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20 Dicembre 2019Qual è l’opera più significativa della letteratura olandese? Bella domanda, vero? Una domanda alla quale, per rispondere con cognizione di causa, bisognerebbe, se non proprio essere degli esperti, quanto memo possedere una discreta conoscenza della letteratura olandese; altrimenti, come si potrebbe esprimere un giudizio sensato? È pur vero che oggi molte persone non sanno cosa siano la modestia e il senso del proprio limite, per cui non esitano a sentenziare su tutto, anche senza essere per nulla informate sull’argomento in questione. Evidentemente, però, il contributo che possono dare a un reale progresso della riflessione sarà pari a zero o, peggio, servirà solo ad aumentare la confusione, in una società, come la nostra, dove già la confusione è massima, e ciò non per ragioni contingenti, ma strutturali, ossia per il prevalere del relativismo che ha condotto all’instaurarsi di una vera e propria cultura della post-verità. Non ci sembra dunque il caso di contribuire ad accrescere la deplorevole confusione già imperante in ogni ambito possibile e immaginabile, e perciò torniamo al nostro assunto: per poter esprimere un parere che abbia un qualche valore su una determinata cosa, bisogna possedere almeno le conoscenze minime indispensabili su quella cosa; altrimenti, è meglio tacere e ascoltare ciò che dicono gli altri. Perciò, alla domanda iniziale, che possiamo considerare come una delle infinte domande possibili che richiedono un certo grado di competenza, qual è l’opera più significativa della letteratura olandese?, i casi sono due: o attingiamo alle nostre conoscenze e vediamo se, in quel particolare ambito, ne abbiamo a sufficienza per esprimere un giudizio che sia a ragion veduta, oppure riconosciamo la nostra incompetenza e ci affidiamo a chi ne sa di più. In questo secondo caso, potremmo fare ricorso a una enciclopedia, o a una monografia sui Paesi Bassi e la loro cultura; oppure, se vogliamo andare per le spicce, a una guida bibliografica, ad esempio una di quelle che servono per la formazione delle biblioteche pubbliche, e che sono state fatte chiedendo la collaborazione dei maggiori esperti delle singole discipline: storia, letteratura, filosofia, arte, musica, cinema, scienza, religione, sport, ecc. In pratica, ogni volta che ci rechiamo presso una biblioteca pubblica, possiamo immaginare, a grandi linee, gli autori e le opere che vi troveremo e quelli che invece difficilmente potremo trovarci, appunto perché esiste un giudizio, grosso modo condiviso, formulato dagli esperti dei diversi ambiti disciplinari, che poi è anche quello che emerge, direttamente o indirettamente, dalle indicazioni dei libri di testo scolastici, dalle lezioni dei professori universitari, dai programmi televisivi a carattere divulgativo e dalle pagine culturali dei giornali. E quel giudizio condiviso, sempre a grandi linee, resta uguale a se stesso e non cambia, se non nei dettagli. Certo, col passare degli anni nuovi autori, e quindi nuove opere, si aggiungono a quelli già esistenti, rinnovando continuamente la dotazione delle biblioteche; però l’importanza relativa attribuita ai singoli argomenti resta più o meno la stessa. Nel caso della letteratura italiana, per fare un esempio, compariranno, via, via gli autori più recenti e le opere da poco pubblicate e premiate nei concorsi letterari, però i vecchi autori raramente verranno espunti o anche solo ridimensionati. I classici resteranno sempre lì, al loro posto e nessuno si sognerà di eliminare dagli scaffali i romanzi di Verga o di D’Annunzio per fare posto a quelli di Roberto Saviano o Erri De Luca; né la serie del commissario Montalbano di Andrea Camilleri caccerà fuori, in nome del politicamente corretto, Il cappello del prete di Emilio De Marchi o I misteri di Alleghe di Sergio Saviane. Almeno si spera.
A questo proposito ci rifacciamo a un’esperienza personale di tanti anni fa, quando, all’età della scuola media, scoprimmo, nella biblioteca paterna, un grosso volume della Casa Editrice Einaudi, Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata, uscito nel 1969, e ci sprofondammo nella sua lettura (definirla semplicemente "consultazione" sarebbe decisamente riduttivo), sino a farne una delle nostre letture più frequenti e più proficue: quella che c’indirizzava, all’occorrenza, verso una meta determinata, allorché volevamo approfondire un certo argomento, benché fossimo ancora al di sotto dei quattordici anni d’età regolamentari per avere il diritto d’accedere al settore riservato agli adulti della nostra biblioteca cittadina. Su quel volume abbiamo trovato le indicazioni utili ad approfondire i nostri primi interessi per le discipline più varie, dalla storia all’astronomia. La sezione dedicata alla letteratura, poi, ci affascinava per la sua vastità: decine di pagine erano dedicate alle letterature antiche e moderne e alle principali letterature del mondo, quella italiana innanzitutto, e poi quella francese, inglese, tedesca, spagnola, russa, americana. Da ultimo, la piccola sezione dedicata alle "altre letterature" gettava un fascio di luce su popoli e autori meno conosciuti, aggiungendo ulteriori motivi d’interesse a un quadro già tanto vario e multiforme. Le più piccole, come è logico, dovevano accontentarsi di pochissimi autori; quella olandese, per esempio, ne aveva due soltanto: Anna Frank col suo Diario (con prefazione di Natalia Ginzburg) e Simon Vestdijk, uno dei massimi romanzieri olandesi del ‘900, con L’isola del rum. Guarda caso, entrambi tradotti e pubblicati dalla stessa Einaudi; ma certo era una mera coincidenza: e del resto, allora, eravamo in uno stato di tale adorazione verso quella miniera d’informazioni bibliografiche, da non nutrire la più piccola ombra di sospetto, e tanto meno di malizia.
In quei due libri, dunque, era compendiata, per comprensibili ragioni di spazio, la letteratura di un popolo di diciassette milioni d’abitanti, che ha svolto una parte non secondaria nella storia del continente europeo e della sua civiltà, arti comprese. Quanto alla scelta di quei due titoli, non vedevamo ragioni di perplessità, allora; in seguito, riflettendo appena un poco, sì. Con tutto il rispetto dovuto al dramma umano vissuto da Anna Frank, dalla sua famiglia e da tutti gli ebrei perseguitati negli anni della Seconda guerra mondiale, si deve considerare normale il fatto che degli esperti di letteratura olandese giudichino il suo Diario come una delle due massime espressioni letterarie di quel popolo? Senza contare il fatto che Anna Frank, una ebrea tedesca, nei Paesi Bassi visse solo una decina di anni della sua breve esistenza, il fatto che abbia scritto il Diario in lingua olandese è sufficiente a far sì che lo si debba valutare come una delle due opere più significative di quella letteratura, che abbraccia un arco di tempo di millecinquecento anni e si estende su tutti i continenti, dall’Europa al Sud Africa, ai Caraibi, all’odierna Indonesia, al Suriname nell’America del Sud? Come mai non compaiono, al suo posto, il Max Havelaar di Multatuli, pseudonimo di Edouard Douwes Dekker, il quale ebbe, a suo tempo, una popolarità paragonabile a quella de La capanna dello zio Tom negli Stati Uniti, o come il bellissimo Autunno del Medioevo di Johan Huizinga, che è al tempo stesso un capolavoro della storiografia novecentesca? Davvero la preferenza accordata al Diario di Anna Frank, rispetto a questi autori e a queste opere, è di tipo schiettamente letterario e non ha niente a che fare con ragioni extra letterarie? Non si tratta di una scelta analoga a chi giudicasse le Lettere di condannati a morte della Resistenza come un testo letterario più significativo, per la letteratura italiana, della Divina Commedia di Dante Alighieri o dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni? Che cosa diremmo noi italiani se una bibliografia letteraria olandese, nel consigliare le letture di base ai propri lettori circa il nostro patrimonio letterario, indicasse le Lettere di condannati a morte della Resistenza, con tutto il dovuto rispetto verso quei condannati a morte, invece di suggerire la Divina Commedia o i Promessi Sposi? Non penseremmo forse, e del tutto a ragione, che delle motivazioni ideologiche hanno scavalcato, e di molto, quelle puramente culturali? Non avremmo forse l’impressione di aver subito un’operazione culturale non molto corretta, che mortifica secoli e secoli della nostra civiltà letteraria, in nome di ragioni di ordine scopertamente politico? Ma, si potrebbe obiettare, la letteratura olandese è una letteratura "minore"; in essa non s’incontrano dei capolavori universali come la Divina Commedia o i Promessi Sposi. Ragionamento capzioso e ingiusto: ogni letteratura va considerata come un patrimonio culturale a sé, che deve essere studiato in maniera autonoma e non posto a confronto con le altre: questo è l’ABC dello spirito scientifico e dovrebbe animare qualsiasi studioso, perciò anche i compilatori delle bibliografie generali. Facendo un’analogia con lo sport, dovremmo sottoporre il ciclismo olandese a un impari confronto col ciclismo italiano, o francese, o belga, e trarre la conclusione, che, non trovandosi in esso dei campioni di livello mondiale, paragonabili a Gimondi, Anquetil o Merckx, i suoi esponenti non meritano d’esser valutati con gli stessi criteri che si usano per indicare i più significativi esponenti delle grandi nazioni ciclistiche?
Sia come sia, ci siamo soffermati sul caso della letteratura olandese e sulla scelta del Diario di Anna Frank come opera sommamente rappresentativa di quella letteratura, per poter riflettere su una questione di ordine assai più generale, dalla portata incalcolabile, e cioè: chi decide cosa è più importante e cosa lo è di meno, o non lo è affatto, nell’ambito della cultura, ivi compresa, naturalmente, la nostra formazione scolastica e universitaria? Prendiamo il caso dei libri di scuola; e restiamo pure nell’ambito della letteratura. Chi decide che Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia sono autori meritevoli d’essere inserirti nelle antologie scolastiche, e perciò illustrati dai professori e letti dai ragazzi, mentre Nicola Lisi e e Bonaventura Tecchi non lo sono, e pertanto i professori non ne parleranno e i ragazzi non li conosceranno mai? E passiamo alla storia. Chi decide che i crimini di Hitler furono assolutamente unici e imperdonabili, tali da gettare un marchio di perpetua infamia non solo sul popolo tedesco ma sull’intera umanità, mentre quelli di Stalin, benché motivati da ragioni ideologiche equivalenti e causa di un più alto numero di vittime, furono pur sempre dei crimini "storici", vale a dire qualcosa che può trovare riscontro in altri tempi e luoghi, e comunque non rappresenta che un incidente momentaneo nel corso delle vicende umane? Ora la storia della filosofia. Chi decide che Marx è stato un filosofo, anzi, un grande filosofo, al quale spetta almeno un grosso capitolo del libro, e al quale i professori dedicheranno almeno un mese di lezione; mentre i dieci secoli della filosofia cristiana si possono sbrigare in un breve capitolo che non occuperà più di tre o quattro lezioncine in tutto: insomma, che nel medioevo la gente pensava poco, mentre col marxismo il pensiero umano ha realizzato un gigantesco balzo in avanti? La storia dell’arte. Chi decide che è giusto presentare l’Orinatoio di Marcel Duchamp e la Merda d’artista di Piero Manzoni come delle opere d’arte, aventi la stessa dignità espressiva, e meritevoli della stessa qualità di attenzione, dello Sposalizio della Vergine di Raffaello o della Pietà di Michelangelo? Le scienze naturali. Chi decide che la teoria evoluzionista, che è e resta una teoria non provata scientificamente è, invece, l’ultima e definitiva parola chiarificatrice che la scienza ha pronunciato sull’origine delle specie; laddove una seria teoria scientifica, poi confermata da ogni genere di prove, la deriva dei continenti (che oggi si chiama della tettonica a zolle) fu a suo tempo ignorata sia dai divulgatori scientifici, sia dal mondo accademico? Sono solo alcuni esempi; ne potremmo fare moltissimi altri, sia restando all’interno delle discipline suddette, sia passando a qualsiasi altra disciplina, nessuna esclusa, e compresa la matematica.
Ciò che abbiamo detto ora dei testi scolastici e dell’insegnamento impartito sui banchi di scuola si può estendere a ogni altro ambito dell’informazione e della comunicazione: cinema, televisione, giornali. Nel caso delle notizie di stampa, peraltro, la questione è ancor più delicata: perché se una persona, con fatica ed impegno, può arrivare a comprende il condizionamento che ha subito nell’ambito della storia, della filosofia, ecc. andando a verificare direttamente alle fonti come stanno davvero le cose, ciò è quasi impossibile per le notizie di cronaca, le quali passano in gran parte attraverso il condotto obbligato delle grandi agenzie di stampa mondiali, le quali decidono a monte quali siano quelle che devono arrivare al pubblico, e naturalmente in che forma, e quali non devono arrivare. Esse sono perciò sottoposte a una vera e propria censura preventiva. Esistono ancora degli spazi di libera informazione, specialmente in rete, ma sono continuamente esposti alla spada di Damocle della censura, che può agire in svariate maniere. Un sito può essere ridotto al silenzio sia mediante un attacco informatico, sia mediante una querela pretestuosa, mirante a ottenere un risarcimento di migliaia di euro, sia mediante un’azione unilaterale del gestore, che lo può chiudere in qualsiasi momento, a suo insindacabile giudizio. Infine, sono in arrivo delle misure giudiziarie per spegnere le voci di dissenso mediante l’introduzione nel codice penale di leggi miranti a punire l’omofobia, il razzismo e l’istigazione all’odio, cose che il legislatore potrà interpretare con la più ampia discrezionalità possibile: vale a dire, se lo vorrà, per colpire non la parte che ha esercitato un’offesa, ma quella che l’ha subita e che ha reagito per difendersi. Pertanto, siamo in presenza di un quadro che renderà sempre più difficile, per non dire impossibile, riuscire a farsi una propria opinione, motivata e ragionevole, su ogni singolo fatto. E già ora la scuola si è ridotto a cinghia di trasmissione del Pensiero Unico, che premia chi studia in modo conformista e scoraggia chi vuol ragionare con la sua testa. Ecco perciò l’importanza di capire cosa è davvero importante, e cosa no…
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