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L’errore di vivere totalmente calati nel presente

Gli uomini moderni vivono totalmente calati nel presente perché la cultura moderna è segnata da uno stoicismo radicale: la psicologia, in particolare, insegna alla gente a vivere hic et nunc, qui e adesso, e la gente riceve queste banalità da Baci Perugina come preziose perle di saggezza, da conservare con somma cura e da tirare a lucido ogni giorno, per farne la propria bussola nel mare periglioso della vita. Ciò nasce da un grave errore di prospettiva, uno di quegli errori capaci di condizionare tutto il sistema di vita di un’intera società. Tuttavia si tratta di un errore perfettamente logico e inevitabile, date le premesse. Le premesse sono l’immanentismo, il materialismo, il pragmatismo, l’utilitarismo e il relativismo della cultura moderna, nata, o piuttosto imposta a viva forza, sul ceppo della civiltà cristiana medievale. Gli umanisti prima, gli illuministi poi, hanno creato la leggenda di una società medioevale triste e angosciata, nemica della gioia di vivere oltre che della ragione e del sapere, mentre è vero l’esatto contrario: che, se mai c’è stata un’epoca in cui gli uomini hanno conosciuto l’autentica gioia di vivere, quella è stata proprio il tanto bistrattato Medioevo, come ha mostrato nei suoi libri, in maniera assai convincente, una delle massime medieviste contemporanee, Régine Pernaud. Ebbene, la gioia di vivere dell’uomo medievale, figlio della civiltà cristiana, proveniva appunto dalla sua capacità di vivere nel presente, sì, ma con la piena consapevolezza che la storia non è tutto, anzi, è solo la parte più piccola e transitoria del reale; che la storia, sia quella del mondo, sia quella del singolo individuo, ha avuto un principio e avrà una fine; e che quando i veli saranno caduti e la realtà si sarà pienamente manifestata nella luce splendente dell’Assoluto, il tempo non ci sarà più, ma ci sarà solo l’eternità, meta finale del pellegrinaggio umano. Per tale motivo l’uomo cristiano camminava — e cammina tuttora, se vi sono ancora dei cristiani ai nostri giorni — con i piedi nel presente, ma con la chiara coscienza del passato e con l’ancor più chiara consapevolezza del futuro, ossia dell’eternità. Invece l’uomo moderno, figlio di una civiltà che non gli ha dato alcun punto di riferimento permanente, cammina nel vuoto, ignora il passato e non si preoccupa del futuro: è come un cieco che procede a tentoni, e questo brancolare nel buio lo chiama progresso, e lo considera come il vertice della propria comprensione del reale e il maggior vanto del suo sistema di vita.

Per quale ragione l’uomo cristiano vive nel tempo, ma senza appartenere al tempo, mentre l’uomo moderno vive immerso nel tempo ed è schiavo del tempo? Per la stessa ragione per cui l’uomo cristiano vive nel mondo, ma non appartiene al mondo: perché è un uomo spirituale. Invece l’uomo moderno, che è un uomo carnale, non sa innalzarsi al di sopra del tempo, non sa vedere il proprio essere nel mondo dalla giusta prospettiva: privo com’è di orientamento, si smarrisce nella selva del presente, si dimentica del suo passato ed è angosciato dal futuro che avanza e che intacca il suo corpo, al quale è così visceralmente legato, proprio perché immerso totalmente nella dimensione temporale, con la paura delle rughe, della vecchiaia, la malattia e la morte. L’uomo cristiano non è terrorizzato dalla morte, l’uomo moderno sì: è questa la grande differenza fra i due, che si riflette su tutto il loro sistema di vita. Pertanto l’uomo cristiano non si dispera quando la morte bussa alla sua porta, per quanto dolore provi per la perdita delle persone care (perfino Gesù Cristo pianse calde lacrime sulla tomba dell’amico Lazzaro); l’uomo moderno non vorrebbe nemmeno parlarne, salvo avocare a sé il diritto di sopprimere sia la vita nascente (lo chiama diritto d’interrompere volontariamente la gravidanza), sia la propria o eventualmente quella di un congiunto non più in grado di esprimere la sua volontà, quando giudica che non vi sono più le condizioni per condurre un’esistenza dignitosa. E il giudizio si basa su questo: che non è dignitosa una vita in cui non vi sia il pieno controllo del proprio corpo o in cui non vi sia speranza alcuna di miglioramento da una grave malattia o infermità. Ancora e sempre, immanentismo radicale: ciò che conta è la vita del corpo, non quella dell’anima: e se il corpo non è efficiente, né può godere, che vive a fare? Così ragiona l’uomo moderno; così ragionano ormai moltissimi cristiani, conquistati dal sistema di vita e dal modo di pensare della modernità; e la cosa notevole è che non avvertono neppure più la stridente contraddizione. Del resto, due generazioni di preti modernisti e di vescovi sincretisti li hanno abituati a non vederla, o a considerarla come un motivo di vanto: Vedete? Siamo cristiani, siamo cattolici, però quanto alle idee e ai valori morali, non restiamo indietro rispetto a nessun altro; sono passati i tempi in cui qualcuno poteva accusarci di essere retrogradi e bigotti. Ora noi siamo favorevoli all’aborto e all’eutanasia, non c’è nessun problema in proposto: siamo cristiani adulti, cristiani maturi, mica ignoranti e superstiziosi come lo erano i nostri nonni. Ci sono dei vescovi, come quello di Pinerolo, che per l’Epifania si sono inventati una speciale "messa dei popoli" e non fanno più recitare il Credo durante la liturgia, per riguardo ai valdesi, agli ortodossi e ai non credenti che erano presenti, e ai quali il Credo, dice il bravo vescovo, rincarnando la dose — per le cronache, si chiama Derio Olivero — non serve (ma che ci fanno i non cattolici e gli atei, alla santa Messa cattolica? chi li ha inviati? sono lì per impedire ai cattolici di celebrare la vera Messa secondo il loro rito, o per quale altra ragione?). In compenso, un minuto di silenzio: chi vuole può recitare il Credo mentalmente, dice il vescovo, e gli altri possono pregare secondo le loro intenzioni. E meno male che, a parole, il clero dei nostri giorni, cominciando dal signor Bergoglio, nega di essere relativista e afferma di non voler incoraggiare il relativismo.

Ecco: anche questo è un modo di calarsi totalmente nel presente, di identificare l’esistente con il bene. Ci sono i non cattolici, nel mondo odierno? Certo che ci sono; anzi, non è forse vero che sono ormai la maggioranza della popolazione, anche nei Paesi di tradizione cattolica? Ebbene, la soluzione è presto trovata: si prende atto di tale stato di fatto e si modifica la liturgia, la pastorale e perfino la dottrina, secondo la sensibilità della nuova maggioranza. Ci sono o non ci sono le coppie di fatto, i divorzi, e i divorziati che sono passati a nuove unioni o che si sono rispostati in municipio? Ebbene: si confeziona un documento eretico spacciato per autentico Magistero, Amoris laetitia (che titolo suadente, mellifluo, celestiale!), col quale si socchiude la porta alla loro riammissione ai Sacramenti, come se nulla fosse, senza chieder loro di emendarsi e ritornare sulla retta via; anzi si arriva al punto, come hanno fatto alcuni vescovi e specialmente quello di Belluno, di domandare scusa ai divorziati risposati, perché la Chiesa è stata troppo severa e arcigna nei loro confronti. Il che, fra l’altro, è una grossa offesa alla verità dei fatti, e soprattutto è uno schiaffo a tutti quei cattolici che hanno portato la croce di un matrimonio infelice, ma sono rimasti fedeli al Sacramento e hanno lottato ogni giorno per tenere unita la loro famiglia, chiedendo l’aiuto di Dio. E via di questo passo: ci sono o non ci sono le persone che vogliono amare alla luce del sole dei compagni dello stesso sesso, e perfino sposarsi in municipio, e molte delle quali vorrebbero sposarsi anche in chiesa? Ebbene, il falso clero modernista ne prende atto e spalanca loro le porte: ciò che essi fanno non è più peccato, anzi non lo è mai stato. Pur di andare d’accordo coi tempi nuovi, il falso clero modernista rovescia il Magistero e stravolge perfino il senso delle Sacre Scritture: e insegna, come fa la Pontificia Commissione Biblica, stampando un libro ad hoc, che il peccato dei sodomiti non è affatto la sodomia, bensì la mancanza di ospitalità e la violenza verso gli stranieri. Due piccioni con una fava! Da un lato si sdogana il peccato di Sodoma, dall’altro si ritorce la colpa non sui sodomiti, ma su quanti non sono disposti a subire l’immigrazione selvaggia: insomma i veri sodomiti, quelli che dispiacciono a Dio, sono i leghisti e tutti quegli italiani e quegli europei che, insensibili e duri di cuore, non vogliono lasciarsi invadere da milioni di falsi profughi di fede islamica. E così, pur di andare d’accordo coi tempi nuovi, i sedicenti cattolici odierni preferiscono dare torto all’insegnamento dei Padri, dei Santi, di duecentosessanta pontefici e di venti concili (venti, non ventuno), e soprattutto a Gesù Cristo e al suo Vangelo, pur senza avere il coraggio di dirlo apertamente, ma con somma ipocrisia, avanzando nuove "letture" di esso e sostenendo che oggi non si può credere al Vangelo allo stesso modo in cui ci si credeva prima della modernità. Il che equivale di per sé ad ammettere che dei due fattori in predicato, il cristianesimo e la modernità, è il secondo che fornisce l’unità di misura ed è quindi il primo che si deve adattare. Ma questo non è un palese tradimento del Vangelo? Nell’insegnamento e nella vita di Gesù non si trova nulla del genere: non è il Vangelo che va adattato al mondo, perché esso è l’alternativa radicale al mondo, senza compromessi né ambiguità (e sia il vostro parlare: sì, sì, no, no: tutto il resto viene dal diavolo: ricordate?).

Ecco, dunque, perché vivere totalmente calati nel presente è un tragico errore. L’uomo non è solo presente, così come non è solo individuo (come insegna la filosofia del liberalismo), bensì individuo inserito in un contesto sociale, che incomincia con la famiglia e poi si allarga, per gradi, fino alla comunità mondiale. E dire società, significa dire radici e identità: perché ogni società ha una storia, ha un inizio, ha una tradizione, ha un volto, ha un ‘anima (a meno che le venga strappata, o che lei stessa la distrugga con le proprie mani): e dunque l’uomo è impensabile senza le sue radici e quelle del gruppo in cui è nato, senza la cultura che lo ha formato, senza i valori che gli sono stati trasmessi. L’uomo non è solo presente, ma è anche passato e progetto verso il futuro; mentre le forze economiche che dominano il mondo moderno vogliono azzerare il passato e annichilire la capacità progettuale verso il futuro e rinserrare gli uomini nella prigione del presente, costringendoli a lavorare, consumare, produrre e consumare ancora, senza sosta, al solo scopo di guadagnare un altro giorno, ciecamente, stupidamente, come animali legati alla macina, per accrescere la già mostruosa ricchezza delle grandi centrali finanziarie. Riappropriarsi del passato e riscoprire i tesori della tradizione significa, dunque, muovere un primo passo verso la libertà e cominciare a mettere in crisi l’immenso sistema schiavistico in cui la grande finanza usuraia ha trasformato l’umanità odierna; così come riscoprire l’importanza e la gioia di progettare il futuro significa riappropriarsi della facoltà decisionale riguardo alla propria vita, alle scelte da fare, alla direzione da prendere, laddove finora abbiamo seguito ciecamente gli automatismi del diabolico consumismo. E ciò vale per la vita dei singoli individui non meno per la vita delle società e dei popoli: e dunque significa ridare autonomia e dignità alla politica, intesa come progettazione del futuro alla luce del bene comune, mentre finora essa si è ridotta a cinghia di trasmissione dei voleri della grande finanza, mossa unicamente dal proprio egoistico interesse e non certo da alcun tipo di preoccupazione o di sollecitudine rispetto ai bisogni degli uomini e dei popoli (strano ma vero, ci sono ancora quelli che credono alle favole e ritengono, ad esempio, che cinici speculatori come George Soros investano il loro denaro nelle organizzazioni non governative che finanziano le navi destinate a fare la spola per i migranti tra l’Africa e l’Europa, per delle nobili ragioni filantropiche). Ed ecco allora che diventa chiaro perché la cultura odierna, e specialmente la pubblicità, il cinema, la televisione, i fumetti, spingono la gente a non preoccuparsi del futuro, a non fare progetti di lunga durata, a non contrarre vincoli duraturi (le coppie di fatto in luogo delle coppie sposate); ecco perché si fa di tutto per plasmare l’immaginario collettivo abituandolo a convivere con la precarietà, con la transitorietà, a cogliere l’attimo fuggente, a vivere all’insegna del carpe diem. Ed ecco perché i pochi che fanno progetti, che cercano legami stabili, che non si rassegnano a doversi spostare continuamente pur di conservare uno straccio di lavoro, come negli Stati Uniti, dove è normale vivere qualche anno in una città, qualche anno in un’altra città lontanissima, e così via, senza mai mettere radici, senza consolidare amicizie, senza sentirsi legati ad alcun luogo, ecco dunque che costoro vengono fatti oggetto d’ironia, di derisione, e raffigurati come dei romantici inguaribili, degli stravaganti, dei disadattati che non sanno tenere il passo con la civiltà moderna. Grazie a Dio, che non lo sanno tenere! Perché adattarsi a questi aspetti della civiltà moderna vorrebbe dire perdere le radici, perdere l’identità, perdere la propria anima e divenire marionette intercambiabili, perfettamente omologate le une alle altre, che il sistema può spostare qua e là, sostituire, rimpiazzare, eliminare, perché il sistema non ha bisogno di esseri umani, ma di pecore che non si fanno mai domande e che non si chiedono mai che razza di vita stiano conducendo, al di là del fatto di assicurarsi i beni del consumismo e sfoggiare, se possibile, lo stile di vita delle persone arrivate. Schiavi tutti quanti di un sistema disumano e spersonalizzante: alcuni schiavi di lusso, che possono permettersi i capricci più costosi, la maggior parte schiavi di nessun valore, ridotti alla pura sopravvivenza: ma tutti, alla fine, destinati a lavorare e a produrre per inseguire dei beni fasulli, e adattarsi a un sistema di vita che è radicalmente anti-umano. Ma ciò che è anti-umano è demoniaco, perché il Diavolo vuol contraffare l’opera di Dio e ridurre la più bella delle creature a una condizione bestiale. Per essere veramente uomini, bisogna ricordare le parole di Gesù: è lo spirito che vivifica; la carne non giova a nulla…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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