Al bivio, essere per la vita o essere per la morte
7 Gennaio 2020Ma che vuol dire essere cattolico, oggi?
10 Gennaio 2020Quando si è in guerra, la cosa più importante da sapere è che c’è una guerra; la seconda, sapere chi è il proprio nemico. Si direbbe che molti non abbiano ancora preso consapevolezza del primo fatto: la guerra c’è, e sta facendo vittime, e sta minacciando gravemente il nostro futuro: ma essi, a quanto pare, non se ne sono ancora resi conto e sperano che si tratti solo di qualche temporale passeggero, di qualche instabilità momentanea. Questa inconsapevolezza è tanto più biasimevole per i cattolici, i quali sembrano essersi scordati l’insegnamento di Gesù Cristo che la vita terrena è una guerra continua, una guerra del male contro il bene, e che la posta in gioco è la salvezza della propria anima. Non perderemo tempo a spiegare a tutti costoro che c’è una guerra in corso; se non l’hanno capito fino ad ora, vuol dire che nemmeno le bombe atomiche riuscirebbero a svegliarli. Del resto, per loro è vero quel che dice la televisione e quel che c’è scritto sui giornali: e se giornali e televisioni dicono che si può star tranquilli e che tutto è a posto, niente e nessuno riuscirebbe mai a riscuoterli dalla loro fiducia bovina e far maturare in loro una diversa consapevolezza. E non stiamo alludendo a quel che accade in questi giorni nel Medio Oriente, dove l’immensa bestialità americana e l’inesauribile perfidia israeliana stanno creando le premesse per una guerra non solo regionale, ma mondiale: l’umanità vive da settant’anni sull’orlo del cratere e se è vero che, prima o poi, finirà per caderci, non ci sono ragioni per pensare che oggi ci sia più vicina di tante altre volte. No; ci riferiamo alla guerra silenziosa, in gran parte (ma non sempre) incruenta, che i Padroni Universali, ossia i signori della grande finanza internazionale, hanno dichiarato i popoli; e, in subordine, alla guerra incessante che i custodi del Pensiero Unico progressista, femminista, globalista, migrazionista, omosessualista, per mezzo dei mass media, della scuola, di tutti gli strumenti di trasmissione delle notizie e del sapere, dei quali hanno pressoché il monopolio, stanno conducendo contro la coscienza morale e contro l’intelligenza di milioni e milioni di persone, allo scopo di asservirle mentalmente e di operare in esse un vero e proprio lavaggio del cervello, veicolando una nuova e aberrante tavola dei valori, dove il male diventa bene, il falso diventa vero, il brutto diventa bello, e viceversa. E per i cattolici, in particolare, ci riferiamo alla guerra cinica e spietata, subdola, diabolica, che la massoneria ecclesiastica, giunta a impadronirsi dei vertici della chiesa, sta conducendo per sovvertire l’opera di Gesù Cristo, inquinando con eresie d’ogni sorta la fede cattolica e portando i fedeli nell’apostasia, nell’idolatria, nel paganesimo, nel peccato più nefando, quasi senza che se ne rendano conto.
Passiamo al nemico, cui bisogna pur dare un nome e un volto, se si vuol sperare di non uscire stritolati e distrutti dalla lotta. Il nome e il volto del nemico che ci sta aggredendo a livello planetario, che vuole impadronirsi dei nostri risparmi, del nostri lavoro, delle nostre pensioni, delle nostre famiglie, dei nostri figli, dei nostri valori, della nostra anima, e perfino del nostro senso estetico, è presto detto: il liberalismo di matrice massonica. Guarda caso, mentre le altre ideologie politiche, prima o dopo, hanno dovuto subire una fase di critica più o meno radicale, e tutte, dal fascismo, al nazismo, al comunismo, sono state infine condannate, solo il liberalismo ha superato indenne tutte le tempeste, le guerre, le rivoluzioni, i cambi di paradigma culturale, e oggi siede più che mai nei salotti buoni della cultura, oltre che alla direzione degli Stati e delle banche, alla presidenza delle università e nelle sedi dei giornali e delle televisioni, con tutta l’aria di starci benissimo e di considerarsi come il solo inquilino legittimo in mezzo ad altri inquilini sospetti, di dubbia moralità, provvisori e destinati, prima o dopo, a sparire. E cosa gli dà tanta sicurezza, tanta baldanza, al punto che qualche suo corifeo ha proclamato che esso rappresenta il vertice e la fine della storia, e che non è possibile immaginare un mondo diverso, e soprattutto migliore, di quello creato dell’ideologia liberale? Senza dubbio il fatto che detiene la forza e mediante la forza, anche se mascherata, si sta imponendo all’intera umanità. La sua forza viene innanzitutto dal linguaggio, dai concetti, dal sapere, che sono stati addomesticati e piegati ai suoi fini: sicché, quando crediamo di esprimere dei dati di fatto, in realtà stiamo solo ripetendo, come tanti pappagalli ammaestrati, le filastrocche le giaculatorie che i Padroni del Discorso ci hanno inculcato a nostra insaputa, sin dalla più tenera età, per mille vie, dirette e indirette, come in realtà si addice ai più occhiuti totalitarismi. E quando crediamo di pensare con la nostra testa, pensiamo in realtà con la testa di qualcun altro: con quella del nostro nemico. Non facciamo altro che esprimere le idee sviluppate da Locke, Hume, Adam Smith, Kant, Hegel, Croce, Popper, e così via: idee che culminano, con perfetta coerenza, nel delirio pseudo libertario di un Mario Mieli, o nel feroce Nuovo Ordine Mondiale del conte Coudenhove-Kalergi, e sostenuto da uomini politici come Marco Pannella, Silvio Berlusconi, Mario Monti, Matteo Renzi, i quali, pur così diversi (in apparenza) fra di loro, hanno una matrice comune, di cui peraltro vanno orgogliosi: il liberalismo. E mentre un neofascista o un neocomunista si devono giustificare, in qualche modo, delle proprie idee; devono accettare di subire violente critiche ed aspri rimbrotti, solo i seguaci del pensiero liberale si prendono il lusso di andare sempre in giro a testa alta e raccogliere ovunque ovazioni e ringraziamenti, anche a decenni e decenni dalle loro supposte buone azioni internazionali, forti del sostegno massiccio della grande finanza, del controllo dei mass-media e dell’immagine ampiamente positiva di se stessi che son riusciti a creare, agendo quasi in regime di monopolio, intorno a sé.
Loro, per dirne una, sono quelli, o sono gli eredi di quelli, che nel 1945 hanno liberato il mondo dall’incubo nazista e restituito la libertà — disinteressatamente, si capisce – ai popolo europei; e sono ancora quelli che, nel 1989, si trovavano dalla parte giusta della barricata, non da quella sbagliata. Loro non hanno scheletri nell’armadio, non hanno pagine buie da far dimenticare, non hanno complessi, rimorsi o rimpianti; loro hanno sempre detto e fatto bene ogni cosa, e possono andare a fronte alta e guardare chiunque dritto negli occhi — cosa che tutti gli altri non possono fare. Adesso, poi, che sulla cattedra di San Pietro si è seduto uno dei loro, uno che — guarda la combinazione – sulle principali questioni mondiali parla esattamente come parlerebbero Soros o Rotschild, o come parlano i signori della Banca Mondiale, o quelli che si sono insediati all’ONU e all’UNESCO; e che i vescovi e i preti non fanno altro che cantare tutto il giorno le lodi del liberalismo, assai più che quelle del nostro Signore Gesù Cristo, il quale scelse la via della Croce per insegnare agli uomini che cos’è il vero amore, si può dire che la loro arroganza non conosce più limiti e che hanno rotto ogni freno, e possono perfino permettersi il lusso, se necessario, di lasciar cadere la maschera. Il presidente della maggiore democrazia liberale può ordinare, ad esempio, un assassinio politico sul territorio di un altro Stato, uno Stato nel quale i suoi eserciti erano entrati dicendo di portare, come al solito, la libertà (ce la ricordiamo tutti Giovanna Botteri a Baghdad, il 9 aprile 2003, strillare con incontenibile esultanza: Eccoli, eccoli! Arrivano, arrivano!, perfetto esempio d’imparzialità giornalistica): e l’opinione pubblica mondiale, narcotizzata da decenni di indottrinamento, non trova che la cosa sia particolarmente strana, né ci vede alcunché di disdicevole. I terroristi che uccidono a tradimento meritano di essere combattuti fino all’ultimo respiro, ma se quel signore si comporta da terrorista, nessun tribunale internazionale chiederà mai di processarlo, e ciò per la semplice ragione che abbiamo già detto: che il liberalismo è l’impero della forza, e là dove regna la forza, chi ne è il detentore può ridersi di qualunque malumore e non deve temere alcun processo, perché non esiste aula di tribunale nella quale verrà chiamato a comparire. A meno, beninteso, che così non decidano i padroni occulti dell’impero mondiale liberale: i grandi finanzieri che si servono dei capi di Stato come di altrettante marionette per realizzare i loro fini. Li fanno eleggere, impongono loro l’agenda di governo, li muovono e poi li fanno cacciare, se non sono abbastanza obbedienti, rimpiazzandoli con yes-men più fidati ed efficienti, ma sempre lasciando ai cittadini la beata illusione che quanto è avvenuto sia stato opera della volontà popolare.
Arrivati a questo punto, e poiché qualcuno, senza dubbio, sarà rimasto stupito e anche contrariato dall’associazione di nomi così diversi che abbiamo fatto sopra, e si starà chiedendo cosa diavolo c’entri Mario Mieli con John Locke, o Pannella con Kant, ci sembra indispensabile dare una definizione del liberalismo. Per farlo, ci serviamo di quanto ha scritto Alain De Benoist nel suo recentissimo saggio Critica del liberalismo. La società non è un mercato (titolo originale: Contre le libéralisme. La société n’est pas un marché, Editions du Rocher, 2019; traduzione dal francese di Giuseppe Giaccio, Arianna Editrice, 2019, pp. 49-50; 51-52; 52):
Nel senso moderno del termine, l’individualismo è la filosofia che considera il soggetto come l’unica realtà e lo assume come principio di ogni valutazione. Il liberalismo pone l’individuo e la sua libertà supposta "naturale" come le sole istanze normative della vita in società, il che equivale a dire che fa dell’individuo la sola e unica fonte dei valori e delle finalità ch si sceglie. Questo individuo è considerato in sé, a prescindere da ogni contesto sociale o culturale. Mentre l’olismo esprime o giustifica la società esistente in riferimento a valori ereditati, trasmessi e condivisi, ossia in ultima analisi in riferimento alla società stessa, l’individualismo pone i suoi valori indipendentemente dalla società così come la trova. Per questo motivo non riconosce alcuno status di indipendenza autonoma alle comunità, ai popoli, alle culture o alle nazioni: in queste entità, che egli coglie per mezzo dell’individualismo metodologico, vede unicamente dei semplici aggregati di atomi individuali e stabilisce che solo questi ultimi possiedono valore.
Parallelamente, l’uomo è posto come produttore e consumatore, egoista e calcolatore, tendente sempre e unicamente a massimizzare razionalmente la propria utilità, ossia il suo interesse materiale e il suo profitto privato. Questa tesi fa dell’uomo un essere di calcolo e d’interesse. Il modello è quello del commerciate al mercato: è l’"homo oeconomicus". La società, quindi, consiste solo in una serie di rapporti di mercato. (…)
I liberali insistono particolarmente sul fatto che gli interessi individuali non devono mai essere sacrificati all’interesse collettivo, al bene comune o alla salute pubblica, concetti che considerano inconsistenti, Questa conclusione deriva dall’idea che sono gli individui hanno diritti, mentre le collettività, essendo solo una somma di individui, non possono averne alcuno che appartenga loro in proprio. (…)
La libertà cui si richiama il liberalismo è un’astrazione, legata a un "diritto" inerente alla ragione umana, secondo cui l’individuo ha delle buone ragioni per fare (e per esigere di poter fare) ciò che vuole del suo tempo, del suo corpo o del suo denaro; inoltre, si presume che l’uomo effettui solo scelte che si sviluppano a valle, senza mai essere modellate o condizionate dalla sua eredità o dalle sue appartenenze. La libertà liberale presuppone dunque che gli individui possano prescindere dalle loro origini, dal loro ambiente, dal contesto nel quale vivono e si esercitano le loro scelte, ossia da tutto ciò che fa sì che siano così come sono e non altrimenti.
Questa è la vera natura del liberalismo, sfrondata di nastri e lustrini e ridotta all’essenziale: una natura aberrante, perché si fonda su un assunto che è al tempo stesso irrealistico e pernicioso. È la religione della libertà, ma intesa come libertà di possedere, non di essere: dunque rappresenta il trionfo dell’esteriorità, dell’egoismo e del materialismo più becero. Grazie al liberalismo, tutto diventa merce, anche i sentimenti, anche le idee: tutto viene monopolizzato dai padroni del marchio e poi messo in vendita a prezzi assurdi, fuori mercato; e ciò con la suprema ipocrisia che il liberalismo in economia propugna il liberismo, cioè esalta la libera concorrenza. Quanto alla connessione fra Locke e Mario Mieli, o fra Kant e Pannella, crediamo che ora appaia evidente a chiunque: nel liberalismo, l’individuo ha delle buone ragioni per fare (e per esigere di poter fare) ciò che vuole del suo tempo, del suo corpo o del suo denaro. Pertanto, voglio passare il mio tempo abbandonandomi ai piaceri della droga? Sono libero di farlo: il tempo è mio. Voglio diventare da uomo, donna, o da donna, uomo? Sono libero di farlo, così come ogni donna è libera di abortire: il corpo è mio (o suo). Voglio licenziare gli operai e chiudere le mie fabbriche, per investire tutto il capitale in operazioni finanziarie, in speculazioni di borsa che mi renderanno di più e con minori fastidi? Sono libero di farlo, perché quel denaro è mio. E nessuno può dirmi nulla, nessuno ha il diritto d’intralciarmi, perché la società è un’astrazione, non ha diritti, serve solo a garantire i miei, a me che sono un individuo reale. Come dite? Che le mie scelte potranno far soffrire altre persone, potranno ridurre alla disperazione quegli operai, danneggiare la società in cui vivo? Via, questi sono soltanto sciocchi sentimentalismi. La società non ha diritti, e dunque non ha ragione di lamentarsi…
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