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Quale errore fatale aver chiesto scusa a tutti

La civiltà europea ha delle colpe nei confronti delle altre civiltà? E la religione cristiana ha delle colpe nei confronti delle altre religioni? In particolare, la Chiesa cattolica ha delle colpe verso le altre chiese, le altre fedi, gli altri popoli e le altre civiltà? Se le risposte a queste domande sono affermative, allora può essere cosa buona e giusta domandare scusa: a patto di mettere ben in chiaro che le scuse riguardano gli errori di concrete situazioni storiche e non, specie per ciò che riguarda la Chiesa, l’insieme dei valori europei e cristiani. Pretendere che la civiltà europea si scusi di esistere, o che la Chiesa cattolica si scusi di esserci, sarebbe assurdo: eppure è proprio quel che vanno facendo, da troppo tempo, sia molti europei, sia molti cristiani. Si prenda le due giovani donne che, in questo momento, riassumono e compendiano nella loro immagine (perché così hanno deciso i poteri forti e non certo per un caso imperscrutabile) i due massimi rimproveri che la cultura europea e cristiana sta facendo a se stessa: di esser colpevole e insensibile davanti alla tragedia dei migranti, l’una, e di essere responsabile e insensibili di fronte alla catastrofe ambientale, l’altra. Si osservino i loro volti, si rifletta sulle loro parole: ciò che esprimono è un profondo auto-disprezzo, un profondo odio di sé. Dice Carola Rackete: Quando mi sono resa conto di appartenere a una minoranza privilegiata, di avere la pelle bianca e il passaporto giusto (e il portafogli ben fornito, aggiungiamo noi), ho capito qual era il mio dovere. E Greta Thunberg (veramente non lo pensa lei, ma si limita a ripetere ciò che sua madre e altre persone le hanno fatto imparare a memoria): Come osate mettere in pericolo il nostro futuro? Ci state rubando il domani, e io continuerò a scioperare tutti i venerdì finché non farete qualcosa. È importante, quasi più delle parole, il modo in cui le pronunciano, l’espressione che hanno mentre parlano: il loro viso è una maschera di rabbia, di astio, di volontà di colpevolizzare (e colpevolizzarsi). È straordinario non che abbiano trovato un palcoscenico per le loro dubbie esibizioni (quello era stato preparato su misura per loro da chi ha i soldi e controlla i mass-media, per i suoi scopi ben precisi), ma che milioni di persone, specialmente giovani, abbiano visto in queste due ragazze disturbate, instabili, ultra viziate e con un quoziente d’intelligenza non molto alto, dei personaggi carismatici dalla statura eroica, da ammirare e seguire ciecamente.

E adesso vediamo di scorporare le domande che abbiamo formulato all’inizio; perché se far vedere le analogie fra cose diverse può risultare utile per avere una miglior visione d’insieme, d’altra parte può condurre anche a un errore metodologico, quello di confondere cose diverse e di appiattire le differenze, il che è sempre contrario alla ricerca del vero.

La civiltà europea ha delle colpe nei confronti delle altre civiltà? Certamente sì. Ha delle colpe, così come ha dei meriti. Tutte le civiltà producono cose buone e cose meno buone o anche decisamente cattive. Non esistono civiltà totalmente buone, così come non esistono civiltà interamente malvagie: opinare diversamente sarebbe antistorico e manicheo. Ciò premesso, la giusta domanda da porre è la seguente: la civiltà europea ha prodotto molte più cose cattive o molte più cose buone, sia per se stessa, sia per le altre civiltà? Non staremo qui a fare l’elenco delle une e delle altre: sarebbe inutile, perché tutti conosciamo queste e quelle, e ciò che ci divide non è la conoscenza dei fatti ma la loro interpretazione e perciò il giudizio complessivo che ne scaturisce. Ci limiteremo a dire questo: che, se possiamo porci quella domanda, è un merito specifico della nostra civiltà. Nelle altre civiltà, ad esempio in quella islamica, una tale domanda non è consentita; non vi sono neanche delle menti predisposte a formularla. Solo la civiltà europea ha prodotto un senso autocritico; solo essa ha sviluppato la capacitò di riconoscere i propri errori e tentare di correggerli. Naturalmente si dovrebbe distinguere fra la vera civiltà europea, che è la civiltà cristiana medievale, e la non-civiltà moderna, che è la degenerazione della prima; e tale distinzione, che abbiamo fatto in tante e tante occasioni, implica una diversificazione anche nel giudizio. Complessivamente, tuttavia, riteniamo di poter dire questo: ancor oggi che è sprofondata nella più completa decadenza, la civiltà europea conserva un aspetto che le è assolutamente peculiare: la capacità di auto-criticarsi e di auto-emendarsi. Certo, anche qui sarebbe necessario distinguere fra l’autocritica distruttiva, che nasce dal relativismo e conduce al nichilismo, tipica della cultura moderna, e la sana autocritica che nasce dal cristianesimo, perché solo il cristianesimo insegna il rispetto per la persona dell’altro, la capacità di perdonare, lo spirito di leale collaborazione con tutti, anche se non transige sul terreno della verità. E quest’ultimo è proprio il punto dolente, in cui si vede come i cattolici moderni sono diventati, appunto, dei moderni, e il loro cattolicesimo è diventato un cattolicesimo relativista, vale a dire la negazione del vero cattolicesimo, per cui anch’essi sono diventati dei solerti operai del nichilismo. Ma di ciò, a dopo.

E la religione cristiana ha delle colpe nei confronti delle altre religioni? Sul terreno storico, vale lo stesso ragionamento fatto poc’anzi per la civiltà europea. Sul terreno teologico, per il cristiano la domanda non ha senso: anche se in certi casi i cristiani possono aver sbagliato nel modo di diffondere la loro fede, non hanno però sbagliato per il fatto di diffonderla, anzi hanno messo in pratica la raccomandazione del divino Maestro: Andare in tutto il mondo e predicate il Vangelo. E chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà sarà condannato. Totalmente sbagliato, quindi, il fatto che i cattolici vadano a domandare scusa agli altri popoli, agli indios dell’Amazzonia, agli aborigeni australiani, ecc., per aver portato loro il Vangelo: se lo fanno, vuol dire che si sono dimenticato che cos’è il Vangelo di Gesù, vale a dire lo strumento della redenzione e della salvezza universale.

In particolare, la Chiesa cattolica ha delle colpe verso le altre chiese, le altre fedi, gli altri popoli e le altre civiltà? Se un cristiano, e specificamente un cattolico, risponde affermativamente a questa domanda, allora vuol dire che è un ex cristiano, o un ex cattolico, anche se non sa di esserlo. Aver annunciato il Vangelo di Gesù Cristo non può essere una colpa; al contrario, è un dovere e la più sublime manifestazione di amore verso il prossimo: è la cosa migliore che si possa fare nei confronti di chi ne è privo, o perché non lo conosce, o perché lo rifiuta pur senza conoscerlo. Annunciare il Vangelo è la più alta forma di carità cristiana: e infatti, per metterla in atto, migliaia di cristiani hanno affrontato il martirio. Appesi al palo della tortura degli irochesi o crocifissi per ordine dell’imperatore giapponese, essi non si sono chiesti se avessero il diritto di annunciare il Vangelo e se ciò fosse una forma di prepotenza nei confronti delle altre fedi e delle altre verità. Anzi, a rigore non esistono altre religioni, né altre verità: perché la verità è una, e, per il cristiano, è quella di Colui che disse: Io sono la via, la verità e la vita. E quindi anche la religione è una, quella suggellata dal sangue di Gesù Cristo sulla Croce, strumento di redenzione degli uomini dal male e dal peccato; le altre religioni sono, puramente e semplicemente, delle false credenze, alcune relativamente innocue, altre malvagie, tutte però ingannevoli e fallaci. E se ciò dispiace al signor Bergoglio e se contraddice la lettera e lo spirito del Documento di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, tanto peggio per quel signore e per quel documento: l’importante non è dispiacere al papa, o a colui che si fa passare per tale, bensì non dispiacere a Dio.

Ci piace a questo punto riportare una riflessione del filosofo Marcello Pera sulla sindrome dell’auto-colpevolezza e dell’auto-flagellazione da parte della Chiesa post-conciliare (da: Marcello Pera e Joseph Ratzinger: Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam; Milano, Mondadori, 2004, pp. 44-45):

"La civiltà occidentale — ha affermato lo scrittore Pietro Citati — ha grandissime colpe, come qualsiasi civiltà umana. Ha violato e distrutto continenti e religioni. Ma possiede un dono che nessun’altra civiltà conosce: quello di accogliere, da almeno duemilacinquecento anni, da quando gli orafi greci lavoravano per gli sciti, tutte le tradizioni, tutti i miti, tutte le religioni, tutti o quasi tutti gli esseri umani" (P. Citati, "L’Occidente senza forza e l’esercito del terrore", su "La Repubblica", 31 marzo 2004).

Dopo averne denunciato le stesse colpe, un altro scrittore, Mario Vargas Llosa, ha affermati della civiltà occidentale: "Il suo merito più significativo, quello che, forse, costituisce un ‘unicum’ nell’ampio ventaglio delle culture mondiali, è stata la capacità di fare autocritica" (M. Vargas Llosa, "Occidente. L’agonia del paradiso", su "La Stampa" del 18 aprile 2004).

Questo stesso concetto di errore è penetrato anche nella Chiesa cattolica, la quale sempre più spesso oggi riconosce i torti inflitti, le decisioni sbagliate, le scelte ingiuste. La Chiesa ha chiesto scusa per le tante missioni evangelizzatrici non sempre esenti da violenza. Ha chiesto scusa agli ebrei per l’accusa di deicidio e le persecuzioni. Ha chiesto scusa a Galileo per averlo processato. E ad altri ancora. Intenzione lodevole e atteggiamento encomiabile, perché gli errori di ieri devono essere riconosciuti per essere evitati domani. Con un "ma". Se la Chiesa scinde la verità infallibile del suo messaggio dalla concreta applicazione e pratica storica che ne fa e distingue sé come custode eterna della verità da sé come governo "pro tempore" dei credenti, allora rischia di essere percepita al pari di qualunque altra istituzione secolare che, col tempo, corregge se stessa, e di lasciare i propri fedeli nell’incertezza se le scelte a essi chieste oggi non diventino colpe domani".

Di Pera avevamo già parlato (cfr. Il relativismo teologico, ultima tappa dell’autodistruzione del cristianesimo, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 10/07/17). Il suo ragionamento qui non fa una piega: se la Chiesa si sdoppia e giudica se stessa col metro della storia laica, scordandosi d’essere la custode di una verità divina, e perciò eterna, si contraddice e finisce per autodistruggersi. Questa è la colpa, a nostro avviso non involontaria, di cui si sono macchiati coloro che vollero il Concilio Vaticano II per insinuare il cuneo dello storicismo nel corpo vivo della fede, secondo il malefico insegnamento di Karl Rahner e la sua sciagurata "svolta antropologica". Una volta assunto il punto di vista dell’umano, che altro resta da fare alla Chiesa se non profondersi in infinite scuse (peraltro non ricambiate) verso questo e quest’altro, fino a chiedere scusa di esistere, di essere nata, e quindi togliersi cortesemente di mezzo? Proviamo a riflettere: se si adotta il criterio della storia, allora Abramo che si dispone a sacrificare suo figlio Isacco non è un eroico esecutore della volontà divina, ma un padre snaturato e un criminale meritevole del massimo disprezzo. E se il criterio col quale giudicare i fatti del Vangelo è sempre quello umano, allora non si capisce in che modo il sacrificio di Cristo sulla Croce riscatterebbe l’intera umanità. Anzi, a ben guardare non si può che giungere alla conclusione che Gesù era solo un uomo; che è morto come muoiono tutti gli altri uomini e non è affatto risorto (e quindi, Dio ci perdoni, era anche un po’ cialtrone, visto che proclamava che sarebbe risorto); e che il cristianesimo è solo l’insieme delle norme morali, peraltro sempre bisognose di aggiornamento, lasciate da quell’uomo fuori del comune. E che quelle norme debbano essere sempre verificate secondo il criterio dell’attualità, lo mostrano fin troppo le mille e mille iniziative di quei preti e vescovi che si danno un gran daffare per sdoganare il divorzio, l’adulterio, la sodomia, l’eutanasia, e insomma per mettersi alla pari con la mentalità del mondo moderno. Come diceva il cardinale Carlo Maria Martini, capofila della massoneria ecclesiastica: la Chiesa ha accumulato un ritardo di duecento anni, che ora deve colmare. E perché mai solo duecento anni, domandiamo noi, una volta che si sia adottato il criterio della storia? Diciamo pure che gli anni di ritardo sono duemila, e teniamoci pronti ad aggiornare ogni cosa, dottrina e morale in testa, ad ogni secolo, ad ogni decennio, ad ogni anno; anzi, visti i ritmi che sta prendendo la società moderna, diciamo pure ogni settimana: perché al mondo non piace più, alla domenica, ciò che considerava vero e buono il lunedì precedente. Aggiungiamo solo, al discorso di Marcello Pera, che se la Chiesa si pone come governo "pro tempore" dei credenti, allora non solamente rischia di essere percepita al pari di qualunque altra istituzione secolare che, col tempo, corregge se stessa, ma di auto-percepirsi in questi termini, il che equivale al suicidio. Che ci sta a fare la Chiesa, se la sua funzione si riduce a questo? E davvero Gesù Cristo si è preso la briga di fondarla per consegnare agli uomini l’ennesima istituzione secolare, bisognosa di continui aggiornamenti? Noi credevamo che l’avesse fondata per darci la Verità perenne e infallibile: guarda un po’ quanto siamo stati ingenui. Quanto al fatto che una "chiesa" cosiffatta, cioè secondo le idee storiciste dei modernisti, non può che lasciare i propri fedeli nell’incertezza se le scelte a essi chieste oggi non diventino colpe domani, notiamo che è già accaduto anche di peggio: ai fedeli son rimproverate non le colpe di domani, ma di ieri. E chi mai potrà sfuggire al passato? Sensi di colpa usati come armi…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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