo, allargando lo squarcio nella vetrata; frattanto chi dovrebbe vigilare, chi dovrebbe far osservare l’ortodossia, tace e strizza l’occhio ai lanciatori di sassi, del tutto incurante del disagio, dello sgomento e dell’amarezza dei buoni cattolici. È come se i giudici e i poliziotti avessero deciso di favorire i delinquenti, perché di veri delinquenti si tratta: come chiamarli diversamente, considerati i mezzi dei quali si servono e gli scopi che stanno perseguendo? Si tratta di persone che non hanno l’onestà e la lealtà di agire a fronte scoperta e di presentarsi apertamente per ciò che sono: se lo facessero, la gente capirebbe e forse ci sarebbe finalmente una qualche reazione. Invece quei signori si servono di mezzi sleali, si travestono, si camuffano, scimmiottano la dottrina cattolica e intanto mettono le mani sui beni della Chiesa, quelli finanziari, quelli immobiliari, ecc.; mettono le mani sui seminari e sulle facoltà teologiche, e così si assicurano la diffusione delle loro eresie; mettono infine le mani sulle coscienze, scomunicando o commissariando i cattolici più fervorosi, gli ordini più devoti e più fedeli al Vangelo, per far spazio e aprire possibilità di espansione agli elementi affiliati alla massoneria, il cui scopo è la distruzione della fede cattolica.

Particolarmente calzanti, chiare e persuasive ci sono parse le osservazioni sviluppate da Cesare Baronio, prendendo spunto dall’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia del 2 febbraio 2020, per ampliare l’orizzonte a tutto l’insieme delle innovazioni conciliari e postconciliari:

(…) Non ho perso tempo a leggere Querida Amazonia, così come non ho letto per intero Amoris Laetitia: assumere una dose di veleno per capire se provoca la morte è un inutile esercizio di autolesionismo, e finisce col fare un favore a chi quel veleno lo vuol diffondere, indipendentemente dal fatto che chi lo assume ne sia consapevole o meno. E Querida Amazonia è un veleno a prescindere dal contenuto, perché come Amoris Laetitia esso non è nocivo soltanto negli errori che formula, ma anche e soprattutto nel modo in cui ne dissimula altri ben più insidiosi.  La deliberata formulazione equivoca dello pseudomagistero bergogliano è infatti indice infallibile dell’opera del Nemico, soprattutto quando l’incauto interlocutore crede di poter instaurare un confronto basato sulla condivisione di un linguaggio, sul riconoscimento comune della sua validità e sulla persuasione che l’avversario col quale ci si confronta sia leale, onesto ed animato da retta intenzione. Questa premessa viene data per scontata dai Cattolici, e proprio su questa frode si basa la disonestà della controparte. Poiché il Cattolico che si appresta a ricevere un insegnamento dall’Autorità ecclesiastica suppone che questa autorità sia animata dalla volontà di indicare al fedele la Verità salvifica, e non osa credere che un pastore persegua come proprio fine la strage del gregge affidatogli, né che egli abusi della fiducia che le pecore gli accordano proprio in ragione del suo esser pastore. Un tradimento di chi si fida. Eppure i tempi in cui viviamo ci dimostrano che l’inganno funziona principalmente perché vien data per sottintesa la bontà dell’interlocutore, assieme alla sua autorità, che gode pure del carisma di esser vicaria dell’indiscussa autorità di Dio. Dopo la promulgazione di Amoris Laetitia, mons. Bruno Forte ha riportato le parole di Bergoglio: «Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi non sai che casino che ci combinano. Allora non ne parliamo in modo diretto, ma in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io». Non stupisce né la disinvoltura del Segretario del Sinodo nel riferire le confidenze del Satrapo, né tantomeno l’eloquio ben poco ecclesiastico di quest’ultimo. Ma il contenuto è evidentissimo: l’affermazione di una dottrina chiaramente eterodossa avrebbe suscitato una reazione nei Vescovi ortodossi (…) rendendo vano il tentativo di adulterare la Fede della Chiesa nell’indissolubilità del Matrimonio e di diffondere la pratica della Confessione e della Comunione sacrilega tra i fedeli che si trovano in una situazione di peccato grave e pubblico.  Qui non stiamo parlando di un politico che cerca di far passare un emendamento nella legge finanziaria all’ultima votazione, ma di un Romano Pontefice che, consapevole di proporre una disciplina contraria all’insegnamento della Chiesa, cerca di introdurla con il dolo, traendo in inganno i Vescovi. Un Romano Pontefice che vien meno al divino mandato di confermare i fratelli nella Fede, e che anzi si adopra con i suoi congiurati per promuovere un tradimento a Cristo che mette a repentaglio la salvezza eterna delle anime. (…)

Se l’orrido Bugnini avesse ammesso che le modifiche del rito della Messa introdotte con la pessima riforma liturgica della Settimana Santa dovevano preparare il terreno alla rivoluzione del culto ed alla protestantizzazione della Messa non appena fosse stato eletto Papa il desideratus dei modernisti, Pio XII non avrebbe mai autorizzato quelle modifiche, che gli furono viceversa presentate come innocue. Se al Concilio i novatori avessero confessato al Prefetto del Sant’Uffizio di voler sostituire gli schemi preparatori per consentire l’introduzione di dottrine eretiche, oggi Bergoglio non sarebbe nemmeno sacrestano in una remota pieve della periferia di Buenos Aires.(…) Chi vuole difendere la Verità cattolica usa parole inequivocabili, affermando la proposizione ortodossa e condannando quella eterodossa che ad essa si oppone. Lo scopo è salvare anime, non trarre in inganno i Sacri Pastori e il popolo fedele.  Ma dal Concilio in poi, chi difende la Verità cattolica, per un incomprensibile senso di inferiorità non ricorre al Magistero perenne, ma alla sua parodia conciliare o postconciliare, che è ontologicamente equivoca, volutamente dialogante, ipocritamente melliflua proprio quando nega la Verità, la tace, la dissimula per lasciar insinuare l’errore. Ed è questo, in definitiva, che rende tutta la produzione di documenti magisteriali, disciplinari o pastorali della Curia Romana un cumulo di carta destinata al macero. (…) E non è solo la pretestuosità ingannevole a suonar detestabile all’orecchio cattolico: vi è anche quell’accecamento di una Gerarchia che, avendo già visto quali siano i risultati disastrosi conseguiti dagli eretici nel compiere esattamente le stesse «riforme», le ripropone proprio perché la Storia ha dato prova della loro efficacia nel demolire quanto vi è di più sacro nella Chiesa. (…)

Così parla e ragiona un vero cattolico, un vero sacerdote, senza ritegni umani o tentennamenti dovuti a paura o timidezza: come ci insegna la Scrittura, bisogna cercar di piacere a Dio piuttosto che agli uomini. Questa è la vera linea di divisione fra chi ama Gesù Cristo e chi ama l’applauso del mondo: la capacità di seguire l’ammonimento evangelico a dire , , e no, no, ossia di parlare e ragionare in maniera chiara, come chiari sono sempre stati i documenti del Magistero anteriori al Vaticano II. Poi, a partire dal 1962-65, qualcosa cambia: si sente che è entrato uno spirito nuovo, spirito d’ambiguità e di calcolata indeterminazione, affinché si apra una breccia nei muri massicci della Chiesa, e gli uomini possano poi ampliare le fessure e infine provocare il crollo dell’intero edificio. Nessun documento del Concilio condanna alcunché: pare che non ci sia più l’errore; nessun documento nomina la massoneria o il marxismo. Strano, vero? Ecco: questa è la firma del Diavolo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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