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Ci eravamo scordati chi è il Padrone della storia

Tutta la cultura moderna tende a farci credere che la storia degli uomini è la storia di cui essi sono gli attori unici ed esclusivi; che la storia è fatta da loro, in tutto e per tutto; che in essa non si dà altro, né bisogna aspettarsi null’altro, che l’opera degli uomini, sia essa buona o cattiva. L’orizzonte speculativo della storia, insomma, è di tipo radicalmente immanentistico; proprio come l’orizzonte della scienza, e anche quello della filosofia, sono radicalmente naturalistici: non si dà alcuna altra realtà se non quella naturale; una natura soprannaturale è per la cultura moderna una contraddizione in termini (anche se non lo era per Platone o per san Tommaso d’Aquino: peggio per loro, avevano avuto la sfortuna di vivere prima dell’Età dei Lumi e della Éncyclopédie). La cosa paradossale è che a fare propria una simile prospettiva sono stati, a partire da un certo momento, che si colloca almeno due o tre secoli fa, se non di più, anche i cristiani: i quali, per definizione, non possono vedere la storia in termini immanentisti, storicisti e naturalistici, ma devono vederla in termini teologici e soprannaturali. Il che è quanto dire che non ci sono più dei cattolici, o quantomeno che non ci sono più dei cattolici organizzati, e che, parlando in generale, non c’è più una visione cattolica del mondo, quindi non c’è nemmeno una visione cattolica della storia. E come meravigliarsene, se perfino colui che siede sul seggio di San Pietro, mentre si uccidono i cristiani nel mondo, mentre si profanano le chiese e le immagini sacre, mentre si presenta Gesù come un pedofilo e un omosessuale, non trova nulla di meglio da fare che parlare e sproloquiare sul clima, sui migranti, sull’innalzamento del livello del mare? E, naturalmente, su una cosiddetta fratellanza umana che ha tutti e le caratteristiche del credo massonico e non ha nulla a che fare con la fratellanza umana di tipo cristiano, dove nella quale gli uomini sono fratelli non per un istinto naturale (che non esiste) ma perché figli del Dio dell’Amore, della Compassione e del Perdono, cioè il Dio di Gesù Cristo, colui che mentre veniva inchiodato sul legno della croce, si preoccupava per i suoi aguzzini e pregava così: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno?

Sul concetto che Dio, e Dio soltanto, è il vero Padrone della vicenda umana, ci eravamo già soffermati a riflettere, cercando di rileggere gli eventi della storia attraverso questa filigrana (cfr. l’articolo: Da dove dobbiamo ripartire?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 12/05/18). Vogliamo ora riprendere quella riflessione, servendoci, come guida, della Città di Dio di Sant’Agostino, il primo filosofo della storia. Scrive in proposito Paolo Di Sacco (in: P. Di Sacco-M. Serio, Il mondo latino, Bruno Mondadori Editore, 2001, vol. 5, pp. 299-300):

L’obiettivo sotteso a tutta l’opera è confermare l’assoluta verità del cristianesimo su un piano di filosofia della storia: la fede trascende i tempi dell’uomo e qualsiasi sua costrizione storica, incluso l’impero romano. La storia di Roma è per Agostino un susseguirsi di sciagure; si fonda su un fratricidio, quello di Romolo, replica del primo assassinio, quello commesso da Caino ai danni del fratello Abele. Ma tutti gli stati e i regni del mondo, realizzazioni storiche della città terrena, si sono formati con le guerre, la violenza, l’ingiustizia dei "magna latrocinia"; Agostino è persuaso che sui questa terra non possono esservi vera giustizia né vera pace, e che il risarcimento dei torti patito avverrà solo nell’altra vita. Persino le virtù riconosciute da tutti nella città terrena, come l’eroismo, la sapienza ecc., sono solo apparenti, perché, nella migliore delle ipotesi, hanno come scopo il desiderio di gloria, che distoglie forse da vizi peggiori, ma allontana dal vero bene.

La posizione di Agostino sugli stati terreni conosce tuttavia delle oscillazioni Per esempio, se esclude che i figli della luce possano accettare compromessi con uno stato che è solo l’esaltazione della superbia umana, scorge però un elemento positivo nella pace che Roma ha instaurato; ammette che vi sono stati imperatori buoni, come Costantino e Teodosio, rispettosi della legge di Dio; l’impero romano cristianizzato si avvicina alla "città naturale" a cui erano destinati Adamo ed Eva prima del peccato originale. I cristiani hanno quindi il dovere di obbedire alle leggi e alle autorità civili.

La vita del credente su questa terra è una sorta di pellegrinaggio, che lo conduce alla sua patria vera, la città di Dio: la sua temporanea permanenza nel mondo, da "peregrinus" appunto, comporta per lui degli obblighi, morali e sociali. Agostino non insegna la fuga dal mondo o il disimpegno: esorta a vivere NEL mondo ma STACCATI da esso.

Quanto alla divisione tra le due città, essa è un concetto teologico, ne senso che non trova un preciso riscontro nello spazio e nel tempo: città terrena e città celeste, pur così diverse nella sostanza, sono "permixtae"nella storia e si confondono. La città di Dio non equivale alla Chiesa cristiana, che in quanto società umana è anch’essa preda del peccato, così come la "Civitas Dei" comprende anche gli ebrei che non credono in Cristo e i pagani antichi, destinati alla salvezza. Solo il giudizio finale potrà separare chiaramente i buoni dai malvagi e rendere esplicita la volontà di Dio. Il tempo è opera di Dio, è Lui il soggetto della storia, ma il disegno di Dio non mira ad attuare la giustizia in questo mondo (non si può dunque parlare di una provvidenza storica); il presagio della gloria futura non è ANCORA la beatitudine, anche se ne contiene GIÀ i germi. Le due città continuano a intrecciarsi anche dopo la venuta di Cristo, e così sarà fino alla fine; la "Civitas Dei" potrà affermarsi solo dopo lotte e persecuzioni e passando attraverso il tempo dell’Anticristo, previsto dall’"Apocalisse", l’ultimo libro del Nuovo Testamento.

L’idea della supremazia della città terrena su quella celeste non porta dunque Agostino a teorizzare la subordinazione dell’una rispetto all’altra, come invece concluderanno i teologi politici del Medioevo: in lui i due livelli appaiono totalmente distinti. La sua rimane un’interpretazione "aperta", carica proprio per questo di maggiore suggestione. D’altra parte il convertito Agostino sa bene che le vie di Dio sono sempre misteriose, perché Egli opera attraverso l’uomo e nell’uomo vi è un inesorabile intreccio tra bene e male, peccato e grazia. Così come vi possono esservi dei buoni negli stati terreni e dei malvagi nella Chiesa, la divisione tra i due piani passa nel cuore stesso di ogni individuo.

Benché impegnato a rileggere e a interpretare la storia umana, il "De civitate Dei" resta, in ogni sua pagina un’opera di carattere religioso, in cui la sfera umana finisce per essere non annullata, ma riassorbita nella contemplazione mistica: basti dire che ben due libri (XIX e XX) sono occupati dalla profetica descrizione del giudizio finale.

Sono almeno tre i concetti che meriterebbero di essere riletti e meditati in chiave di attualità, specie da parte di quei cattolici che non si capacitano di come la Chiesa stia andando a rotoli e che il peggiore attacco alla loro fede che si sia mai visto provenga palesemente dall’interno di essa, e non dall’esterno. Il primo è il seguente: Il tempo è opera di Dio, è Lui il soggetto della storia, ma il disegno di Dio non mira ad attuare la giustizia in questo modo. E ancor più dovrebbe essere letto e mediato, questo passo, da tutti quei cattolici, e oggi sembrano essere la maggioranza, i quali si sentono talmente impegnati nelle cose — sia pure, in se stesse, lodevoli; o almeno una parte di esse – di quaggiù, da aver del tutto dimenticato che la vita terrena è un pellegrinaggio, oltre che una milizia, e che quando Dio vorrà instaurare la giustizia sulla terra, quella sarà anche la fine della storia, perché la giustizia sulla terra non è, non può essere e non sarà mai opera degli uomini, nemmeno degli uomini santi e divinamente ispirati, ma di Lui soltanto, che è il Padrone e il Fine della storia umana. Ecco perché Maria, sorella di Lazzaro, simbolo della vita contemplativa, si è scelta la parte migliore rispetto a Marta, simbolo della vita attiva. Ed ecco perché è profondamente sbagliato quel che fa la Comunità di Sant’Egidio, estromettendo i banchi da preghiera dalle chiese e causando la sospensione delle sacre funzioni, per trasformarle in sale da pranzo (e qualche volta, come fanno certi parroci, in dormitori): ai poveri si può dar da mangiare in qualsiasi luogo, ma la chiesa è un luogo consacrato a Dio e qualsiasi altro uso, tranne che in caso estremo e urgentissimi, è del tutto inopportuno o, peggio, dissacrante: appunto perché vi sono cento luoghi per mangiare o dormire, ma uno solo serve esclusivamente a pregare e a ricevere Gesù Eucaristico, e pertanto esso va rispettato nella sua finalità naturale ed esclusiva e non forzato a svolgere funzioni che ne stravolgono la natura, perché nulla hanno di sacro, per quanto possano essere rivolte a sostegno del prossimo. La chiesa nasce come luogo sacro destinato a segnare una separazione netta rispetto allo spazio profano circostante, perché la sua ragion d’essere è quella di aiutare le anime ad avvicinarsi a Dio, con l’ausilio dell’arte sacra e della musica sacra (uno scopo che evidentemente non si applica a molte chiese post-conciliari, le quali, nell’architettura, nelle decorazioni e anche nella musica che accompagna le sacre funzioni, nulla hanno di sacro e non innalzano affatto le anime verso Dio, semmai le immergono in un clima pesantemente terreno e immanente). E dunque le chiese sono il luogo in cui si prega Dio, il Dio di Gesù Cristo, che è il Pane di vita eterna, in confronto al quale il pane di frumento non risolve i problemi dell’uomo, li rimanda solamente. Dopo aver mangiato il pane di frumento si torna ad avere fame, ma dopo aver ricevuto il Pane di vita eterna la fama è placata in maniera perfetta, perché Gesù è la risposta a tutte le nostre domande e a tutti i nostri bisogni e qualsiasi cosa, anche le opere di carità corporale (ma senza dimenticare quelle di carità spirituale) passa in seconda linea, o meglio, acquista un significato se è fatto nello spirito del vero cristianesimo, che non antepone il pane del mondo al pane divino, ma subordina quello a questo. L’odore di ragù o di carne arrostita che si spande durante i pranzi per i poveri dentro le navate delle chiese, sostituendosi al profumo dell’incenso, contribuisce a dar l’impressione, del tutto sbagliata e fuorviante, che la chiesa non sia più la casa di Dio adibita alla preghiera, come Gesù in Persona ci ha esplicitamente insegnato e rammentato (cfr. Marco, 11,17; Matteo, 21,13; Luca, 19,46; e Giovanni, 2,16) ma la casa degli uomini, nella quale essi fanno liberamente tutto ciò che ritengono meglio per se stessi, scordando o trascurando ogni riguardo per la maestà del Signore.

Il secondo concetto notevole, e di grande attualità, che si evince da questo testo, è il seguente: la "Civitas Dei" potrà affermarsi solo dopo lotte e persecuzioni e passando attraverso il tempo dell’Anticristo, previsto dall’"Apocalisse", l’ultimo libro del Nuovo Testamento. Pertanto, non solo non ci si deve meravigliare se i tempi che stiamo vivendo sono irti di difficoltà d’ogni genere, difficoltà che mettono a dura prova la nostra fede, affinché noi siamo vagliati come attraverso un setaccio; ma ci è stato insegnato dalla Sacra Scrittura che la Città di Dio non verrà instaurata prima che i credenti, e la Chiesa tutta, fondata da Gesù Cristo, passino attraverso la prova della più grande tentazione: quella di contraffare la vera fede, sotto la suggestione malefica dell’Anticristo. E poco importa sapere, in questa sede, se l’Anticristo sia una persona o un complesso di circostanze e istituzioni; vale il significato più profondo dell’espressione: l’Anticristo è ciò che si oppone a Cristo, e che alla fine dei tempi acquisterà una forza tremenda, sostenuto da Satana affinché lanci l’attacco più massiccio contro i credenti e la loro fede in Gesù Cristo.

E qui arriviamo al terzo punto: La città di Dio non equivale alla Chiesa cristiana, che in quanto società umana è anch’essa preda del peccato. Contraffare la fede significa spacciare per dottrina cattolica una serie di petizioni di principio che nulla hanno di cristiano, ma puzzano invece, lontano un chilometro, di massoneria. E se qualcuno, per caso, avesse nutrito ancora dei dubbi sul reale significato dell’azione pastorale (chiamiamola così, tanto per capirci; ma dovremmo dire piuttosto: anti-pastorale) di Bergoglio, anche dopo la firma del documento di Abu Dhabi, che oltre a parificare il valore di verità di tutte e religioni, proclama ad alta voce un ideale di fratellanza umana che è tipicamente massonico (e quindi radicalmente anticristiano), crediamo che difficilmente possa averne ancora, dopo aver udito quel signore preannunciare un convegno mondiale che, nel prossimo mese di maggio (il Mese dedicato alla Santissima Vergine Maria: altra voluta profanazione!), avrà lo scopo di stabilire un patto educativo fondato su di un "nuovo umanesimo", altra espressione che sottende un concetto squisitamente massonico. Il disegno è quello di stabilire una sola religione mondiale, attirando e fondendo tutte le religioni esistenti, per poi giungere alla glorificazione dell’uomo, e da ultimo alla divinizzazione dei capi della massoneria mondiale. Nessuno si faccia illusioni: passata l’euforia dell’umanesimo, i Padroni Universali lasceranno cadere la maschera: padroni di tutta la ricchezza mondiale, dunque liberi di affamare e ricattare l’intera umanità, alla fine pretenderanno di essere adorati dagli schiavi senza valore, le persone comuni. Non è solo un progetto anticristico ma esplicitamente satanico, mirante a intronizzare Lucifero al posto di Gesù Cristo. È ora di svegliarsi: il Padrone della storia sta per tornare, e troppi di noi stanno dormendo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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