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La triplice sfida della Lega come partito nazionale

Ora che il passaggio, e la trasformazione, da movimento/partito del Nord, antimeridionalista e secessionista, a partito pienamente nazionale, che si presenta alle elezioni e chiede i voti per governare e rilanciare tutta l’Italia, dal Brennero a Lampedusa, si sono formalmente conclusi, resta da vedere se questa grossa forza politica, che i sondaggi accreditano come la maggiore del momento e che, alleandosi a Fratelli d’Italia, avrebbe quasi certamente i numeri per formare un governo auto-sufficiente, saprà vincere la triplice sfida che le si pone davanti.

La prima sfida è quella di dare un contributo decisivo alla soluzione del massimo problema italiano: la mancata o insufficiente formazione di uno spirito nazionale. Questa è la debolezza fondamentale dell’Italia e all’estero tutti lo sanno; solo noi facciamo finta che il problema non sussista, per non scoperchiare la pentola e scatenare le tensioni latenti, che potrebbero condurre a una disintegrazione dello Stato, come è accaduto per la Jugoslavia e, in forma pacifica, per la Cecoslovacchia, e come è sempre sul punto di accadere per il Belgio. Pesa sull’Italia l’opera parziale, insufficiente o sbagliata del Risorgimento: di come è stato fatto, delle forze che lo hanno voluto, delle ambiguità e le contraddizioni che lo hanno contraddistinto e, più grave di tutti, per il peccato d’origine che lo ha partorito: il disegno massonico di staccare gli italiani dalla Chiesa cattolica, calpestando il loro sentimento religioso e cercando di sostituirlo con un suo pessimo surrogato. Comunque, bene o male, e più male che bene, l’opera di unificazione degli italiani era in atto, dopo secoli di divisioni campanilistiche; e un contributo decisivo era venuto dalla stipulazione dei Patti Lateranensi, che aveva sanato la ferita dei rapporti conflittuali fra Stato e Chiesa, cittadinanza laica e appartenenza religiosa. Ma poi la sconfitta e la guerra civile del 1943-45 hanno riaperto tutte le piaghe, hanno fatto sprizzare nuovamente il sangue da tutte le vecchie e recenti ferite; c’è stato perfino il tentativo secessionistico della Sicilia, mentre gli italiani della sponda orientale dell’Adriatico hanno conosciuto il loro calvario e sono stati vittime di una troppo a lungo rimossa pulizia etnica. La giornata, drammatica e vergognosa, dell’8 settembre, ha segnato un momento cruciale nella dispersione del processo unitario: tutto quel che è venuto dopo, tutta la politica, la società, la cultura italiana dei settant’anni successivi, trova la sua spiegazione e il suo orizzonte psicologico e morale nell’infamia dell’8 settembre. E poi la memoria manipolata, il mito aberrante di un’orrenda guerra civile trasformato nella pagina più limpida e gloriosa della nostra storia; e l’egemonia della sinistra, che da allora non ha più mollato la presa (e il portafoglio: quanto denaro pubblico ha finanziato i cosiddetti istituti storici della Resistenza; quanto se ne va per pagare gli onorari del signor Fabio Fazio; e quando va a sostenere le attività culturali della "scuola di Bologna" catto-progressista del professor Melloni?) e che tuttora fa sentire i suoi attardati eredi come la parte migliore del Paese. Loro sono quelli che hanno il diritto di giudicare, senza mai esser giudicati; quelli col ditino sempre alzato, a fare la lezione a tutti; quelli che sono più buoni, più onesti, più preoccupati del pubblico bene e più colmi di amore per il prossimo, di chiunque altro: si chiamino comunisti, o cattolici progressisti, o libertari, o europeisti, o girotondini, o sardine, o in qualunque altro modo, ma sempre sponsorizzati da quei poteri finanziari occulti che, a parole, criticano e condannano, ma per la verità sempre di meno, e sempre più stancamente. Il loro volto si compendia in quello della signora Boldrini ed esprime supponenza, spocchiosità, presunzione di essere moralmente superiori; oppure in quello di monsignor Zuppi, la quintessenza del catto-comunismo, ossia un cattolicesimo che non ha più nulla di religioso ma è solo un pretesto per portare avanti, dietro la retorica degli ultimi, dei pranzi santegidini dentro le basiliche e della solidarietà coi movimenti anti-populisti e filo-immigrazionisti, un odio feroce e un’implacabile volontà di distruzione delle proprie radici, delle proprie tradizioni e della propria identità, a cominciare dalla vera identità cattolica e dalla vera fede cattolica: col signor Bergoglio che invita i calciatori a non farsi più il segno della croce…

Dunque, la prima sfida che la Lega, come partito nazionale, dovrà sostenere, è quella di porre mano al processo interrotto di unificazione nazionale. Dalla nascita della Repubblica fino ad oggi la politica italiana è stata meridionalizzata e gli interessi del Nord, la parte produttiva del Paese, sono stati sempre più sacrificati, comprimendo e opprimendo la piccola borghesia imprenditoriale, artigiana e commerciale, quella che manda avanti il Paese e consente di pagare gli stipendi a una numerosissima categoria d’impiegati pubblici, molti dei quali, specie al Sud, hanno una mentalità parassitaria. Parliamoci chiaro; c’è una parte del Sud che pensa di poter campare all’infinito sul lavoro altrui; molti ne hanno fatto una filosofia di vita, che non si preoccupano neanche di nascondere. Nelle scuole del Nord, non è rara la figura dell’impiegato meridionale che dice apertamente ai suoi colleghi: Ma quanto lavorate, voialtri! Non vi riposate mai? A me non piace sgobbare così tanto; del resto, ci siete voi che lavorate anche per noi. Sfotte, oltre a lavorare il minimo indispensabile: conosce tutte le leggi, tutti i cavilli sindacali, tutti i trucchi per ottenere permessi, licenze e aspettative, per non parlare dei falsi certificati di malattia e le false attestazioni d’invalidità. Pensate che stiamo esagerando? Benissimo: prendete un treno, o un aero, e fatevi una bella gita in quel di Napoli. Appena usciti dalla stazione, cosa vedete? Montagne di spazzatura sui marciapiedi ed eserciti di barboni. I napoletani perbene non osano lasciare che i figli vadano alla stazione da soli, neppure di giorno: bisogna attraversare quartieri pericolosi, e questo in pieno centro storico. In nessun’altra città d’Europa si vedono scene simili: neppure a Bucarest, dove esiste la piaga dei bambini di strada; neppure nelle più scalcagnate città balcaniche, dove oltretutto è passata la guerra. Ora entrate in un bar e chiedete un caffè: è facile che il barista lo prepari con un sospiro, se non con uno sbuffo, e ha dipinta in viso la domanda: ma proprio qui dovevi venire a disturbare la mia pace? Pare che siate voi a domandare un favore perché avete scelto proprio quel bar. Poi fissate una stanza all’albergo. Il caso vuole che quella stanza, al piano terra, sia adiacente alla reception; e che il portiere, per ammazzare la noia delle ore notturne, tenga accesa la televisione tutta la notte, a pieno volume. Voi gli chiedete cortesemente di abbassare il volume; lo fa, piuttosto malvolentieri; ma la seconda notte siamo daccapo. E stiamo parlando del personale dell’albergo, non di altri clienti maleducati. Se non importa a loro di fare in modo che chi sceglie il loro albergo resti contento, e sia invogliato a ritornarci, a chi dovrebbe importare? Poi si parla tanto di rilanciare il turismo come grande industria del Sud: è vero, sarebbe una risorsa economica notevolissima, ma con questi modi di fare e di pensare nessun turismo di qualità potrebbe mai decollare. E venire a Napoli per vedere cosa, poi? Le strada affogate nell’immondizia? O pagare il biglietto del museo quasi venti euro, più di quanto costi visitare un museo in qualsiasi altra città d’Italia, il che fa una spesa di quasi cento euro per una famiglia di quattro persone? E perché solo a Napoli i giovani e gli studenti non hanno l’agevolazione vigente in qualsiasi altra città d’Italia? E quanta gente paga il biglietto dei mezzi pubblici; quanti acquistano il biglietto dell’autobus o della funicolare? E perché mancano i controlli? Perché nessun bigliettaio ha voglia di prendersi un pugno o una coltellata per averlo chiesto, probabilmente. Appunto: è la resa dello Stato; è come ammettere che in quella città comanda di vuole, paga chi vuole, rispetta le regole chi vuole, se vuole e quando vuole. E via di questo passo: ovunque sporcizia, sciatteria, incuria, e un approfittarsi poco intelligente del visitatore di passaggio; per non parlare dell’insicurezza per le strade. In compenso mamma tivù, da vent’anni, ammannisce uno sceneggiato quotidiano su Rai 3, la rete progressista per definizione, quella di Augias, Fazio, Saviano e compagnia bella, intitolato Un posto al sole, ambientato a Napoli, nel quale le vedute della città sono sempre bellissime, suggestive, a volo d’uccello, sicché cassonetti stracolmi e rifiuti puzzolenti non si vedono mai; e se qualche scena è ambientata in ospedale, si direbbe proprio che siamo in uno dei migliori ospedali svizzeri o tedeschi.

Ora, sappiamo bene che non tutti i meridionali hanno questa mentalità; tutt’altro. Ci sono le brave persone, le persone serie, che hanno voglia di lavorare e guadagnarsi onestamente lo stipendio; ma sono costrette quasi a nascondersi, per non incorrere nelle ire del collega o del vicino. Una maestra che non stia a casa "per malattia" un tot di giorni all’anno rischia che le taglino i copertoni dell’automobile: andando a lavorare tutto l’anno, toglie la possibilità di avere un posto temporaneo a qualche supplente; e così lo Sato paga due stipendi invece di uno (parliamo della situazione nella scuola perché è quella che conosciamo meglio, e tutto ciò che ora abbiamo detto, lo abbiamo visto e sperimentato di persona). Così funzionano le cose da quelle parti; questa è la mentalità parassitaria; e non parliamo delle associazioni criminali, la mafia, la camorra e la n’ndrangheta. Tutti chinano la testa e pagano il pizzo; se qualcuno si ribella, rischia di finire in fondo al mare con un paio di scarpe di cemento ai piedi. Questa è la realtà: altro che Beirut, altro che Tripoli o Kabul. Lo Stato italiano finisce alle porte di Napoli, Palermo e Catanzaro. È da qui che bisogna ripartire, se si vuol rendere l’Italia un Paese efficiente e normale: il che implica un cambio di mentalità. Finora i partiti politici hanno accarezzato il clientelismo e il parassitismo di quel tipo di elettori: il reddito di cittadinanza è stato l’ultimo, disastroso cattivo esempio che lo Stato ha dato a costoro. Possibile che al governo non sapessero cosa sarebbe successo, e cioè che molte persone avrebbero rifiutato le offerte di lavoro perché, al netto delle tasse e delle spese, con ottocento euro si campa meglio stando a casa, che andando tutti i giorni a timbrare il cartellino? Ma certo che lo sapevano: è ben per questo che i Cinque Stelle hanno voluto quel provvedimento: e infatti è al Sud che hanno preso una valanga di voti. Ebbene, bisogna dare un taglio a questa mentalità; bisogna far capire che il denaro pubblico non spunta dal terreno come i funghi dopo la pioggia; che qualcuno lo deve produrre, e poi versare al fisco; che finora lo ha prodotto il Nord, ma adesso che la crisi è arrivata anche al Nord, la cosa non può seguitare. Non è possibile che la Calabria assuma un numero di guardie forestali superiore a quello di tutto il Canada, un Paese grande più di trenta volte l’Italia intera, e che ha le foreste più vaste al mondo. E non è possibile che i malati di Napoli, Bari e Reggio Calabria vadano a curarsi o a farsi operare negli ospedali del Nord, perché quelli del Sud, che sono da Terzo Mondo, servono solo a mantenere una classe di medici e infermieri che lavora con modalità inefficienti, e soprattutto di amministratori scialacquatori o disonesti, i quali pagano per l’acquisto dei materiali sanitari dieci volte più di quanto lo pagano gli ospedali al Nord. Come abbiamo accennato sopra, anche all’estero certe cose si notano e ormai tedeschi, inglesi, americani, fanno distinzione fra italiani del Nord e italiani del Sud: verso i primi, in linea di massima, hanno stima e fiducia, per gli altri no. Può sembrare un discorso troppo duro e perfino razzista, ma non è questa la nostra intenzione: il buon medico guarda le piaghe per quelle che sono e chiama le malattie col loro nome, se vuol guarire il paziente. Bisogna incidere il cancro dello statalismo, del parassitismo e del clientelismo; bisogna dichiarare guerra aperta alla malavita organizzata; bisogna ridare speranza ai giovani del Sud e abituarli all’idea che esistono anche altre maniere di guadagnarsi la vita, che assicurarsi, in un modo o nell’altro, un posto da statale, che sia di bidello o di magistrato, da conservare per forza d’inerzia. Bisogna favorire la nascita di una mentalità imprenditoriale, facendo leva sulla piccola impresa, non certo su mostri sovradimensionati come le acciaierie di Taranto; e, per far ciò, bisogna dotare il Sud d’infrastrutture moderne, laddove vaste aree sono ancora servite da cattive strade o da ferrovie a binario unico, che funzionano — e talvolta deragliano – come trenini del Far West.

Le altre due sfide riguardano la Chiesa e l’Europa. Qui possiamo solo farvi un cenno, riservandoci di tornare in maniera specifica su questi temi. Seconda sfida: la Chiesa. C’è un profondo malessere oggi fra i cattolici: il consenso verso la gerarchia sta toccando i minimi storci e seguiterà a scendere, quanto più preti e vescovi insisteranno nella loro politicizzazione esasperata e nella loro linea migrazionista e omosessualista. I veri cattolici non si riconoscono in queste battaglie e, soprattutto, sono stufi e arcistufi di un clero che non parla mai di Dio, che non nomina neppure Gesù Cristo per un falso riguardo verso le altre fedi, ma che si riempie sempre la bocca con i migranti, il clima, l’ambiente e la biodiversità. La Lega ha la possibilità d’intercettare il malessere di questi cattolici. Si pensi pure che i richiami alla religione fatti da Salvini (e da Giorgia Meloni) siano puramente strumentali: il fatto è che la gente è consolata nel vedere che qualcuno si ricorda ancora dei valori cattolici. C’è un vuoto, quindi, che deve essere riempiuto. la Lega non può farlo di certo in quanto partito; però può agire da propulsore per una rinascita del vero cattolicesimo, che restituisca le chiese a Dio e alla preghiera e faccia cessare l’abuso di trasformarle in dormitori o mense per i poveri (sempre poveri stranieri, peraltro; i poveri italiani sono di seconda classe). Infine, l’Europa. La Lega è il più forte partito sovranista europeo: rappresenta perciò, piaccia o no, le speranze di un intero continente che non ne può più di migranti e dei banchieri di Bruxelles, e vuol voltare pagina…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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