Narcisismo di massa, malattia di chi non si vuol bene
5 Gennaio 2020È in atto l’assalto diabolico contro l’anima del mondo
6 Gennaio 2020George Tyrrell (1861-1909) era un gesuita che venne espulso dall’ordine di sant’Ignazio di Loyola nel 1906, e privato dei sacramenti nel 1907. La sua è una figura chiave del primo modernismo, condannato e duramente combattuto dal papa san Pio X, insieme a quelle di Alfed Loisy, Marcel Laberthonnière, Friedrich von Hügel, Salvatore Minocchi, Romolo Murri ed Ernesto Buonaiuti. Egli fu uno strenuo sostenitore di un’interpretazione storicista della dottrina, che secondo lui, deve adattarsi ai progressi della scienza, specie per quel che riguarda l’evoluzionismo, la psicanalisi, ecc., e mostra un atteggiamento molto critico, per non dire scettico, nei confronti del miracolo. Nella Lettera a un professore di antropologia, afferma che la coscienziosa indagine storica intorno alle origini cristiane e intorno all’evoluzione ecclesiastica, vulnera in radice parecchi dei nostri principi fondamentali per tutto ciò che concerne i dogmi e le istituzioni. Riconosco senza esitazione che il dominio del miracolo si restringe ogni giorno di più, data la possibilità sempre più vasta di ridurne le proporzioni a cause naturali constatabili. Pertanto la sua prospettiva è la stessa, o è molto simile, a quella del teologo protestante Rudolf Bultmann, il grande sostenitore della "demitologizzazione" del cristianesimo, il quale sosteneva che l’uomo moderno non può credere in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, con la stessa fede dei suoi avi, perché la visione naturalistica del mondo fa ormai parte del suo paradigma culturale e la stessa Resurrezione di Cristo rappresenta, per lui, uno scoglio che è difficilmente superabile (cfr. i nostri articoli: Rudolf Bultmann, la religione e l’immagine mitica del mondo, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 22/09/07 e su quello dell’Accademia Nuova Italia il 07/12/17; Quali sono le sorgenti dell’eresia gesuita, e George Tyrrell, ovvero l’eterna tentazione del modernismo, entrambi sul sito dell’Accademia Nuova Italia, rispettivamente 24/02/19 e il 15/03/18).
Nel 1958 un decreto del Sant’Uffizio, presieduto dal cardinale Ottaviani, spiegava che le opere del gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), benché non venissero poste all’indice, erano però ritirate dalle biblioteche di tutte le congregazioni religiose, perché racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi che offendono la dottrina cattolica, ragion per cui è doveroso difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di Padre Theilard de Chardin e dei suoi discepoli» (vedi il nostro articolo: La fede di Teilhard è nel Mondo, più che in Cristo, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 11/09/19). Fin dal 1930 i suoi stessi superiori gesuiti, col pretesto di autorizzarlo a svolgere ricerche paleontologiche in Cina e in Mongolia, lo avevano praticamente esiliato dall’Europa, dopo che sin da giovane si era fatto notare per il suo tentativo di conciliare la teoria evoluzionista con la dottrina del Peccato originale, e lo avevano sospeso dall’insegnamento delle materie filosofiche e teologiche all’Istituto Cattolico di Parigi. Le sue opere, solo apparentemente filosofiche, in realtà un bizzarro miscuglio di teorie stravaganti, trasudano umanismo, panteismo, evoluzionismo, relativismo, indifferentismo. Già severamente criticato da Jacques Maritain Il contadino della Garonna (1966), Teilhard è stato poi riconosciuto come precursore delle idee contenute nell’enciclica Gaudium et Spes, una delle più importanti e delle più discusse del Concilio Vaticano II, da Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, in una sua opera del 1987 (Principi di teologia cattolica), spingendosi fino a lodare la concezione panteistica della Noosfera e ad esaltare il pensiero di Teilhard come una grande visione, che conduce ad una vera e propria liturgia cosmica. E speriamo che ciò possa schiarire le idee a quanti contrappongono Ratzinger a Bergoglio e vedono nel primo l’ultimo papa legittimo e fedele alla vera dottrina cattolica, contro le eresie e le pericolose improvvisazioni del secondo.
Karl Rahner (1904-1984) non è mai stato condannato dalla Chiesa per le sue posizioni eretiche, ma proprio questo dimostra quanta strada abbia fatto il golpe strisciante dei gesuiti all’interno di quella istituzione. A invitarlo a partecipare, nel 1963, al Concilio Vaticano II, evento alla cui preparazione aveva già collaborato, fu Giovanni XXIII; Paolo VI mise la ciliegina sulla torta, nominandolo membro della Commissione Teologica Internazionale, nel 1969. Il pensiero teologico di Rahner, che si compendia nel concetto della "rivoluzione antropologica", prende le mosse direttamente da quello di Martin Heidegger, che egli considera il suo maestro; e il pensiero di Heidegger, un ex cattolico che ha ripudiato formalmente e astiosamente il cattolicesimo, è del tutto incompatibile con la dottrina cattolica e con la visione cattolica del mondo (cfr. i nostri articoli: Le radici rahneriane dell’eresia bergogliana e Jaspers come Heidegger, cattivi maestri di Rahner, pubblicati sul sito dell’Accademia Nuova Italia rispettivamente il 16/02/19 e il 02/10/19). Oltre al pacifismo, al terzomondismo, al sostegno alla teologia della liberazione, alle simpatie per il marxismo, il pensiero di Rahner si caratterizza per uno storicismo radicale e un orizzonte sostanzialmente immanentista, che va a intaccare le stesse fondamenta della dottrina e della fede cattolica. La sua teoria del "cristianesimo anonimo", poi, che prende a prestito un concetto di Sant’Ambrogio per stravolgerlo in senso modernista, è la negazione dell’autentico cattolicesimo, in quanto spalanca le porte al relativismo e al soggettivismo e introduce un modo d’intendere la fede tipicamente protestante. Nel suo libro La fatica di credere, il cui titolo è tutto un programma, scrive che chiunque segue la propria coscienza, sia che ritenga di dover essere cristiano oppure non-cristiano, sia che ritenga di dover essere ateo oppure credente, un tale individuo è accetto e accettato da Dio e può conseguire quella vita eterna che nella nostra fede cristiana noi confessiamo come fine di tutti gli uomini. In altre parole: la grazia e la giustificazione, l’unione e la comunione con Dio, la possibilità di raggiungere la vita eterna, tutto ciò incontra un ostacolo solo nella cattiva coscienza di un uomo. In altre parole, il rahnerismo è la versione aggiornata e corretta, ma ancor più strutturata e virulenta, del modernismo sviluppatosi nei primi anni del 1900, e solennemente condannato da san Pio X col decreto Lamentabili e con l’enciclica Pascendi Dominici gregis. La spiritualità, la santità, il misticismo, in questa prospettiva, e infine la stessa trascendenza, perdono d’importanza e tendono a svaporare: la fede non è più essenzialmente il luogo dell’incontro dell’anima con Dio, ma si risolve in una serie di comportamenti, formule e attività sociali e comunitarie che qualificano il cristiano come cittadino del mondo assai più che come pellegrino e penitente avviato verso la sua destinazione eterna.
Pedro Arrupe (1907-21) non è stato solo un gesuita di primo piano, ma il preposito generale della Compagnia di Gesù negli anni cruciali che vanno dal 1965 al 1983; e ha svolto così bene la sua funzione di testa d’ariete per sfondare la cittadella della Chiesa cattolica e travolgere le ultime resistenze alla sostituzione del cattolicesimo col modernismo, che ora, dopo averlo proclamato (nel 2019) servo di Dio, il suo confratello Bergoglio accarezza l’idea di proclamarlo santo, così come ha già fatto con il papa massone Paolo VI, moralmente e teologicamente indegno, ma che ha ben meritato per la radicale svolta filo-massonica impressa al Concilio e al post-concilio. Pedro Arrupe spinse così avanti la sua opera di apostasia della Chiesa che nel 1980 si vide costretto, caso unico nella storia, ad offrire a Giovanni Paolo II le sue dimissioni: che vennero rifiutate, ma cui fece seguito appena l’anno dopo, il commissariamento de facto dell’ordine, dopo che Arrupe era stato colpito da un ictus, poiché il papa polacco si era reso perfettamente conto di quale grado di potenza, di eresia e spregiudicatezza avesse raggiunto l’ordine di sant’Ignazio, e volle fronteggiare con la massima energia la minaccia da esso costituita (cfr. il nostro articolo: Quando Giovanni Paolo II commissariava i gesuiti, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 23/02/19). Nessuno più di padre Arrupe si adoperò per far penetrare la teologia della liberazione nel corpus del la dottrina della Chiesa e per alterare e modificare il Magistero in senso ultraprogressista e modernista: vera eminenza grigia del cattolicesimo di sinistra, la sua eventuale beatificazione sarebbe l’ultimo e più grave scandalo del falso pontificato di Bergoglio, già tanto saturo di scandali, confusioni volute e pessimi esempi dati ai fedeli.
Carlo Maria Martini (1927-2012) è stato un famoso e discusso cardinale, nonché arcivescovo di Milano: cosa di per sé strana, visto che lo statuto dei gesuiti vieta esplicitamente di ricoprire la carica di vescovo, cardinale o papa. Certo, gli avevano dato la necessaria dispensa: pure, questa forzatura dell’istituzione non suona bene a chi abbia a cuore la disciplina che deve regnare nella Chiesa, se si vuole che sia un tutto ordinato e coerente e non un’armata Brancaleone dove ciascuno va per la propria strada, si fa le sue leggi e invoca per sé tutte le eccezioni che fanno al caso suo. Uomo del dialogo, intendendo per dialogo il relativismo e l’indifferentismo religioso più esplicito, oltre che il mettersi in ginocchio davanti alle altre religioni e specialmente all’ebraismo, il suo pensiero riguardo alla riforma della Chiesa e all’applicazione di tutte le novità conciliari si riassume nella frase che la Chiesa è in ritardo di almeno duecento anni e perciò deve affrettarsi a recuperare il tempo perduto. Evidentemente non lo ha mai sfiorato il pensiero che questo "ritardo" è il segno di una salutare e necessaria differenza tra Chiesa e mondo, e che annullare tale differenza equivale ad annullare la ragion d’essere della Chiesa, cioè l’annuncio integrale del Vangelo di Gesù Cristo. Ma sì che lo sapeva, l’intelligentissimo cardinale Martini: massone e grande amico dei massoni — i quali, per chi non lo sapesse, sono scomunicati latae sententiae dalla Chiesa cattolica -, non è che non vedesse il pericolo di un appiattimento della Chiesa sulle stesse posizioni del mondo. Lo vedeva benissimo, solo che non lo considerava affatto un pericolo, bensì un passo necessario sulla via dell’adeguamento della Chiesa al mondo e quindi, in prospettiva, della felice auto-distruzione della Chiesa. Già solo per questo il "papa rosso", come tutti lo chiamavano apertamente, in omaggio alle sue esplicite simpatie di sinistra, gli uni con familiarità compiaciuta, gli altri con sospetto e irritazione , merita un posto eminente fra i grandi demolitori della fede cattolica che oggi è giunta in fase tanto avanzata sotto i nostri occhi (cfr. il nostro articolo: Che religione era quella professata dal cardinale Carlo Maria Martini?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 26/01/18). Ma il "capolavoro" di questo cardinale gesuita e massone è stato, senza dubbio, l’impulso determinante che ha dato alla formazione e alle attività della autonominata Mafia di San Gallo: quel gruppo di porporati modernisti, ultraprogressisti e massoni che avevano deciso di porre un loro uomo di fiducia sulla cattedra di san Pietro subito dopo la morte di Giovanni Paolo II, se proprio non fosse stato loro possibile convincere l’anziano e malato pontefice polacco a farsi da parte spontaneamente; e poi, dopo l’elezione di Benedetto XVI, di costringere quest’ultimo a dimettersi e porre al suo posto il loro candidato del 2005, Jorge Mario Bergoglio, un illustre sconosciuto che aveva, però, il doppio vantaggio di essere ciecamente fedele a costoro, per soddisfare la sua insaziabile ambizione di potere, e di venire dall’estremità del mondo, sicché in Europa proprio il fatto che nessuno lo conoscesse e che apparisse quale ambasciatore dei cattolici latinoamericani parevano garanzie di spontaneità, freschezza e sincero desiderio di rinnovamento. Morendo nel 2012, Martini ha mancato per una manciata di mesi la soddisfazione di vedere il trionfo della manovra lungamente preparata: l’esautorazione di Benedetto e l’elezione, anch’essa illegittima, perché anche lui è un gesuita, di Bergoglio. Inutile dire che formare un gruppo di pressione nel collegio cardinalizio per condizionare l’elezione del pontefice è un atto che il diritto canonico sanziona automaticamente con la scomunica: per cui Bergoglio e tutti i cardinali che lo hanno eletto devono essere considerati automaticamente scomunicati fin dal 2013, anzi fin dal 2005.
Ci siamo limitati a ricordare, in ordine cronologico, i sei gesuiti che hanno esercitato l’influsso più esiziale sulla vita della Chiesa negli ultimi cento anni: George Tyrrell, Pierre Teilhard de Chardin, Karl Rahner, Pedro Arrupe, Carlo Maria Martini e Jorge Mario Bergoglio. Nella loro vicenda si può cogliere la parabola discendente della Chiesa cattolica nel corso dell’ultimo secolo. Dal primo, che fu cacciato e scomunicato, all’ultimo, che siede trionfante e che imperversa con le sue bestemmie ed eresie dall’alto della cattedra di San Pietro, si vede quanta strada hanno fatto i gesuiti e come sono stati capaci di realizzare il loro piano segreto: impadronirsi della Chiesa, modificare la dottrina e stravolgere perfino il passato (con la beatificazione dei loro uomini, benché eretici e amici di eretici) onde attuare l’apostasia silenziosa e generalizzata della Chiesa cattolica, che ora vediamo realizzata anche formalmente, ad esempio con l’empio documento di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019. Pur di riuscirci, non sono arretrati davanti a nulla, neanche alle azioni più sconcertanti e moralmente indegne: fra le quali non va dimenticato il probabile assassinio di Giovanni Paolo I, il quale era intenzionato a licenziare o esiliare i cardinali e i vescovi massoni, ostacolando così seriamente il piano segreto dei gesuiti. A questo punto, ci permettiamo una sola domanda, a conclusione della rapida panoramica da noi fatta: cosa c’entrano i gesuiti moderni col cattolicesimo?
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