Il giorno del Signore viene come un ladro di notte
5 Febbraio 2020Cari bergogliani, perché volete la nostra Chiesa?
7 Febbraio 2020Tante volte, da laici, ci siamo chiesti quale immenso dramma di coscienza si trovano a vivere le anime consacrate a Dio, a partire dagli ultimi cinquant’anni, cioè dal Concilio Vaticano II. Sì, perché il punto di svolta è quello e anche se il male era già penetrato nella Chiesa da molto tempo, poiché dagli inizi del XVIII secolo la massoneria stava infiltrando i suoi uomini nel clero e nella stessa gerarchia ecclesiastica, è dal 1962-65, o, se si preferisce, dal 1958, cioè dall’elezione al papato di Angelo Roncalli, che la peste modernista ha fatto irruzione al vertice della Chiesa e si è messa freneticamente all’opera per stravolgerne la liturgia, la pastorale e, un poco alla volta, con molta astuzia e abilità, la stessa dottrina. Si è trattato di un’opera lenta e metodica, condotta con somma pazienza, sfruttando tutte le occasioni, le debolezze, le incertezze di un clero la cui fede era già indebolita, ma che bisognava battere sul terreno dell’inganno e della perfidia, perché, se il gioco si fosse fatto scoperto, avrebbe finito per accorgersi della subdola manovra. Invece un uomo solo, bisogna oggi riconoscerlo, seppe vedere quali fossero i veri scopi dei vescovi progressisti che, al Concilio, sfruttando una diffusa inquietudine e un desiderio di rinnovamento – che in molti era sincero, anche se ingenuo e in un certo senso pericoloso, perché non sempre unito alla prudenza e al sensus fidei – piegarono le rette ma confuse intenzioni di molti ai propri fini, e realizzarono il tenebroso capolavoro di traghettare la Chiesa nell’apostasia, senza che alcuno, tranne monsignor Lefebvre, si rendesse conto dell’inganno e corresse ai ripari, anzi facendo sì che proprio i più generosi, non però altrettanto ben consigliati, spalancassero le porte della cittadella al nemico, e lasciassero che i peggiori errori del modernismo entrassero incontrastati, adulterando e inquinando il Magistero e stravolgendo il senso stesso della fede cattolica.
La foto che ritrae monsignor Viganò in abiti borghesi, imbacuccato e con la barba lunga, costretto alla clandestinità come l’ultimo dei reprobi, mentre la sua colpa è solo quella di aver difeso la fede e aver posto il tiranno davanti alle sue menzogne, ai suoi crimini e alle conseguenze rovinose del suo pontificato, è una di quelle immagini che fanno male al cuore: quella d’una Chiesa perseguitata, ridotta alla clandestinità, in procinto di affrontare il martirio; esattamente quel che sta accadendo in Cina per una precisa e scellerata politica del satrapo che oggi usurpa la cattedra di san Pietro, laddove milioni di credenti sono abbandonati alla persecuzione della dittatura comunista, che li deporta in appositi campi di concentramento, con l’avallo illegittimo e blasfemo del Vaticano. Ma, tornando alla nostra Europa, se siamo giunti al punto che i pochi veri sacerdoti si devono nascondere, perché temono — e purtroppo con ragione — che li si voglia ridurre al silenzio con qualsiasi mezzo, lasciando del tutto abbandonato il piccolo gregge che ancora rimane fedele a Cristo, vuol dire che il male è penetrato fino al cuore della Chiesa; vuol dire che Satana si è insediato in Vaticano e che i tempi della grande persecuzione sono arrivati, senza che noi ce ne rendessimo conto e senza che apprestassimo le difese, sul piano psicologico e morale oltre che sul piano intellettuale, dottrinale e spirituale. Avevamo sempre pensato, se mai lo avevamo pensato, che la persecuzione sarebbe arrivata, come tutte le altre volte, dall’esterno; non ci siamo resi conto che la massoneria era già entrata nella cittadella e che, una volta preso il ponte di comando, la sua persecuzione si sarebbe abbattuta sui fedeli dall’interno. E che sarebbe stata la pi subdola, la più perfida, la più dolorosa delle persecuzioni: quella che ci avrebbe lacerato l’animo sino all’intimo, perché ci avrebbe costretti a dubitare di tutto e di tutti, degli amici e di noi stessi, di tutto ciò che sapevamo o credevamo di sapere, sino a farci temere di essere diventati paranoici e di aver perso il senso della realtà.
Un bellissimo e toccante documento del travaglio di fede che scuote il clero ai nostri giorni è la Lettera aperta a S. E. Mons. Carlo Maria Viganò che gli indirizza Cesare Baronio:
Ad esser sincero, temevo che le mie posizioni nettamente critiche sul Concilio potessero suscitare in Vostra Eccellenza, se non scandalo, quantomeno quel comprensibile disagio che mostrano quanti si sentono toccati nel vivo. (…); vedo però che anche tra costoro la supina accettazione degli errori conciliari va progressivamente cedendo il posto alla consapevolezza dell’inconciliabilità tra la professione integrale della Fede per amore di Dio e la sua deliberata adulterazione per compiacere il mondo. Non mi riferisco ovviamente al latitudinarismo di quanti pensano di poter affiancare senza contraddizione la Sposa di Cristo con la meretrice che abbiamo sotto gli occhi, o la Liturgia cattolica con la sua contraffazione; quanto piuttosto a quella ritrosia umanissima e certamente comprensibile di chi non osa credere che quel che la ragione gli mostra e il cuore gli suggerisce sia vero: il tradimento di chi si fida da parte dei vertici stessi della Chiesa. Poiché cos’altro è, se non tradimento, quello del Pastore che non solo tace deliberatamente la Verità salvifica, ma che anzi le sostituisce l’errore, mascherandolo con parole volutamente equivoche? Non è tradimento l’elogiare gli eretici e i peccatori, e dileggiare quanti ad essi si oppongono eroicamente per difendere la purezza della Fede? Non è tradimento di Dio e della Chiesa lasciar che gli idoli siano adorati nel luogo santo, con lo scandalo dei fedeli? Non è tradimento il deificare la natura mentre se ne lascia offendere il Creatore? Eppure questo accade sotto i nostri occhi, e sotto gli occhi di tanti chierici, Presuli e Cardinali che tacciono, che volgono lo sguardo altrove, che fingono di non sentire e di non vedere per non dover reagire. Gli uni per pusillanimità, gli altri per complicità, ma sempre e comunque dimostrando di aver più a cuore la conservazione del proprio posto, che non la gloria di Dio e l’onore della Chiesa.(…)
Anch’io, come moltissimi chierici e laici, ho vissuto momenti della mia vita in cui non volevo e non potevo accettare che un padre potesse ripudiare i propri figli, che un pastore volesse deliberatamente disperdere il gregge affidatogli, lasciandolo in balia dei lupi. Illusioni e ingenuità di chi pensava d’aver dinanzi un Noé ebbro e discinto, cui i figli pietosi dovessero coprir le vergogne, meritandone le benedizioni una volta rinsavito. E questa posizione di composta operosità, non disgiunta dal desiderio di salvare l’immagine compromessa della Chiesa – rectius: dei suoi Prelati – mi è sembrato fosse la stessa di chi, un tempo convintissimo sostenitore della mens conciliare e suo attivo cooperatore, era alfine giunto a teorizzare quell’ermeneutica della continuità in nome della quale cercar di conciliare, appunto, la dottrina immutabile della Chiesa di Cristo con le innovazioni dell’assise romana. Questo tentativo era frutto di un abbaglio, perché abbiamo creduto in buonafede di aver davanti degli interlocutori animati da rette intenzioni, che avessero solo adottato metodi sbagliati per ottenere un fine buono. Ma così non era e non è, e il tempo l’ha dimostrato. Alcuni devono ancora prender le distanze dagli errori che purtroppo inquinano le loro buone intenzioni, ed in particolare devono comprendere l’indole eversiva della frode modernista: troppo spesso chi difende la dottrina e la morale cattolica non osa disfarsi delle deviazioni insinuate dal Vaticano II e par voler pagare il tributo all’idolo conciliare col citarne questo o quel passo a sostegno delle proprie tesi.. (…)
Ma più che di una liberazione dall’odioso giogo conciliare, quello che è indispensabile suscitare nelle anime buone è la fiducia assoluta nella Grazia, affinché si abbandonino i rispetti umani, per confessare Gesù Cristo, che è Verità e Via alla Verità e Vita nella Verità. Se non sapremo riconoscere quanto ridicoli e falsi siano gli spauracchi che il demonio ci leva davanti; se non troveremo il coraggio di gettarci nelle braccia della Vergine affrontando il martirio che la Provvidenza ha preparato per noi – piccolo o grande che sia; se non disprezzeremo questi attimi di vita terrena preferendo l’eternità beata che ci aspetta, ribellarci all’errore sarà un esercizio di logica forse, ma non di virtù. Esser ostracizzati da un tiranno arrogante; derisi da chi sa di non avere argomenti; scacciati come indegni per far posto a personaggi compromessi e ricattabili; incarcerati, torturati, forse uccisi: questo è accaduto (…) ogniqualvolta il potere civile si è alleato con gli eretici per distruggere la Chiesa; questo accade oggi anche a noi, secondo la croce che il Signore fattosi nostro Cireneo ci aiuta a portare. (…) Nella mia nullità oso sperare che quel che dovremo sopportare ci apparirà come una cosa da poco, quando nell’attraversar la prova ci accorgeremo quanto maggiore fosse il suo timore umano rispetto alla realtà dell’aiuto celeste.
Noi, da laici, proviamo a metterci nei panni di un uomo consacrato e ci rendiamo conto che quel che sta vivendo, se è una persona retta e se possiede anche solo un briciolo di fede e di timor di Dio, è un vero e proprio dramma. Lo è anche per i laici; lo è, a maggior ragione, per i membri del clero. È come dover prendere atto, con immenso dolore e, all’inizio, con sbigottimento e incredulità, che la propria madre non ci vuole bene, non ci ha mai voluto bene, anzi, che quella che credevamo essere nostra madre è una sconosciuta, una donnaccia, una persona brutta e cinica, avida di gestire i nostri averi e perfettamente incurante del nostro bene. Abbiamo conosciuto personalmente, amato e stimato alcuni vecchi e santi sacerdoti, pieni di zelo e di amore per il Vangelo, che ora ci hanno lasciato per tornare alla casa del Padre; e li abbiamo visti piegarsi e soccombere sotto il peso di un’angoscia insopportabile, come alberi abbattuti dalla tempesta. Non sono morti semplicemente di vecchiaia: sono morti di angoscia, e la banda di traditori che ha occupato il vertice della Chiesa è responsabile anche di questo delitto; così come Bergoglio è responsabile della morte del cardinale Caffarra, al quale ha negato ogni risposta, ogni richiesta di un colloquio privato, e al quale non ha rivolto una sola parola allorché, nelle ultime giornate terrene del cardinale, se lo è trovato davanti, a tavola, durante una vista pastorale nella sua città. Fa male guardare quelle fotografie: lo sguardo sofferente, quasi implorante di Caffarra e lo sguardo duro e tagliente di Bergoglio, che abbraccia il cardinale per coltivare ipocritamente la propria immagine pubblica di papa misericordioso, ma resta freddo e distante perfino in quegli attimti di contatto fisico.
Tornando alla lettera aperta di Cesare Baronio a monsignor Viganò, la cosa che va maggiormente sottolineata è la continuità che egli giustamente individua, con ragionamento perfettamente consequenziale, fra il Concilio Vaticano II e l’attuale, disastrosa situazione in cui versa la Chiesa. L’eresia e l’apostasia ormai manifeste del falso clero – che altro dovrebbe ancora fare, dopo ave introdotto e adorato gli idoli fin dentro la basilica di San Pietro, perché tutti finalmente capiscano? — non sarebbero state possibili senza i pestiferi errori conciliari, che le hanno preparate e rese quasi inevitabili. Ciò che nel Concilio non era apertamente erroneo, era però confezionato con voluta ambiguità. Non c’è un solo documento del Vaticano II che non soffra di questa perfida, intenzionale ambiguità, in modo che negli anni successivi il clero massonico potesse allargare a dismisura le fessure e scardinare, poco alla volta, l’intero edificio. Ciò che in quei documenti è accettabile non è originale; ma tutto ciò che è originale, è infettato dall’eresia modernista, tanto è vero che i fautori del Concilio sono costretti a citare sempre quei documenti, e mai i documenti di tutti gli altri venti concili che si sono succeduti nella storia della Chiesa: prova manifesta del carattere rivoluzionario, e quindi apostatico, del Vaticano II. Le contorsioni sulla continuità nella discontinuità vanno bene per le menti deboli per le coscienze elastiche. La verità è che se gli insegnamenti del Concilio segnano una discontinuità, per ciò stesso si qualificano come erronei ed eretici; se in essi vi è qualcosa che resta nella continuità, allora non è merito loro, ma del fatto che almeno in alcuni casi i padri conciliari si sono attenuti alla vera dottrina e al Magistero di sempre. Pertanto, quel che nel Concilio è valido, è di fatto inutile, perché ripete cose già dette; mentre tutto ciò che si presenta come innovativo, e che la grancassa dei mass-media e della cultura progressista imperante ha lodato in maniera perfino iperbolica, semplicemente non è cattolico, se pure non è decisamente anticattolico, e perciò diabolico.
È da qui che bisogna ripartire, piaccia o non piaccia. I cattolici progressisti, se sono in buona fede, se ne dovranno fare una ragione. O si sta col Vaticano II, e allora ci si pone contro duemila anni di Tradizione; oppure si sta con la Tradizione e le Scritture, e allora non si può stare con il Concilio. Del resto, Gesù ha detto chiaramente che l’albero si riconosce dai frutti: l’albero buono non può dare frutti cattivi, né l’albero cattivo, frutti buoni. E dunque bisogna che ogni cattolico si interroghi onestamente sui frutti che, da oltre cinquanta anni, il Concilio ha portato nella vita della Chiesa. Sono frutti buoni? Se sono frutti buoni, come mai il crollo delle vocazioni, la rilassatezza morale, la confusione dottrinale, il turbamento spirituale, i disordini liturgici, il costante venir meno delle offerte materiali (tranne che in Germania, dove sono prelevate d’ufficio sotto forma di tasse), le chiese semivuote, i seminari addirittura deserti? Chi è onesto, tragga da sé le doverose conclusioni…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI