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26 Dicembre 2019La crisi morale e materiale che attanaglia la nostra società, e che la sta conducendo alla morte, ha un’origine ben precisa: l’attacco contro la famiglia, che era la chiave di volta sulla quale ogni altra cosa si reggeva. È chiaro pertanto che la prima cosa da fare, la più necessaria e la più urgente, è tornare alla famiglia, restituirle centralità, ridarle speranza e coesione: in poche parole, operare per la sua santificazione quotidiana, esattamente come facevano i nostri nonni, a prezzo di rinunce e sacrifici, ma con l’intima soddisfazione di vederla vivere e crescere nella maniera giusta. L’attacco alla famiglia si sviluppa su due lati: dall’esterno e dall’interno. Dall’esterno, e ne abbiano già parlato molte volte, è portato da quelli che la odiano e l’hanno sempre odiata, e che ora, con parole falsamente miti, dicono di voler "solo" ampliarne il significato, includendovi altre forme di unioni, diverse da quella stabile, regolare, definitiva, fra un uomo e una donna ed aperta alla nascita dei figli. Il riconoscimento delle unioni di fatto e la loro parificazione alla famiglia naturale, sia quelle eterosessuali che quelle omosessuali, non potevano non portar con sé il corollario dell’introduzione dell’ideologia gender nelle scuole, nei mass-media, nella cultura e nella politica. Non staremo qui a ripetere ciò che abbiamo già detto infinite volte: che considerare l’unione di due persone dello stesso sesso come una vera famiglia è semplicemente assurdo; che concedere a tali coppie l’adozione di bambini, o peggio ancora la possibilità di acquistarli sul mercato o di procurarseli con la fecondazione eterologa, è profondamente sbagliato; e che tale giudizio non ha niente a che vedere con il disprezzo o il rifiuto delle persone omosessuali. Opinare diversamente significa essere stolti o in malafede. Una persona che ha delle inclinazioni omosessuali merita il rispetto dovuto a qualsiasi altro essere umano. Una persona che è omosessuale attiva e che vuole sposarsi, o avere dei bambini, è un’altra cosa: qui entra in ballo da un lato l’autenticità della famiglia, dall’altro i diritti degli stessi bambini. Negare che un cieco possa pilotare un aereo, o che un paralitico possa iscriversi ai campionati si salto in lungo, non significa nutrire disprezzo o rifiuto nei confronti di tali persone. È pur vero che, da alcuni anni, assistiamo a un altro tipo di rifiuto: il rifiuto di riconoscerei limiti della propria situazione, per cui vediamo degli handicappati pretendere di partecipare ai campionati e i ciechi pretendere di conseguire il brevetto di pilota, come chiunque altro. Fuor di metafora, ormai è frequente che ragazzi con gravissimi handicap, in nome di un’integrazione tutta da dimostrare, vengano iscritti al liceo e che giungano al diploma, pur non avendo potuto svolgere, per ovvie ragioni, un corso di studi anche solo lontanamente paragonabile a quello dei loro compagni. È razzismo, è intolleranza, dire queste cose? E stiamo facendo notare che vi è una perdita del senso del limite e un rifiuto ideologico della natura, laddove essa stabilisce un confine che non può essere superato? Di questo atteggiamento complessivo fa parte la pretesa degli omosessuali attivi di celebrare un vero e proprio matrimonio, se possibile anche religioso (cosa stranissima, in un momento storico in cui non si vuole sposare quasi più nessuno), e più ancora la pretesa di essere genitori, sempre sfruttando il ricatto dell’accusa di razzismo o, in questo caso, di omofobia, verso chi non sia d’accordo. Ma è davvero omofobia pensare che un matrimonio fra persone dello stesso sesso sia un non senso, e che un bambino, per crescere bene, abbia bisogno di un papà e di una mamma, ossia di una figura maschile e di una figura femminile? Noi pensiamo di no; e rifiutiamo di farci bollare con epiteti ingiuriosi in nome del Pensiero Unico, edonista e utilitarista. Non solo; respingiamo al mittente l’accusa di essere intolleranti, perché la vera intolleranza è quella di chi vuole imporre, per legge e con la minaccia del codice penale, una situazione innaturale, e pretende che tutti gli altri la trovino naturalissima. Similmente, il vero razzismo non è quello di chi sostiene che l’Italia non può e non deve lasciarsi invadere da una quantità illimitata di africani e che è tempo di pensare anche alle condizioni penose in cui vivono tanti italiani dimenticato da tutti, nella competa indifferenza degli intellettuali politicamente corretti: stretti nella morsa della povertà e abbandonati all’insicurezza nei quartieri degradati ove spadroneggiano delinquenti stranieri. Ma di tutto ciò, basta: in questa sede non vogliamo soffermarci sull’attacco alla famiglia che viene dall’esterno, ma su quello che viene dall’interno, e che è anche il più grave.
Non esiste quasi una famiglia, oggi, che non sia straziata da problemi interni che causano gravi sofferenze ai suoi membri. Che sta succedendo? Proviamo a guardarci intorno, fra i nostri conoscenti e amici, fra i nostri colleghi di lavoro, e poi guardiamo all’interno della nostra stessa famiglia: quanti possono vantarsi di avere una famiglia serena e felice? Quanti possono dire: noi siamo stati fortunati, da noi va tutto bene, salvo naturalmente i normali fastidi e le normali preoccupazioni che la vita non risparmia ad alcuno? Qui c’è la discordia fra marito e moglie, c’è una separazione in atto e un divorzio in vista: e i figli, checché ne dicano legioni di psicologi da strapazzo, ne risentono, eccome. Qualsiasi maestra d’asilo o di scuola può testimoniare questa semplice verità: quando i genitori si separano, i bambini se soffrono terribilmente, anche se diverso è il modo di manifestare la loro sofferenza. Là c’è un figlio che si droga: la sua vita e quella dei suoi genitori è un inferno quotidiano. Quando è in crisi d’astinenza diventa violento e mette le mani addosso a suo padre e sua madre per avere i soldi necessari ad acquistare la dose. È un continuo ricorrere al pronto soccorso, ai carabinieri, ai sevizi sociali; quel giovane entra ed esce da cliniche o riformatori, e alla fine torna sempre a bussare alla porta di casa; né i suoi genitori hanno il coraggio di tenerla chiusa. In quell’altra famiglia è entrata la nemica silenziosa, spietata, inafferrabile: la depressione. Uno dei suoi componenti ne è stato afferrato ed essa lo sta stritolando; e con lui sono sprofondati nell’angoscia e nella disperazione i suoi familiari. In quell’altra, c’è un padre che è diventato dipendente dai giochi d’azzardo: ha perso somme enormi di denaro, ha bruciato tutti i risparmi, ha ridotto alla povertà la mogie e i suoi figli; e non riesce a liberarsi dal suo demone. Qualcuno guadagna sul gioco d’azzardo, ma molte famiglie ricevono da esso un colpo mortale; e nessuno pare accorgersene, nessuno fa nulla. In quell’altra ancora vi è un padre tiranno, o una madre vampiro, che rendono la vita insopportabile agli altri: non si controllano, infieriscono da mattina a sera, hanno bisogno di qualcuno da opprimere, da maltrattare, da seviziare, da ricattare, da intimidire, da manipolare. E mai che si chiedano perché le cose vanno così male, perché il clima in casa è tanto brutto: loro non hanno niente che non va, sono gli altri che non si comportano come si deve; sono gli altri che non rispettano le regole, che non fanno il proprio dovere, che tradiscono la loro fiducia. Sottrarsi a questi padri tiranni e a queste madri vampiro è impossibile per i figli: i quali, crescendo, introiettano il veleno e, quando verrà il loro turno di metter su famiglia, senza neppure rendersene conto replicheranno le stesse dinamiche infernali, metteranno in atto le stesse strategie diaboliche per far soffrire i loro familiari e pere godere della loro sofferenza. Infine c’è la famiglia che ha conosciuto lo strazio del suicidio di uno dei suoi membri, forse un figlio o una figlia adolescenti, che si son tolti la vita un maniera apparentemente incomprensibile: da quel momento la vita dei suoi genitori non è che un quotidiano martirio, un incessante chiedersi perché, un lancinante senso di colpa, una notte oscura non rischiarata neppure dalla più piccola luce. E via di seguito, potremmo continuare per pagine e pagine a descrivere le infinite varietà del male che si è introdotto nelle nostre famiglie e che le fa sanguinare, senza che si veda una possibile soluzione tranne quella di rompere i legami e di disperdersi uno di qua, l’altro di là, e che ciascuno pensi a se stesso. Ma questa è la peggiore delle soluzioni: è una non soluzione, perché lascia tutti i problemi irrisolti, tutti i nodi da sciogliere; e poi perché tagliare chirurgicamente un arto è la terapia che il buon medico adotta solo in casi disperati, quando il pericolo che il paziente muoia di cancrena è certo e immediato. In tutti gli altri casi, il buon medico non ricorre ai ferri del chirurgo, ma interviene sull’organismo affinché possa trovare in se stesso le risorse per recuperare la salute. Chi rompe il vincolo famigliare per farsi una’altra vita e un’altra famiglia, a cuor leggero e senza farsi alcun problema per gli altri, specialmente i figli, va incontro a una reiterazione delle stesse dinamiche che hanno condotto all’infelicità la sua precedente famiglia: le persone immature non imparano nulla dalla vita, non crescono, non evolvono, non s’interrogano, non cercano mai di perfezionarsi. Cambiano casa e indirizzo, cambiano compagno o campagna, fanno dei nuovi figli e con ciò pensano di aver risolto ogni loro problema; ma è falso.
Ora, la domanda che ci si deve porre è questa: come mai la famiglia è diventata così fragile? Non erano affatto fragili, le famiglie dei nostri nonni: la sventura poteva colpirle, ma esse resistevano, come se fossero state costruite sulla roccia. Perché le famiglie di oggi sono, così spesso, costruite sulla sabbia? Le cause, naturalmente, sono parecchie; ma noi, sfrondando quelle secondarie, andiamo dritti all’essenziale; e l’essenziale è questo: la famiglia odierna è fragile perché non è più una vera famiglia, ma un soggiorno temporaneo, ove i clienti si fermano badando soprattutto al loro comodo e preoccupandosi ben poco del bene altrui; poi, se non sono soddisfatti del servizio, se ne vanno, magari senza neanche pagare il conto. E perché l’uomo e la donna mettono su famiglia, oggi, con una tale disposizione d’animo? Perché sono simili a dei bambocci viziati, e probabilmente come tali sono stati cresciuti dai loro genitori: abituati a pensare a sé e al proprio utile, al proprio divertimento e al proprio piacere; con una volontà debole, non abituati ai sacrifici, non abituati a darsi una regola, una linea coerente, un progetto di vita; non abituati al dialogo, alla condivisione dei problemi, al confronto con l’altro. Se sorgeva un ostacolo, ci penavano mamma e papà; se c’era da fare un sacrificio, lo facevano loro al posto dei figli. Se questi prendevano un brutto voto, era colpa del professore; se erano bocciati, era colpa del mondo intero; e via coi ricorsi legali. Se il moroso o la morosa li lasciavano, erano quelli ad essere stronzi: ma loro no, i cari pargoletti non avevano nulla da rimproverarsi. E si aggiunga un altro elemento: l’esasperazione dell’erotismo, di cui è causa l’intero sviluppo della società, oltre al permissivismo di molti genitori. Giovani immaturi sono abituati e vedere nei membri dell’altro sesso dei giocattoli per ottenere il piacere; ed è con questo modo di pensare che si sposano o vanno a convivere: l’altro è un compagno di letto, tutto il resto si vedrà. In questo modo la famiglia si riduce a stanza dei giochi erotici e il compagno o la compagna di vita si riducono a prostituti o prostitute, privati e legali. La donna non è più la sposa fedele e la futura madre dei figli dell’amore, ma un’esperta conoscitrice di giochi erotici; e l’uomo non è più lo sposo responsabile e il futuro padre di famiglia, ma un gigolò della vita quotidiana. La moda dell’abbigliamento esaspera questa tendenza: perfino mentre sono in stato interessante, le giovani mamme di questo tipo devono sfoggiare la loro nudità e sforzarsi di essere sexy e conturbanti (cfr. il nostro articolo Le porno mamme, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 24/06/11 e sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 17/11/17). Ma se poi il compagno o la compagna di letto si rivelano deludenti, sia dentro il letto che fuori; se s’incapricciano di un altro o di un’altra; se emerge che anche loro si preoccupano solo del proprio piacere, allora subentra il disgusto, e l’unione va in pezzi nel giro di poche settimane, di pochi giorni. Ed ecco il baldo giovanotto e la spigliata ragazza ritornare con la coda fra le gambe da papà e mamma, più solleciti e comprensivi che mai, pronti a giustificarli e commiserare la loro sfortuna; e obbligarli a fare da baby-sitter a tempo pieno con i loro figlioletti. In attesa, si capisce, di adocchiare un nuovo oggetto sessuale con il quale imbastire una relazione, e ripetere all’infinito gli stessi errori.
La risposta alla crisi, pertanto, consiste in quella che in termini cristiani si chiama santificazione. Al posto dell’ottica del piacere, quella del dovere; al posto della superficialità, la responsabilità; al posto dell’egoismo, la generosità; al posto del proprio utile e del proprio comodo, la premura verso l’altro, verso il suo bene e la sua serenità. Occorre una rivoluzione copernicana nell’atteggiamento complessivo verso la vita; è necessario capire che la vita è una battaglia incessante: militia est vita hominis super terram. E se la vita è una battaglia, ciò vuol dire che c’è un nemico, e che bisogna affrontarla armati: errore madornale dell’educazione moderna, aver fatto credere ai bambini e ai giovani che al mondo ci sono solamente amici, e che si può benissimo entrare nella vita senza armi per difendersi, ma solo godendosi quel che di buona essa può offrire. Il nemico ha molti volti, che alla fine però si compendiano in un volto solo: quello del diavolo. È il diavolo che spinge le persone all’egoismo, alla superficialità, all’irresponsabilità, alla lussuria, alla superbia e alla cupidigia. E le armi necessarie per affrontare i suoi assalti e le sue tentazioni sono la fortezza, la temperanza, la prudenza, la saggezza. I nostri nonni lo sapevano, noi no: per questo le loro famiglie erano solide come roccia, mentre le nostre sono fragili come il vetro. Senza senso di responsabilità e spirito di sacrificio non si costruisce nulla. La ricompensa? Viene dalla coscienza del dovere compiuto; è nel sorriso dei nostri figli quando ricevono da noi l’amore di cui hanno bisogno, ma nella maniera giusta.
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