È in atto l’assalto diabolico contro l’anima del mondo
6 Gennaio 2020Il tumore che ci sta divorando si chiama liberalismo
8 Gennaio 2020Il particolare momento storico in cui ci troviamo a vivere, caratterizzato da mutamenti materiali e spirituali rapidissimi, che segnano una specie di cambio di paradigma permanente — in fondo, la rivoluzione permanente teorizzata a suo tempo da Lev Trockij, con la sola differenza che quella odierna è una rivoluzione ultraliberale – sta rendendo, se non altro, le cose molto chiare dal punto di vista antropologico. Vi sono, e vi sono sempre stati, due principali tipi d’uomini, e adesso li si può riconoscere più facilmente, proprio perché tutti i nodi stanno venendo al pettine e le cose divengono sempre più nette, senza ambiguità né sfumature. La loro caratteristica essenziale non è economica (poveri o ricchi), né etica (buoni o cattivi), né generazionale (giovani o vecchi), né estetica (belli o brutti), né intellettuale (sciocchi o intelligenti), né culturale (ignoranti o sapienti), né spirituale (superficiali o profondi) ma puramente esistenziale: ve ne sono alcuni che vivono per la vita, altri che vivono per la morte. Secondo Martin Heidegger, ciò che qualifica la condizione umana è l’essere-per-la morte: l’uomo è l’unica creatura vivente che possiede piena coscienza della propria mortalità, e questo fin dall’acquisto della ragione: per cui non può fare a meno di pensare che, a un certo punto, dovrà fare i conti con un evento radicale e irreversibile, che porrà fine alla sua esistenza e che rappresenta sempre e comunque un enorme punto interrogativo. Noi invece adoperiamo qui le espressioni essere per la vita ed essere per la morte non come orizzonti di consapevolezza, ma come orizzonti di senso: perché chi è per la vita ama la vita, la favorisce, la sostiene, la incoraggia, in se stesso e negli altri; chi è per la morte, pur senza averne la chiara coscienza, odia la vita, la sminuisce, la calunnia e la ostacola, tanto riguardo a se stesso quanto in relazione alla società. Non esistono posizioni intermedie, se non provvisorie: alla fine, la bilancia penderà da una parte o dall’altra, senza ulteriori incertezze.
Ama la vita chi guarda ad essa con stupore, con ammirazione, con gratitudine e con benevolenza; la odia chi vede in essa una disgrazia, un cumulo di elementi negativi, nella quale le poche gioie non bastano a dare un significato a tutto il male che in essa è presente. Non contano le parole: contano i fatti. Quelle persone, ad esempio, che dicono di non voler assolutamente mettere al mondo dei figli, perché la vita è troppo dolorosa e il mondo in cui viviamo è troppo brutto, ragion per cui non vogliono sentirsi responsabili dell’infelicità di un nuovo essere umano, appartengono alla categoria degli odiatori della vita. Che lo sappiano o no. E tutti quelli che sono favorevoli all’aborto e all’eutanasia, anche se rivestono i loro argomenti di nobili intenzioni, anche se partono sempre e immancabilmente dalla riflessione sui casi pietosi ed eccezionali, sono in effetti degli odiatori della vita. Odiano la vita anche quelli che la usano con leggerezza, che la rischiano inutilmente e per ragioni banali, ad esempio praticando azioni pericolose per il solo gusto di provare emozioni forti: essendo pronti a giocarsela con il caso, le loro stesse azioni attestano che non la amano; e poiché la vita non ammette posizioni neutrali, bisogna dedurne che nel profondo la odino. Potremmo fare moltissimi esempi dello stesso genere. Vi sono quelli che la odiano al punto da desiderare la morte; ma essendo tropo vigliacchi per togliersi la vita con uno strappo netto, preferiscono avvicinarsi alla morte un poco alla volta, assumendo droghe sempre più pesanti, ben sapendo che prima o dopo arriverà la dose fatale che chiuderà i loro occhi per sempre. Odiano la vita i delinquenti, che giocano con la propria e con quella degli altri; la odia l’avaro, che non si fida di essa, e accumula incessantemente, ma senza godere; il superbo, convinto che la vita non riconosca a sufficienza i suoi meriti e perciò guarda tutti dall’alto in basso; e il lussurioso, che nella ricerca ossessiva del piacere sessuale cerca il surrogato dell’oblio, evidentemente perché la vita, così com’è, non lo soddisfa, e simile al drogato ha bisogno di dosi sempre rinnovate di piacere, quasi per stordirsi e dimenticare la realtà. Anche quelli che praticano sport estremi non amano la vita: lasciando a casa delle mogli, dei figli, dei genitori che potrebbero restare soli, impietriti dal dolore, in qualsiasi momento, mostrano l’aspetto più caratteristico di colui che odia la vita dal profondo del suo essere: l’egoismo. Le due cose vanno insieme, sono inseparabili Chi odia la vita è un egoista radicale e chi è radicalmente egoista odia la vota. Non è vero che l’egoista è uno che ama talmente se stesso da esser disposto a calpestare gli altri: calpestando gli altri, è come se calpestasse anche se stesso, perché la nostra vita è inconcepibile fuori da ogni contesto sociale. Nessuno può fare il Robinson Crusoe, e perfino il monaco solitario di un eremo sperduto in cima a una montagna non ha fatto quella scelta di vita per odio dell’umanità, ma per amore di Dio. Chi ama la vita sa amare e ringraziare; chi odia la vita è capace solamente di odiare e disprezzare.
Le filosofie e le ideologie moderne sono quasi tutte orientate verso la morte. Materialismo, relativismo, nichilismo riflettono un disincanto del mondo e un odio profondo, anche se non sempre esplicito, verso la vita. I tre pensatori che hanno influenzato in maniera determinante gli ultimi centocinquanta anni di storia sono stati Marx, Nietzsche e Freud. Marx odiava la borghesia e la sua morale e voleva distruggerle, ma dietro quell’odio politico s’intravede un odio generale verso la vita, il piacere della distruzione di un mondo detestato, il cui rovescio è la cieca adorazione verso la macchina, vista come lo strumento della futura emancipazione dalla fatica del lavoro: e chi adora le macchine odia la vita, perché la macchina è una triste contraffazione dell’essere umano, e rivolgere ad essa l’ammirazione e la gratitudine dovute a Dio equivale a odiare la sua creazione. Ed ecco infatti che la tecnica diventa il mezzo per migliorare, per perfezionare la natura: per mezzo di essa, i marxisti e i neomarxisti vogliono rivaleggiare con Dio, fare le cose meglio di come Dio le ha fatte. È un discorso di estrema attualità: i moderni scientisti vogliono piegare la natura a fare qualsiasi cosa, servendosi degli strumenti della tecnica: perfino far nascere un bambino da un uomo morto da trent’anni, o far diventare una donna, uomo, e viceversa. A Marx, dunque, siamo debitori sia del rancore dell’uomo contro l’altro uomo, sia della ingenua e pericolosa adorazione della tecnica, senza considerare i limiti e i pericoli di una tecnologia fuori controllo: e anche da ciò si vede quanto sia stato sopravvalutato Marx come filosofo, e quanto faziosa e distruttiva sia stata l’opera di tanti professori di liceo che hanno rintronato gli orecchi ai loro studenti con le tiritere su Marx e sul marxismo, facendo loro credere che pochi filosofi sono stati più grandi di lui, mentre è vero il contrario, che egli come filosofo non vale nulla e che gli sono sfuggiti aspetti essenziali delle sue stesse teorie: il fatto che la classe operaia si sarebbe imborghesita, per esempio, e avrebbe assimilato la mentalità borghese; o il fatto che la tecnica, in assenza di una spiritualità capace di stabilire i fini dell’esistenza, avrebbe finito per ritorcersi contro l’uomo stesso. Parlare dell’influsso esercitato da Nietzsche sul mondo contemporaneo è cosa troppo complessa per sbrigarla in poche righe; ci limiteremo a dire che forse nessun filosofo è mai stato tanto frainteso quanto lui: cosa che, del resto, egli prevedeva e della quale ha parlato sovente nei suoi scritti. Quel che non aveva previsto, o non aveva capito, era che lui stesso avrebbe frainteso il proprio autentico pensiero; ma anche di questo abbiamo già parlato, per cui non torneremo a ripetere cose già dette (cfr. l’articolo: Nietzsche? Un cristiano in lotta con se stesso, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 29/12/19). Nietzsche è un enigma: ma quel che è certo è che quasi tutti i suoi ammiratori hanno preso parti staccate del suo pensiero e ne hanno fatto un sistema a sé stante; e per giunta, come sempre accade alla massa, hanno preso la parte peggiore, per cui anche Nietzsche ha finito per divenire un cattivo maestro, e il suo pensiero ha finito per alimentare l’essere per la morte e non, come può sembrare ad una lettura superficiale (una lettura superficiale di una lettura superficiale: cioè un doppio fraintendimento!), l’essere per la vita. Di Freud non c’è molto da dire: la sua pseudo-scienza, totalmente autoreferenziale (è vera perché lo dice lui) ha abbagliato il pubblico perché veniva al momento giusto a dire ciò che segretamente quasi tutti volevamo sentirsi dire: che in fondo all’anima esiste una fogna, e che questa fogna reclama i suoi diritti di cittadinanza, tanto quanto la parte nobile e luminosa; e che ricacciare in basso i cattivi istinti conduce alla nevrosi, alla malattia, a una situazione forzata e innaturale. È falso che Freud abbia dovuto superare chissà quali difficoltà per far passare le sue teorie, anche le più cervellotiche e aberranti, a cominciare dal tanto decantato complesso di Edipo, divenute così celebre da aver usurpato, nell’immaginario collettivo, il posto di verità provate e dimostrate; è vero, al contrario, che, rotto il fragile guscio dei valori cristiani ormai in stato avanzato di dissoluzione, i tempi erano maturi per dare la spallata finale all’etica naturale, spalancare porte e finestre al relativismo e, sulla scia di esso, alla progressiva liberalizzazione delle deviazioni sessuali, dall’incesto alla pedofilia. Ci sarebbe poi un quarto pensatore, Martin Heidegger, a segnare il cammino rovinoso della tarda modernità: quasi tutti gli intellettuali di una certa area ideologica si rifanno a lui, direttamente o indirettamente, e lo venerano come un grande maestro; mentre ci sono stati pochi personaggi che abbiano svolto un ruolo più distruttivo sia a livello intellettuale, sia a livello morale, di questo cattolico apostata e arrabbiato, ardente nazista poi ritiratosi in disparte per ragioni meramente personali, esistenzialista e maestro di un altro cattivo maestro, Sartre, nonché propugnatore d’una visione della vita in cui non brilla alcuna luce di autentica spiritualità, ma che è dominata dall’orgoglio di una volontà che pretende di farsi misura di ogni cosa, pur dietro fumisterie d’ogni genere che simulano, assai malamente, un senso di riverenza davanti al mistero dell’essere.
La stessa visione nichilista, scoraggiante, distruttiva, emerge da ogni altro ambito della cultura e della vita pubblica. L’architettura, l’urbanistica, l’arte, la musica, lo spettacolo, il cinema, la televisione, il fumetto, la moda dell’abbigliamento, la moda dei tatuaggi, i giochi elettronici, riflettono sovente la predilezione per il brutto, il deforme, l’orrido, il disgustoso, nonché per la violenza, il sangue e la morte. Si esce da una mostra di pittura moderna con lo stesso stato d’animo con cui si esce da un concerto rock duro: esausti, stremati, inquieti, confusi, depressi. Sono tutti stati d’animo che riflettono l’attrazione per la morte, un tetro cupio dissolvi, per quanto talvolta ben dissimulati dietro apparenze luccicanti e perfino gioviali, o comiche, o spiritose: perché il diavolo sa mascherarsi benissimo, è il re dei travestimenti e del doppiogiochismo. Ma anche il culto del brutto e del deforme, che si nota specialmente a livello architettonico, è un riflesso dell’attrazione per la morte, poiché la bruttezza ripugna all’uomo sano ed egli non andrà mai a cercarla volontariamente; mentre il fatto di essere costretto a vivere in città popolate da mostruosità architettoniche e urbanistiche crea in lui una tragica assuefazione al brutto, che non è senza effetti anche per la pace dell’anima. Sicché l’uomo moderno, che ha una paura irrazionale della morte, la quale smentisce tutte le sue illusioni sul progresso tecnologico, e che non vorrebbe mai pensarci né parlarne, al punto di considerare cosa di cattivo gusto farvi anche solo un cenno nel corso d’un pranzo in società, la fa rientrare dalla finestra, senza rendersene conto, con questo continuo, ossessivo corteggiamento di tutto ciò che è tenebra: il male, l’occultismo, la stregoneria, diavoli, mostri, simboli satanici o addirittura la pratica del satanismo vero e proprio. Né si creda che il satanismo è riservato a qualche giovane di provincia e a qualche gruppo di amici per ammazzare la noia del sabato sera; al contrario: è praticato da professionisti, politici, banchieri, alte personalità del mondo dello spettacolo e della cultura; ed è anche praticato da un certo numero di alti prelati, sia dentro che fuori la Città del Vaticano; ma soprattutto dentro, come è testimoniati da fonti autorevoli, fra cui il noto esorcista padre Gabriele Amorth (cfr. il nostro articolo: Satanisti in Vaticano, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 29/04/18). La tendenza a essere per la morte si nota anche al livello delle relazioni interpersonali, sui luoghi di lavoro, in ufficio, in fabbrica, ma anche al bar, fra gli amici. È un orientamento necrofilo che non risparmia nessuno e lo si ritrova perfino fra quanti, essendosi resi conto della manipolazione mentale di cui è oggetto l’uomo moderno, si fanno da parte rispetto alla massa e cercano di adoperarsi per accrescere la consapevolezza degli altri. Perfino in tali ambiti relativamente selezionati e in un certo senso privilegiati si notano l’egoismo, il narcisismo, l’invidia, la gelosia, la superbia, la suscettibilità, tipiche dell’orientamento esistenziale per la morte. Ora questa attrazione per la morte è entrata anche nella Chiesa, rivestendo i nobili panni dell’amore ai poveri e della sacra indignazione per la giustizia offesa: ma che altro è tutto questo agitarsi per i poveri lontani, additando all’odio e al disprezzo tutti quei cittadini e quei cattolici che non la pensano come i cosiddetti preti di strada e i vescovi ultraprogressisti? Che il falso papa Bergoglio sia di questa pasta lo si deduce non solo dalla sua nefanda opera di distruzione della Chiesa e di confusione intenzionale dei fedeli, ma anche da singoli episodi nei quali, per un momento, si affaccia la sua vera natura. Come in occasione del piccolo incidente occorsogli in Piazza S. Pietro la sera di San Silvestro: nel suo sguardo furente brillava un cupo odio contro la vita.
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