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Radici psicologiche e culturali del neoprimitivismo

L’irruzione degli idoli di Pachamama nel pieno dei lavori del Sinodo per l’Amazzonia; la loro spettacolare adorazione da parte di una folla di frati e suore prostrati sull’erba bocconi, con il culo all’aria; la loro solenne (e grottesca) intronizzazione nella Basilica di San Pietro; il loro trasporto, a spalla, da parte di una folla di fedeli e persino di vescovi; la loro benedizione, si fa per dire, da parte di quel signore argentino che da sei anni e mezzo prende in giro il mondo spacciandosi per papa; le preghiere ad essi rivolte da parroci e fedeli, e la loro glorificazione da parte di sedicenti missionari i quali, evidentemente, vanno in "missione" non per convertire i pagani ma per farsi convertire al paganesimo; infine le pubbliche scuse del sedicente papa per lo scandalo rappresentato, a suo dire, dal loro trafugamento e dalla loro immersione nel Tevere, da dove i solerti Carabinieri le hanno ripescate a tempo di record, e non dal fatto della loro idolatrica adorazione nel corso di cerimonie che teoricamente avrebbero dovuto essere cattoliche e solamente cattoliche (ma sappiamo che, per costui, Dio non è cattolico…): tutto questo solleva necessariamente la domanda: da quali oscure profondità psicologiche e culturali emerge, con una simile prepotenza, una voglia di primitivismo che si poteva credere limitata a certi settori della società profana, mentre ora si scopre che giaceva, pronta a venir fuori, anche nel seno del cattolicesimo ed ai massimi livelli delle stesse istituzioni ecclesiastiche?

Ecco il testo della preghiera rivolta a Pachamama, antica divinità della fecondità della terra appartenente al Pantheon incaico, distribuita, sotto forma di foglietti, in una parrocchia veronese, quella del Sacro Cuore di Gesù, in occasione di una sedicente veglia di preghiera missionaria del 25 ottobre 2019; per la cronaca, il parroco si chiama don Claudio Castellani, il quale ha risposto con strafottenza a chi gli chiedeva chiarimenti, mentre non risulta che il suo vescovo, monsignor Giuseppe Zenti, abbia mosso un dito per avere chiarimenti e soprattutto per prendere le iniziative che il caso avrebbe richiesto:

Pachamama di questi luoghi, / bevi e mangia a volontà quest’offerta / affinché sia fruttuosa questa terra. / Pachamama, buona madre, / Sii propizia! Sii propizia! / Fa che i buoi camminino bene, / e che non si stanchino. / Fa che la semente spunti bene, / che non le succeda nulla di male, / che il gelo non la distrugga, / che produca buoni alimenti. / re lo chiediamo: donaci tutto. / Soo propizia! Sii propizia!

Questo testo, fra le altre cose, fuga ogni possibile dubbio sul fatto che l’introduzione di Pachamama nelle cerimonie cattoliche non sia stato che un innocuo elemento pittoresco e folcloristico, come i danzatori pitturati e adornati di piume i quali movimentavano, diciamo così, certe scenografiche cerimonie organizzate, nel corso dei suoi innumerevoli viaggi, da Giovanni Paolo II, forse un po’ troppo spettacolari e troppo poco cattoliche; bensì un vero e proprio elemento di culto rivolto a una divinità pagana, vale a dire una piena e conclamata idolatria, anche se, in un primo momento, le autorità vaticane avevano cercato di stemperare la polemica, minimizzando la cosa e presentandola nella luce d’una mite e semplice iniziativa dal valore simbolico. Per la precisione, l’eminenza grigia di tutto il Sinodo, e anche del cosiddetto documento preparatorio, Instrumentum laboris – una collezione di eresie e di enormità neopagane -, il vescovo di origine austriaca Erwin Kräutler, ha sostenuto, contraddittoriamente, che Pachamama è solo una forma espressiva degli indios boliviani e che potrebbe essere integrata nella nostra liturgia; ma che, se per alcuni essa è una divinità, allora aver gettato nel Tevere le statuette che la rappresentano costituisce un’offesa nei loro confronti o, per usare la sua testuale espressione, un brutale attacco all’anima di un popolo. Che la loro intronizzazione in Vaticano sia stata un brutale attacco alla fede dei cattolici, questa evidentemente è un’idea che non lo sfiora neppure. Logico: stiamo parlando di un "vescovo" che si è vantato di non aver mai convertito né battezzato un solo indigeno, dopo quasi quarant’anni passati in Brasile, Paese del quale ha preso la nazionalità (per l’esattezza, dal 1980), dichiarando lui stesso, per buona misura, che non intende farlo neppure in futuro e che non lo farà mai. Il che autorizza i cattolici a domandare per quale ragione le loro offerte debbano andare a pagare lo stipendio di un vescovo che si fa mantenere dalla chiesa cattolica senza sentirsi minimamente impegnato a evangelizzare. Come tutti i progressisti, egli si ritiene incomprensibilmente e indegnamente attaccato ogni qualvolta si imbatte in chi la pensa diversamente da lui, ma è ben lungi dal sentirsi un aggressore quando va con il dito nell’occhio del prossimo, in questo caso di quelli che dovrebbero essere i suoi confratelli, anzi le sue pecorelle. Non è forse per questo, per pascere le pecorelle del gregge di Gesù Cristo, che è stato istituito l’ordine episcopale? E se i panni di vescovo della chiesa cattolica gli vanno stretti, perché non se ne sbarazza, perché non è coerente, perché non si adorna con le penne e le piume degli stregoni amazzonici e si mette ad adorare la sua Pachamama alla luce del sole, senza ricorrere a subdoli trucchi per contrabbandare una fede estranea, e del tutto pagana, fin dentro la liturgia cattolica? Questa si chiama disonestà intellettuale e indegnità morale. Se il "vescovo" Kräutler ha cambiato idea; se ha perso la fede; se non l’ha mai avuta; se non è più cattolico: ebbene, cosa ci sta a fare dentro la chiesa, con relativo stipendio? E come mai nessuno si era accorto di nulla; come mai i suoi superiori non erano mai intervenuti, non gli avevano domandato conto della sua mancata evangelizzazione? A Roma erano informati delle sue posizioni e delle sue dichiarazioni? Sapevano che non aveva mai battezzato una sola anima e che aveva dichiarato di non volerlo fare? Se lo sapevano, allora ben tre papi — Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e il sedicente papa Francesco — si sono resi colpevoli di una grave omissione e hanno avallato, tacendo, una linea pastorale, se così vogliamo chiamarla, totalmente in contrasto con la vera pastorale, nonché con la dottrina cattolica di sempre. Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo, ha raccomandato Gesù Cristo ai suoi apostoli; e chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; ma chi non crederà, verrà condannato. Queste sono le precise parole del nostro divino Signore. Non ha detto: andate in tutto il mondo e adottate le usanze e le religioni di ciascun popolo; non ha detto: introducete gli idoli delle false divinità nella mia chiesa; niente affatto: ma ha detto (Matteo, 28, 19-20): Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ora, si confrontino queste parole di Gesù Cristo con le affermazioni del signor Kräutler (proprio non ce la facciamo a chiamarlo vescovo, è più forte di noi) e si traggano le debite conclusioni.

Ma tornando a Pachamama e all’irresistibile fascino dell’idolatria e del primitivismo, ci stavamo domandando quale possa essere la sua origine. Ebbene, senza dubbio una delle radici di tale attrazione risiede nella fuga da se stesso che l’Occidente coltiva ormai da tre secoli, vale a dire dall’illuminismo, se non da prima ancora; della repulsione diabolica che lo anima nei confronti del Vangelo di Gesù Cristo; nel bisogno furioso, e per molti aspetti dionisiaco, di gettarsi dietro le spalle l’educazione e la morale cattoliche, o ciò che di esse sopravvive pur nella generale laicizzazione della nostra società, per indossare apertamente i panni del selvaggio: si capisce, del Buon Selvaggio, non quello cattivo. Anche perché selvaggi cattivi non ce ne sono: spariti gli antropofagi, le estrazioni del cuore umano, l’abbandono dei vecchi, il culto dei demoni; sparito tutto ciò che getterebbe un’ombra sulla loro reputazione, ed ecco che resta solo un selvaggio educato e civilissimo, dai modi gentili e sorridenti, un selvaggio che ogni uomo e donna occidentali, in fondo all’anima, vorrebbero essere, magari sulla scia della psicanalisi freudiana e dell’invito della cultura edonista e narcisista ad essere se stessi, a non farsi mancare nessuna esperienza e a non rifiutare nulla di ciò che i sensi o la fantasia possono suggerire.

Scrive il romanziere e viaggiatore Lawrence Osborne, classe 1958, inglese trapianto a Bangkok e corrispondente d’importanti giornali internazionali (da: L. Osborne, Il turista nudo; titolo originale: The naked tourist: in serach of adventure and beauty in the age of the airport mail, 2006; traduzione dall’inglese di Matteo Codignola, Milano, Adelphi Edizioni, 2006, pp. 104-105):

L’antropologo Bronislaw Malinowski, che batté i Mari del Sud prima dell’era Lévy Strauss-Mead, ha decritto l’estasi – che ci è vieppiù preclusa — dell’immersione nel primitivo. "Ci sono momenti — scrive – in cui senti di fonderti con la realtà oggettiva. È puro nirvana".

Durante il soggiorno a Tahiti, sul finire dell’ottocento, Paul Gauguin tentò con tutte le sue forze di impadronirsi della cultura locale. Ma la vera ragione del suo viaggio era imparare a girare nudo, e il suo libretto ", "Noa Noa", contiene l’ennesima descrizione della Sindrome di Robinson:

"Sono sempre nudo, e non soffro più il sole.

Un po’ alla volta la civiltà mi cade di dosso, lo sento.

Ho pensieri molto semplici, e difficilmente odio chi mi sta vicino; anzi, mi viene facile amarlo

Conosco tutti i piaceri – animali e umani — di una vita libera. Mi sono lasciato alle spalle, per sempre, tutto ciò che è artificio, convenzione, abitudine. Sto entrando nella verità, nella natura. E finalmente provo un senso di pace, perché so che mi aspettano altri giorni liberi e felici come questo. Vivo come ritengo sia giusto, senza occuparmi di cose futili."

Attraversando la giungla di Andaman Settentrionale mi è venuta in mente la scena in cui Gauguin va nella foresta a tagliare palissandri insieme a Totefa, il suo amico tahitiano, e mentre in una specie di orgasmo comincia a fare a pezzi tutti gli alberi che gli capitano a tiro, sente l’ascia che gli canta: "Sì, così, distruggi l’amore per te stesso! ". È una scena delirante, che si conclude con un inno primitivista:

"Sì, d’ora in poi la vecchia civiltà dentro di me è distrutta, finita, morta. Sono rinato."

Già, la vera ossessione di Gauguin era proprio la "vecchia civiltà", non Tahiti. Del resto l’evasione è questo, la fuga da qualcosa che ci opprime…

Qualcuno potrebbe obiettare che, se questa febbre di primitivismo e questa smania di nudità sono effettivamente emerse nella cultura laica del XIX e del XX secolo, non è affatto dimostrato che siano giunte a contaminare anche il clero cattolico e la chiesa cattolica. Ebbene, ci sia consentito porre il caso di un altro vescovo dell’Amazzonia, lo spagnolo Pedro Casaldáliga Plá, oggi più che novantenne, celebrato su di un sito in rete come una specie di novello san Francesco, anche lui operante da decenni su quel territorio senza che nessuno, a partire da Giovanni Paolo II, gli abbia mai chiesto di render conto della sua stranissima pastorale indigena. Per chi non lo sapesse, costui è l’ispiratore, o meglio l’ideologo, si fa per dire, della messa (di nuovo non riusciamo a scriverlo con la lettera maiuscola) celebrata il 12 ottobre 2019 nella chiesa romana di Santa Maria in Transpontina, intitolata missa da terra sem males, i cui testi sono una acritica apologia del Buon Selvaggio e, nello stesso tempo, un’implacabile, rovente requisitoria contro i cristiani, colpevoli d’infinite malvagità a danno dei popoli indigeni, a quanto pare compresa quella di aver voluto evangelizzarli. Alla cerimonia era presente nientemeno che un cardinale, Michael Czerny, il quale, a quanto è dato sapere, non ha mostrato alcun segno di sorpresa, né di contrarietà o d’imbarazzo. A titolo di esempio di questa "messa", riportiamo le parole che venivano cantate a nome e per conto degli indigeni: Vivevo in una nudità incontaminata, giocavo, piantavo, amavo, / generavo, nascevo, crescevo / la nudità pura della vita: al che, il coro dei "fedeli" (fedeli di chi o di che cosa?) rispondeva: E noi ti abbiamo coperto, / con abiti maliziosi. / Abbiamo violato le tue figlie. / Ti abbiamo dato come morale / la nostra ipocrisia. Sissignori, avete letto bene: queste parole sconcertanti, assurde, blasfeme, sono state cantate nel corso della liturgia della messa cattolica, mentre l’idolo della dea Pachmama, raffigurante una donna nuda e incinta (incinta di chi? forse del diavolo, secondo alcuni) troneggiava dentro la chiesa e si sostituiva al debito culto verso il Signore Iddio e alla venerazione della Vergine Santissima. C’è bisogno di altre prove per mostrare che la follia primitivista e la smania nudista sono entrate nella chiesa dalla porta principale, sotto le folate del vento satanico che da secoli alimenta le fiamme dell’odio e del disprezzo per tutto ciò che è santo e cattolico? È evidente, nelle parole di questo canto anticristiano, il rammarico di quei cattolici che odiano la chiesa e vorrebbero diventare anch’essi dei Buoni Selvaggi, spogliarsi dei fastidiosi panni della civiltà e del Vangelo e rinascere, come diceva Gauguin, a una vita nuova. Che non è quella di Cristo, redenta dal peccato, ma quella del paganesimo, dove il peccato si è dissolto…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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