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Psicopatologia morale di Bergoglio

La ragione principale per cui la psicologia moderna così raramente riesce a lenire le sofferenze umane e ad aiutare le persone a ritrovare l’equilibrio interiore che hanno perduto, è che essa non si pone più in una prospettiva morale, con la scusa che non esiste più un’etica condivisa; e quindi pretende di aiutare l’uomo facendo astrazione dalla cosa essenziale da cui dipende lo stare bene o lo star male: l’osservanza della legge morale naturale. Non diciamo: della legge morale cristiana, anche se siamo profondamente convinti che solo in quest’ultima si trova la perfezione della vita interiore di qualsiasi essere umano; diciamo la legge naturale, perché tale osservanza, che è accessibile a chiunque, indipendentemente dalle sue convinzioni religiose, sarebbe già sufficiente a garantirgli un grado soddisfacente di equilibrio e serenità interiore. Tutto questo per dire che la psicopatologia, cioè lo studio delle malattie della psiche, non riuscirà mai a fare centro se non terrà conto dell’osservanza della legge morale: vivere contro la legge morale significa automaticamente creare degli squilibri e dei conflitti interiori, i quali daranno luogo a delle patologie. Certo, esiste un segreto al fondo di ciascun’anima; un segreto che Dio solo conosce interamente. Ciò detto, resta il fatto che i disordini del comportamento esistono, e sono la spia di un malessere psichico, affettivo, morale, o di un disordine intellettuale, o tutte queste cose insieme. Ora se c’è una cosa evidente, nel comportamento del signore argentino che il 13 marzo 2013 è stato eletto papa della Chiesa cattolica, (e sarebbe da vedere se fosse anche solo legittimamente vescovo e poi cardinale, visto che tali cariche sono proibite ai membri dell’ordine dei gesuiti, nato per servire la Chiesa e il papa e non perché essi svolgano la funzione di principi della Chiesa, e tanto meno di papi) è il disordine del comportamento, gli sbalzi di umore, l’ostentazione patologica di certi atti, la forzatura del sorriso, i lampi di furore che, talvolta balenano nel suo sguardo, gli scatti d’ira incontrolabili, il linguaggio sboccato (già segnalato dai suoi superiori quand’era in predicato la sua nomina a vescovo), la sua intolleranza a qualsiasi tipo di critica, la sua doppiezza, la sua diffidenza patologica (quanti sanno che a Santa Marta mangia da solo, in un angolo, al massimo con la compagnia di pochi yes-man, e che attorno a lui regna un clima di terrore e di perenne caccia alle streghe?), la sua vendicatività e la capacità pressoché inesauribile di serbare rancore. Un esempio di quest’ultima? La distruzione, con le ruspe, del piccolo, bellissimo vigneto presso il quale Benedetto XVI amava soffermarsi in preghiera, avvenuta, guarda caso, subito dopo lo scoppio della "bomba" del libro firmato a quattro mani dal cardinale Sarah e dallo stesso Ratzinger, nel quale viene severamente criticata la proposta, emersa durante il Sinodo per l’Amazzonia (quello di Pachamama!) di abolire il celibato ecclesiastico, libro che ha mandato Bergoglio fuori dai gangheri per la rabbia e che ha costretto il povero monsignor Gänswein a penose contorsioni, smentite e contro-smentite, poiché l’argentino furibondo pretendeva addirittura che il nome del suo predecessore venisse tolto dalla pubblicazione. E così, per tutte le altre caratteristiche che abbiamo qui indicate della patologia caratteriale di quest’uomo, potremmo citare fatti e situazioni precisi, del resto verificabili da chiunque, poiché sono stati immortalati dalla stampa e dalle riprese televisive.

Ora, nei limiti del possibile vorremmo separare la psicopatologia morale di costui dalle loro implicazioni di carattere religioso, pastorale, dottrinale, liturgico (sì, anche liturgico: perché se i cattolici lo prendessero a modello, come alcuni pretendono, in tutto e per tutto, allora non vi sarebbe più la genuflessione davanti a Gesù Eucaristico). La cosa è difficilissima, perché i due ambiti sono strettamente legati; tuttavia ci sforzeremo di farlo, per mostrare che una forza estranea abita in questa persona e la spinge continuamente a comportamenti compulsivi, irrefrenabili, che egli non è in grado di padroneggiare, anche se sa di avere addosso molti occhi e perciò di esporsi a giudizi che rischiano di compromettere seriamente la cosa che per lui è più preziosa: la sua popolarità, il plauso del mondo. Il primo elemento che colpisce, nel suo comportamento, è la totale noncuranza in cui tiene i sentimenti più profondi e le abitudini devozionali più care di centinaia di milioni di persone. Se le sue parole e i suoi gesti offendono, turbano, amareggiano un grandissimo numero di cattolici — e le cifre dicono che le chiese si stanno svuotando, e le offerte dei fedeli sono crollate, precisamente dall’inizio del suo pontificato — ebbene quello è un problema che non lo riguarda. In una persona dotata di un normale equilibrio interiore, una tale indifferenza alle conseguenze dirette delle proprie azioni è inimmaginabile: la si può concepire solo in un alienato o in un soggetto affetto da un grave disturbo narcisistico della personalità. In altre parole, per lui è lecito dire o fare qualsiasi cosa; si sente superiore a tutti, si sente onnipotente; sa di contraddire duemila anni di Magistero, sa di andare contro l’insegnamento e l’esempio di centinaia di papa, di migliaia di vescovi e pastori d’anime, di un numero sterminato di santi e di martiri, ma non gliene importa; né gl’importa l’effetto che il suo modo di procedere ha sui fedeli. Anzi, non solo non gliene importa, non solo non se ne cura, non solo va avanti per la sua strada, indifferente o, peggio, insofferente a qualsiasi critica, a qualsiasi consiglio (pochi, ahinoi: si è circondato da una cerchia di servili adulatori, che non gli dicono mai la verità), ma addirittura, e questo è un tratto addirittura disumano, mostra sovente di provarne compiacimento. Sorride beffardo, oppure adopera l’arma dell’ironia, del sarcasmo, del dileggio: sorride compiaciuto e tutto gongolante davanti a milioni di persone che soffrono per il suo modo di fare il papa!

Noi conosciamo parecchie persone che, da quando ha iniziato a manifestare i suoi comportamenti anticattolici e anticristiani, hanno smesso di andare alla santa Messa, anche perché ci trovano dei preti che prendono esempio da lui, e che officiano la Messa alla sua maniera, cioè trasformandola in una cerimonia non cattolica e anticattolica. Sono persone addolorate, depresse, che soffrono per la lontananza dal Sacramento Eucaristico, oltre che per la separazione dalla vita della loro parrocchia: ma che altro potrebbero fare? Molte di loro dicono che, se ci andassero, farebbero peccato, perché il loro sdegno le turba al punto da renderle rancorose, e in tale stato interiore sanno di non potersi accostare alla santa Comunione. Conosciamo anche delle persone che hanno perso addirittura la fede, sempre per colpa del modo di fare del signor Bergoglio. Qualcuno potrà obiettare che, se hanno perso la fede per un tale motivo, ciò significa che doveva essere un fede alquanto debole e incerta. Ebbene, e se anche fosse? Dove sta scritto che tutte le anime che cercano Dio con purezza di cuore, trovano subito e senza incertezze quel che desiderano? Al contrario; è scritto che i pastori servono a questo: a rafforzare le pecorelle nel loro cammino verso Cristo; a custodirle nella fede; a tenere lontani i lupi che potrebbero aggredire il gregge, anche se ciò dovesse costar loro la vita. Perciò non sono da biasimare quelle anime che hanno perso la fede a causa di Bergoglio, ma sono da biasimare Bergoglio e i suoi cattivi pastori, i quali, invece di fare ciò che Gesù ha ordinato a san Pietro (pasci le mie pecorelle), le inducono in tentazione, le allontanano, le respingono; e arrivano fino al punto, come ha fatto l’altro giorno il cardinale Bassetti, di sfidare chi non è d’accordo con il modo di fare il papa di Bergoglio, ad andarsene fuori dalla Chiesa cattolica, e a fondare la sua piccola chiesa protestante (ma non avevano detto, questi signori, che Lutero aveva ragione e che i protestanti vanno bene così come sono, cioè senza papa, senza Maria, senza libero arbitrio, senza Chiesa e senza sacerdozio; e che i cattolici non hanno alcun diritto di chieder loro di convertirsi?). Si tratta di autentici drammi umani; dal punto di vista della fede, per meglio dire, non si può immaginare un dramma più angoscioso di questo: perdere la fede, sentirsi allontanati dalla Chiesa, non riuscire più comunicarsi del Corpo di Cristo, non per la propria cattiva volontà, bensì per il contegno dei pastori che quella fede dovrebbero custodire e difendere, anche a rischio della loro vita. E come se ciò non bastasse, dover anche sentirsi insultati dal signor Bergoglio: sentirsi apostrofare con gli epiteti più beffardi o ingiuriosi: signor piagnisteo, facce da sottaceto, cani selvaggi, mummie imbalsamate, e via dicendo; e dover vedere quel sorriso, quel sorriso, mio Dio, così sfrontato, così derisorio, così… satanico, sulla faccia del signore che è stato eletto in qualità di papa e che più di chiunque altro dovrebbe proteggere, come le pupille dei suoi occhi, i cattolici sparsi nel mondo, e molti dei quali — cosa che lui non si degna di ricordare quasi mai nelle sue incessanti perorazioni sui migranti, il clima, l’ambiente e lo smaltimento dei rifiuti — subiscono persecuzioni quotidiane. Immaginiamo cosa vuol dire e essere cristiani in Siria, in Iraq, in questo momento; o anche in Libano, in Egitto, in Pakistan: non significa forse vivere con la spada di Damocle sospesa sul capo, a motivo della propria fede? Oppure essere cristiani in Nigeria: non significa rischiare di venire uccisi ogni giorno, ogni momento, per il solo fatto di entrare in una chiesa, per il solo fatto di essere battezzati e di esistere? E ora rivolgiamo lo sguardo a colui che dovrebbe avere a cuore, come un padre misericordioso, la sorte di quei poveri cattolici perseguitati, affranti, imprigionati, brutalizzati, costretti a fuggire dalle loro case: il volto di un uomo che ride, che pare divertirsi un mondo ogni volta che dice una nuova bestemmia, ad esempio che Gesù si è fatto peccato, diavolo o serpente, o una nuova eresia, ad esempio che le Persone della Santissima Trinità litigano sempre fra di loro, benché a porte chiuse.

Oppure si osservi il sorriso di Bergoglio quando ritira con destrezza la mano, lasciando interdetti e mortificati i fedeli che fanno la fila per baciargli l’anello (non un anello di bellezza, ma il simbolo del suo ministero petrino): ha qualcosa d’inquietante. Quelli restano lì, a bocca aperta, non sanno che dire o che pensare; e lui ripete la manovra, ancora e ancora, con la destrezza d’un prestigiatore, e non dà spiegazioni, non si scusa, non si giustifica, non li rassicura, non chiarisce, non fa nulla di tutto questo; se la ride di gusto, gli occhi sfavillanti d’allegria, come se stesse giocando a quelle persone la beffa da osteria più divertente di questo mondo. Si osservi, ancora, il filmato della scena in cui, nelle Grotte Vaticane, passa davanti a due chierichetti di sette, otto anni, uno dei quali tiene le mani giunte nel gesto della preghiera cristiana (non nel gesto semi-islamico che ora, nella Messa di nuovo rito, si fa al momento di recitare il Padre nostro, con le braccia aperte e le palme rivolte in alto). Bergoglio, benché procede con passo spedito, e attorniato da tutto il suo codazzo, nota quel gesto con la coda dell’occhio, lo registra e subito qualcosa scatta in lui; si ferma, si avvicina al chierichetto, e cerca di separare le sue manine: per farsi capire meglio, fa anche il gesto del dividere. Si attarda così qualche secondo, e alla fine si rimette in movimento solo perché quel bambino, che non ha capito o che forse ha capito anche troppo bene, subito ricongiunge le manine, gesto che evidentemente aveva indispettito il "vicario di Cristo"; e se il signore argentino insistesse nel volerlo convincere a non far così attirerebbe troppo attenzione generale. Incredibile il servilismo con cui i mass-media di regime hanno mostrato e commentato, sì, l’episodio — visto che non potevano farne a meno: è il bello della diretta, ragazzi! — ma evitando accuratamente di dire la verità, di spiegare quell’episodio nella maniera più ovvia. Sicché perfino lo scandalo dato a una piccola anima: tu non devi pregare con le mani giunte, non occorre, non si deve pregare con le mani giunte, è un gesto troppo vecchio e superato, roba da clericali; e poi sa troppo di trascendenza, sa troppo di adorazione verso Colui che è al disopra dell’uomo — diventa qualcosa di naturale, di bello, di encomiabile, qualcosa che rivela la tenerezza del papa, il suo amore per i bambini, e chissà che altro. Il gesto di schiaffeggiare con forza la mano della pellegrina cinese che aveva cercato di attirarlo a sé, e lo sguardo diabolico col quale si è allontanato da lei, è troppo noto ed anch’esso è stato commentato dai suoi turiferari come una cosa da nulla, una comprensibile reazione al dolore causatogli dallo strattone al braccio, tanto più che l’indomani Bergoglio si è premurato di chiedere scusa, non per il gesto in verità, ma per la poca pazienza, e non facendo cercare quella donna per chiederle scusa in privato, ma ostentando alla folla in Piazza San Pietro la sua umiltà. Ma lo sguardo che aveva contrassegnato la scena della sera prima, più ancora del gesto, era stato inequivocabile: lo sguardo di una forza maligna che abita nel profondo di quell’anima e che non sopporta alcun richiamo alla Verità di Cristo. La donna cinese, con tutta probabilità, gli aveva ricordato la tragedia dei cattolici cinesi perseguitati dal regime comunista, e forse gli aveva chiesto perché lui, il vicario di Cristo, ha stretto un accordo con esso, abbandonandoli tutti alle rappresaglie del regime, il quale ora potrà dire che i "veri" cattolici sono i bergogliani, quelli che riconoscono l’autorità del regime e accettano la nomina dei suoi vescovi. Ed eccoci arrivati al cuore del discorso: l’anima è disturbata quando rifiuta la Verità; e poiché la Verità è Cristo, l’anima che rifiuta Cristo, che lo falsifica, lo tradisce, lo adultera, lo sminuisce, non può che essere preda dei più vari disordini comportamentali. Bergoglio vuol traghettare la Chiesa di Cristo dalla Verità all’apostasia; vuole liberalizzare il peccato; mettere in forse la divinità di Cristo; banalizzare il giudizio divino e la vita eterna. Come potrebbe essere in pace con stessa e con il mondo, un’anima agitata da simili demoni?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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