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22 Dicembre 2019Una comunità nazionale è come una grande famiglia, o almeno lo era fino a qualche decennio fa, cioè prima che i tentacoli della globalizzazione intaccassero e iniziassero a sfilacciare il tessuto sociale, i legami affettivi e professionali, le relazioni virtuose fra uomo e ambiente e quelle degli uomini con la tradizione, cioè con la loro storia e il loro passato. E come in alcune famiglie c’è un parente del quale nessuno parla volentieri, anzi che non viene neppure nominato, perché con il suo comportamento o i suoi atti ha gettato il disonore e il discredito su tutti gli altri, così anche presso alcuni popoli avviene la stessa cosa: la memoria di alcuni personaggi viene rimossa e costoro, benché morti da pochi anni o magari ancora in vita, è come se non fossero mai esistiti, è come se nessuno li avesse mai conosciuti, perché tutti quanti rifiutano di prendere atto del fatto che, invece, sono esistiti e hanno dato un contributo alle vicende di quella nazione; contributo che ora essa vorrebbe dimenticare e addirittura rimuovere dalla propria memoria. Ciò avviene specialmente dopo una rivoluzione o una guerra: perché dopo tali rivolgimenti la parte uscita vittoriosa dalla lotta desidera far sparire ogni traccia del nemico vinto, e solo dopo averlo fatto avrà la sensazione di aver chiuso i conti col passato e assicurato saldamente il proprio potere. E tale epurazione postuma non riguarda solo gli uomini politici, ma anche gli esponenti del mondo della cultura che hanno avuto la sfortuna di trovarsi, al momento della resa dei conti, dalla parte soccombente, per poco che abbiano resa esplicita la loro adesione, o anche solo una certa simpatia, nei confronti del caduto governo. Pertanto, se si vuol avere un’idea veritiera degli uomini e delle opere che hanno dato un contributo significativo alla storia di un popolo, non ci si può assolutamente limitare a quelli compresi nell’elenco per così dire ufficiale, poiché essi riflettono solo la parte uscita vittoriosa dalla lotta. La storia, si sa, viene scritta dai vincitori; e ciò vale anche per il mondo della cultura, dello spettacolo, del giornalismo, del cinema, ecc. È chiaro che i personaggi più noti non possono semplicemente esser fatti scomparire, come accadde al faraone Akhenaton, il cui nome e le cui gesta vennero scalpellati via da tutti i monumenti e raschiato da tutti i papiri, poiché la casta sacerdotale al potere nell’antico Egitto aveva deciso di rimuovere la sua memoria; infatti il ricordo dei personaggi più importanti rimane nei ricordi delle persone e tutto quel che si può fare, da parte dei vincitori, è di avvolgere tale ricordo da un alone di negatività assoluta, bollandoli come dei delinquenti, dei criminali, dei pazzi sanguinari, ecc. Così, ad esempio, è capitato a Nerone per la storia romana, e in parte anche a Tiberio, benché le accuse tramandate nei loro confronti siano fortemente faziose e discutibili, così come faziose e discutibili sono le lodi sperticate e apparentemente unanimi che hanno accompagnato la memoria di altri, come Ottaviano Augusto (cfr. il nostro articolo: Augusto, il grande corruttore, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 22/05/14 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 25/12/17).
Pertanto, il consiglio che ci sentiamo di dare a chi si avvicina a una società e a una cultura col sincero desiderio di conoscerne integralmente la storia, e quindi soprattutto alle giovani generazioni, è quello di non accontentarsi dell’elenco delle presenze, bensì di verificare anche l’elenco delle assenze. Ma, si obietterà, come può un giovane accorgersi se i libri, gli insegnanti, i giornali, i film, i programmi televisivi, si sono "dimenticati" di illustrare la figura e l’opera di Tizio o di Caio, dal momento che egli non conosce quei personaggi, ma si affida alle informazioni che la cultura dominante gli trasmette? La risposta è appunto che non ci si può, non ci si deve, accontentare di quel che dice la cultura dominante, ma bisogna stare sempre con le antenne ben drizzate, e cercar di fiutare l’aria, in modo da intuire se ciò che viene detto dei personaggi del passato, quello lontano e anche quello recente, corrisponde a verità, industriandosi di andare alla ricerca delle fonti originali, in modo da fare la conoscenza anche di quei nomi, quelle figure e quelle opere che poi la censura del Politicamente Corretto ha espunto intenzionalmente. Nella società dell’immagine, qual è la nostra, la memoria tende a svanire estremamente in fretta, non solo da una generazione all’altra, ma perfino all’interno della stessa generazione: chi ricorda più, a distanza di vent’anni, il cantante X o l’attrice Y, che a suo tempo fecero tanto parlare di sé? E chi ricorda quest’anno le canzoni che avevano scalato le classifiche appena l’estate scorsa? Perciò, se la memoria di una persona, di un’opera o di un evento non viene fermata sulla carta stampata, è quasi certo che i giovani, nati venti, trenta, cinquanta anni dopo, non sapranno mai neppure che quella persona, quell’opera o quell’evento sono esistiti. Ma non ci si può fidare neanche delle enciclopedie? Anzi, soprattutto di quelle: sono i testi nei quali più pesantemente si riflette l’ideologia dominante; e, in tempi di Pensiero Unico, sono quelli che servono a promuovere e a condannare nella maniera più evidente; laddove la condanna più grave è quella che s’infligge mediante il silenzio. Se un nome non c’è, quella memoria va perduta. E si ricordi che il prototipo di tutte le enciclopedie è proprio lei, l’Encyclopédie degli illuministi, pubblicata fra il 1751 e il 1780: la macchina da guerra da essi concepita e realizzata per veicolare la cultura massonica, deista e anticristiana e per distruggere le basi stesse della cultura precedente. Dunque, ciò che bisogna fare è andare il più possibile alle fonti; prendere nota di ciò che fecero, dissero e scrissero gli uomini di quel tempo, cercando di non lasciarsi suggestionare dai giudizi emessi poi, alla luce del Politicamente Corretto; e infine andare a verificare quanti di quei personaggi sono "spariti" dall’elenco della spesa, quanti sono stati cancellati e rimossi, e così farsi un’idea del livello di manipolazione culturale che la società attuale esercita sui suoi membri, pur se si spaccia per la più libera e la più democratica di tutte le società, anzi, pur se esalta se stessa proprio per il fatto di esser nata da una lotta per la libertà contro le forze del totalitarismo. Si dirà che tutto questo richiede un eccessivo dispendio di energie; e può darsi che sia vero. D’altra parte, la conoscenza non è un piatto pronto che basta consumare e digerire; è una ricerca sempre faticosa e sempre solitaria, perché non ha valore se non è frutto di conquista personale, e sia pure, in certi casi, con l’aiuto determinante di una guida qualificata. Qualcuno potrebbe chiedere se valga la pena di sobbarcarsi una simile fatica solo per conoscere onestamente il passato, non accontentandosi di ciò che dice la cultura dominante. Rispondiamo: dipende da ciò che si ritiene importante nella propria vita. Se si pensa che conoscere onestamente il passato sia un lusso, un extra, una sorta di capriccio per gente che non ha niente di meglio a cui dedicarsi, allora sì, è meglio lasciar perdere e dedicarsi a qualcos’altro, ad esempio a fare shopping, andare al cinema a vedere l’ultima idiozia uscita dagli studi di Hollywood, o passare le ore nei camerini dei negozi d’abbigliamento per guardarsi allo specchio e vedere se la giacca o la gonna o il vestito cadono bene o cadono male. Se invece si pensa che non c’è vera umanità senza conoscenza delle proprie radici e della propria identità; che anzi non si è neppure veramente se stessi se si costruisce la propria vita sulle menzogne che vengono spacciate dal Pensiero Unico e alle quali la massa si adatta come un gregge di pecore, salvo poi trovarsi ingabbiati in un meccanismo che non lascia scampo e che opera uno sfruttamento sempre più spietato e una manipolazione sempre più cinica, allora si comprende che si tratta d’una fatica che vale il gioco e che non si perde tempo, ma lo si guadagna, e che sarebbe impossibile costruire alcunché di solido e durevole sulle ondeggianti fondamenta della menzogna e la palude di una verità addomesticata.
Un buon sistema per verificare qual è il grado di oppressione ideologica di una società consiste nel consultare i libri di testo scolastici, oppure le enciclopedie, specialmente subito dopo, o pochi anni dopo, una guerra o una rivoluzione. Nel caso dell’Italia: proviamo a sfogliare una antologia italiana per la scuola media: confrontiamo quelle edite dopo il 1945 con quelle edite pochi anni prima; per il Sud, "liberato" dagli angloamericani venti mesi prima del Nord, il cambiamento si nota già a partire dal 1944 (mentre scompare, accanto alla data in numero arabo, quella in numero romano a partire dalla marcia su Roma). Appaiono sui libri, e occupano posizioni importanti, autori come Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Emilio Lussu, Gaetano Salvemini, Giaime Pintor, Carlo Levi, Primo Levi; a volte l’intera antologia è curata da un esponente della Resistenza, come Carlo Salinari, e la scelta degli autori del ‘900 è ancor più scopertamente ideologica. Scompaiono, invece, o scivolano nelle posizioni marginali, autori che fino alla caduta del fascismo avevano goduto di molti onori: Giuseppe Fanciulli, Renzo Pezzani, Pietro Solari, Vittorio Emanuele Bravetta, molto diversi fra loro, ma accomunati dall’aver avuto un atteggiamento favorevole, o comunque non ostile, al caduto regime. Sì, perché in Italia era possibile restare a casa propria e scrivere testi contrari al fascismo: valga per tutti il caso di don Benedetto Croce, che fu il sultano della cultura partenopea per tutto il Ventennio e uscì nel 1945 circonfuso di gloria per la sua "coraggiosa" opposizione (lui che ancora nel 1924, dopo il delitto Matteotti, consigliava di votare per il fascismo); e quelli che nel 1925 firmarono il suo manifesto, come Eugenio Montale o Marino Moretti, non ne subirono alcuna conseguenza, anzi Moretti si vide perfino offrire il premio dell’Accademia d’Italia già in articulo mortis, nel 1944. Sfuggirono all’epurazione culturale, o subirono una retrocessione ma non la cancellazione, quegli autori che, pur avendo simpatizzato per il fascismo, ne presero poi le distanze, specie nel biennio decisivo, quello della Repubblica Sociale. Prezzolini, ad esempio, resistette per diversi anni sulle antologie, e ancora oggi viene parzialmente tollerato. Giovanni Gentile è ricordato ma non senza un "cappello" esplicativo per deplorare che una così brillante intelligenza abbia fatto una scelta tanto sbagliata; sul suo vile assassinio, poche parole di circostanza. Colpisce, viceversa, la continuità di autori che erano stati pienamente favorevoli al regime e iscritti al Partito, e che dopo il 1945 seguitarono a essere presentati in una lue assai favorevole: spicca fra tutti Curzio Malaparte, il quale essendosi prontamente convertito alla parte uscita vittoriosa fu amnistiato per le posizioni precedenti. Ma l’elenco sarebbe lungo e certo sorprenderebbe quei giovani che non conoscono bene la storia: a cominciare da quel Ruggero Zangrandi che, grazie a La tradotta del Brennero e il Lungo viaggio attraverso il fascismo, passa per una delle colonne dell’antifascismo militante, mentre aveva un passato fascista lungo così. Viceversa chi, pur essendo sempre stato antifascista e avendo pagato un prezzo per ciò, davanti agli orrori della guerra civile volle fare opera di pacificazione, e dopo il 1945 si astenne dallo sputare sul cadavere di Mussolini (come fecero, spregevolmente, scrittori come Carlo Emilio Gadda), furono fatti sparire sic et simpliciter: ed è così che nessuno studente ha mai trovato il nome di Carlo Silvesti fra le pagine della sua antologia scolastica. La sua colpa imperdonabile: aver scritto che Mussolini, con tutti i suoi errori, valeva cento volte più di tutti quei nani che dopo il 1945,si sono accaniti a insultarlo e sbeffeggiarlo. Anche il Necrologio onesto del fascismo di Giuseppe Prezzolini è stato fatto sparire: avrebbe potuto far riflettere gli studenti negli anni del dopoguerra. Meglio ammannire loro, invece, la Chiamata alle armi di Concetto Marchesi, colui che prestò il suo nome per la condanna a morte di Gentile, e farlo passare per un eroe integerrimo della Resistenza, quando i suoi stessi compagni del P.C.I. erano più che spazientiti dal suo ritardo nel lasciare l’Università di Padova, dove le autorità fasciste non lo molestavano per niente, e darsi alla macchia per la sacra causa della libertà.
Oppure prendiamo in mano un dizionario biografico, meglio se edito non molti anni dopo la fine della guerra, perché riflette in maniera più evidente la normalizzazione ideologica imposta dai vincitori. Prendiamo, a titolo d’esempio, il Panorama biografico degli italiani d’oggi, in due grossi volumi, a cura di Gennaro Vaccaro, edito da Curcio nel 1956. Ci si aspetterebbe di trovarvi e le biografie di tutti gli italiani che hanno svolto un ruolo importante, in qualsiasi campo, nelle ultime due o tre generazioni: giusto? E invece, sfogliandolo, spiccano per la loro assenza i nomi di quelli che scelsero la parte perdente. Non c’è il giornalista Mario Appelius: eppure era stato famosissimo e aveva scritto, oltre a migliaia di articoli, decine di libri di viaggio. Evidentemente non gli fu perdonato il suo grido: Dio stramaledica gli inglesi!: a riprova di chi siano stati i veri vincitori della Seconda guerra mondiale. Non si trova il nome di Alessandro Pavolini: eppure fu un importante uomo politico, piaccia o non piaccia; e inoltre fu autore d’un certo numero di romanzi di discreta qualità. Non si trova il nome di don Tullio Calcagno, il sacerdote che dopo l’8 settembre 1943 si schierò con la R.S.I. e venne poi giustiziato, o meglio assassinato, senza processo, dai valorosi partigiani: eppure svolse un ruolo di rilievo nella Chiesa di allora e pubblicò un giornale, Crociata Italica, che fu il più letto nel Nord Italia nel 1944-45. Silenzio totale anche su Giovanni Preziosi: certo, il suo antisemitismo è criticabile; ma fu, anche lui, giornalista e saggista non degli ultimi, e certe sue analisi sulla finanza sarebbero ancora di attualità; in ogni caso, svolse un ruolo nella società del suo tempo, bello brutto che sia stato: con quale diritto cancellarne la memoria? Insospettiti, siamo andati alla voce Mussolini: non c’è! Pertanto, dimmi chi non c’è e ti dirò chi sei…
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