Odio e razzismo? Sono quelli contro gli italiani
23 Novembre 2019
Devi conoscere il nemico che vai ad affrontare
25 Novembre 2019
Odio e razzismo? Sono quelli contro gli italiani
23 Novembre 2019
Devi conoscere il nemico che vai ad affrontare
25 Novembre 2019
Mostra tutto

Lazzati e le due anime del cattolicesimo italiano

E adesso lo vogliono proclamare santo. Servo di Dio lo era già, grazie alla potente sponsorizzazione del cardinale gesuita (ci si perdoni l’ossimoro, non è colpa nostra: i gesuiti non potrebbero esser fatti cardinali) Carlo Maria Martini; poi, il 5 luglio del 2013, senza perdere tempo, a pochi mesi dalla propria elezione al soglio pontificio, il signor Bergoglio ha consentito che fosse dichiarato venerabile. Il prossimo gradino è dunque la santità: anche se un vero cattolico, visti i patrocinatori della sua causa, qualche dubbio lo dovrebbe avere. Stiamo parlando, naturalmente, del professor Giuseppe Lazzati, rettore dell’Università Cattolica di Milano per la bellezza di cinque mandati triennali consecutivi, dal 1968, quando sostituì Ezio Franceschini, al 1983, quando passò la mano ad Adriano Bausola. Egli è stato l’alfiere, insieme al suo amico Giuseppe Dossetti, dell’ala sinistra del cattolicesimo italiano: talmente sinistra che, all’epoca della battaglia referendaria sul divorzio, si schierò apertamente a favore del "no", con l’impeccabile ragionamento che i cattolici non possono imporre a una società formata da tanti non cattolici la concezione e la pratica cattolica del matrimonio. Ragionamento che fa il paio con il modo abituale di agire del signor Bergoglio colui che ora lo vorrebbe vede innalzato alla gloria degli altri: se i fedeli chiedono una benedizione nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, lui non la dà, perché in mezzo a quelle persone potrebbe anche esserci, chi lo sa, un non credente, oppure, non si può mai dire, un islamico, o un ebreo: e dunque benedire la folla significherebbe imporre alla società moderna le credenze dei cattolici, cosa evidentemente contraria alla libertà religiosa e anche al concetto di laicità dello Stato.

Riportiamo, affinché il lettore vi faccia le sue riflessioni, una pagina del libro del giornalista Marco Damilano Il partito di Dio. La nuova galassia dei cattolici italiani (Torino, Einaudi, 2006, pp. 86-88), che rievoca l’aspro conflitto fra la "linea" di Lazzati e quella di Giussani, specchio delle eterne due anime del cattolicesimo italiano:

Un rapporto [quello fra Lazzati e Giussani] cominciato nel 1954 e subito tormentato dalle incomprensioni. Già nel 1966 Lazzati aveva scritto la prima lettera al cardinale di Milano Colombo accusando Gioventù studentesca, la creatura di Giussani che anticipa la nascita di Cl, di essersi inserita nella chiesa milanese "come una forma di vero integrismo".

Il duello Lazzati-Giussani va avanti per almeno due decenni ed è centrale in tutti i momenti decisivi per i cattolici italiani. Il referendum sul divorzio, per esempio. Lazzati dissente dai toni da crociata ed espone i suoi dubbi in una lettera a Paolo VI: "Non posso nascondere la mia viva preoccupazione che, per difendere l’indissolubilità del matrimonio, si scelgano modi che potrebbero aggravare un male che solo modi suggeriti da superiore sapienza potranno contenere". Due mesi prima del voto si chiede se i princìpi cristiani valgano ancora per la società italiana: "Pur restando intatta la contrarietà dei cattolici al divorzio, essi non possono imporre a chi non crede una legge che solamente la fede rende possibile. È questione di libertà". Per i ciellini le cose stanno all’opposto. Il matrimonio indissolubile, scrivono sui loro volantini, "non è estrinseco, occasionale, rescindibile quindi secondo il proprio arbitrio, ma costitutivo della persona umana". E si lanciano nella campagna referendaria, attaccando i cattolici del no.

Negli ultimi anni di vita del rettore lo scontro non si placa, anzi. "La gerarchia sembra prediligere certi movimenti integralisti. Comunione e liberazione, per esempio. Residui di trionfalismo do una Chiesa che si impone nella nuova cristianità perduta", dice il professore in un’intervista al "Messaggero di Sant’Antonio". Pochi mesi prima di morire. E a Giancarlo Zizola di "Panorama": "Sognano la riduzione di tutto sotto la Chiesa e una Chiesa interpretata a modo loro. Loro si definiscono la Chiesa: la Chiesa siamo noi".

L’attacco più violento, poiché coinvolge anche papa Wojtyla, arriverà tanti ani dopo, postumo. In una lunga conversazione con Giuseppe Dossetti, Piero Scoppola e Leopoldo Elia, avvenuta nel 1984 ma pubblicata dal Mulino vent’anni dopo. "Per quanto io riesco a capire, – dice Lazzati in quel colloquio, – il papa non si rende conto della situazione italiana, chiuso com’è nel modello della sua esperienza polacca, lontanissimo da quella che è la storia del nostro paese, e ritiene che quel modello possa essere riportato da noi. Non per niente appoggia quei movimenti, Comunione e liberazione e l’Opus Dei, che in fondo cercano di interpretare quel disegno. E da qui i cortocircuiti tra fede e vita politica, le famose autonomie delle realtà temporali negate per cui nella fede tutto è assorbito. E la Cei sente che questo non vale per l’Italia, ma contro il papa non ribatte".

Nel nome di Lazzati le due anime del mondo cattolico affrontano lo scontro più duro, due anni dopo la morte del rettore della Cattolica, nel 1988. Il pretesto per la resa dei conti è dato dalla pubblicazione sul "Sabato" di una serie di articoli firmati da Antonio Socci e Roberto Fontolan sul mondo cattolico italiano, intitolati "Tredici anni della nostra storia", dal 1974 al 1987. Lazzati viene accusato senza mezzi termini di essere uno dei responsabili della scristianizzazione in Italia. E di aver tinto il cattolicesimo italiano di venature protestanti.

Parole che scatenano una bufera. Reagisce una piccola ma agguerrita associazione di cattolici democratici, la Rosa bianca, nata da gruppi giovanili della Lega democratica di Scoppola, Guerrieri e Ardigò, che avevano tentato negli anni precedenti la carta del rinnovamento della Dc La Rosa bianca tira in ballo la Curia di Milano, chiede a Martini se le accuse a Lazzati corrispondono a verità. Non è l’Inquisizione, né una richiesta di censura, anche se l’arma utilizzata, l’intervento di un tribunale ecclesiastico, non è la migliore. Ma serve ad accendere la luce e il caso Cl-Lazzati tiene banco per settimane. Con toni molto aspri, da una parte e dall’altra. "Nei censori non c’è neppure l’ombra di un opposto ragionamento, – scrive Del Noce, – Sono ragazzi che fanno un giornale per ragazzi. Il ‘Sabato’ accusando la linea di protestantesimo dovrebbe essere coerente fino in fondo coinvolgendo nell’accusa anche Paolo VI, ma non ha il coraggio di farlo", replica padre Sorge.

Solo la Cei non interviene. Il nuovo segretario dei vescovi monsignor Ruini fa sapere che l’organismo ecclesiale non ha nessuna intenzione di schierarsi. Nella Cei avevano seguito con irritazione lo spettacolo di cattolici che si attaccavano tutti i giorni dalle pagine dei giornali, offrendo certo un’immagine poco edificante, ma anche quella di un mondo vitale che affrontava il dibattito delle idee in prima persona, sfuggendo al controllo della gerarchia ecclesiastica.

Questo brano di prosa è interessante per due ragioni. Primo, perché conferma l’esistenza di due anime, di destra e di sinistra, nel cattolicesimo italiano, fin da prima del ’68 e da prima del Concilio: due anime che a rigore non dovrebbero esserci, perché il Vangelo è uno, e non ci sono due filosofie con cui annunciarlo, anche se certamente ciascun cattolico, inevitabilmente, lo testimonia secondo una prospettiva particolare. Ma è certo che quanto più si è fedeli al Vangelo, tanto meno si nota questa prospettiva individuale, mentre ciò che emerge è il Vangelo in se stesso, il Vangelo di Gesù Cristo e non quello di Tizio o di Caio. In questo senso, ci permettiamo di osservare che quei cattolici che vengono solitamente qualificati "di destra", o conservatori, o tradizionalisti, in realtà sono cattolici e basta; mentre i cattolici "di sinistra" sono dei cattolici ai quali il cattolicesimo, così come si è definito in duemila anni di Magistero, va stretto: sono insofferenti, irrequieti, scontenti; lo vogliono perfezionare, lo vogliono aggiornare, lo vogliono cambiare. Pure, non hanno il coraggio di dirlo apertamente, anche se tale è la loro intenzione; sanno di non poterlo fare, perché ciò equivarrebbe a una dichiarazione di apostasia; perciò conservano una certa prudenza formale, parlano di discontinuità nella continuità, e fanno ricorso ad analoghi equilibrismi verbali per celare la loro vere intenzioni. Il grande modello è il discorso di apertura del Concilio da parte di Giovanni XXIII: un discorso abile, nel quale egli disse che il Vangelo è quello e non si tocca; varia però, nel corso del tempo, e deve variare, il modo di annunciarlo, perché agli uomini moderni non lo si può annunciare come si face a duemila anni fa. Abbiamo sintetizzato e soprattutto abbiamo esplicitato al massimo il senso di quel discorso; però il senso è quello, senza dubbio: e ad esso si sono ispirati sia i documenti conciliari, come Nostra aetate, Dignitatis humanae e Gaudium et spes, tutti discordanti dalla Tradizione e dal Magistero, eppure tutti formalmente difendibili come ortodossi, perché volutamente giocati sul filo d’una sottile ambiguità; e da esso si è ispirata tutta la pastorale, tutta la liturgia e anche la dottrina dei decenni successivi, in uno slittamento graduale, ma inarrestabile verso il protestantesimo, il modernismo e l’indifferentismo religioso spacciato per ecumenismo e per dialogo interreligioso. Ebbene Lazzati era chiaramente schierato sul versante dei novatores, ossia di quelli cui il Vangelo non va bene così com’è, il Magistero e la chiesa non vanno bene così come sono (anzi, com’erano fino a qualche decennio fa): egli era una delle teste forti della corrente di sinistra al quale erano francamente antipatici quelli dell’altra corrente: gli integristi, come li chiamava lui. E fin qui, tutto normale, si fa per dire. Quel che è meno normale è che questo lodatissimo personaggio avesse l’abitudine di ricorrere continuamente all’autorità superiore per segnare il punto contro i suoi avversari: lo fece prima con l’arcivescovo (massone) di Milano, poi addirittura rivolgendosi al papa (massone) Paolo VI, sempre spalleggiato e sostenuto dalla setta dei gesuiti (impossibile chiamarli diversamente), ad esempio da quel padre Sorge che anche ora, ai tempi di Bergoglio, si segnala per essere uno dei più convinti fautori della rivoluzione modernista, e che già allora metteva il dito sulla piaga dicendo che chi criticava Lazzati avrebbe dovuto prendrsela con Paolo VI: ed è una cosa assai più vera di quel che lui stesso non pensasse. Ma questa è la prassi dei cattolici di sinistra: invocano sempre la libertà per tutti, ma non esitano a ricorrere all’autorità superiore per ridurre al silenzio i cattolici "tradizionalisti". Gli Spadaro, i Kasper, i Bianchi, i Zuppi hanno sempre la misericordia e il dialogo sulla bocca: ma qualcuno li ha sentiti spendere una parola per chiedere, se non giustizia, almeno trasparenza sulla repressione attuata ai danni dei Francescani dell’Immacolata? Qualcuno li ha sentiti domandare in che cosa don Minutella si sia allontanato dalla retta dottrina, al punto da meritare la scomunica?

La seconda ragione d’interesse di questa pagina è vedere come i giornalisti progressisti raccontano la storia delle due anime del cattolicesimo. Marco Damilano non è un giornalista qualsiasi; è il direttore de L’Espresso, che fa parte dello stesso gruppo di Repubblica e si pone, pertanto, alla testa della stampa progressista, apertamente schierata coi cattolici di sinistra, anche se attestata su posizioni laiciste e assolutamente non cattoliche su tutti i principali temi etici e sociali, dall’aborto alle unioni gay. Non si domandi come può un intellettuale laicista che lavora per il gruppo de L’Espresso parteggiare nelle lotte interne al movimento cattolico: la logica è sempre la stessa, cioè che i nemici dei miei nemici (i veri cattolici) sono miei amici. La domanda semmai dovrebbe essere come facciano i cattolici di sinistra a non provare alcun imbarazzo a lasciarsi corteggiare in maniera smaccata dalla cultura e dall’informazione progressiste e anticattoliche: bisognerebbe chiederlo a loro, quando vanno, graditii ospiti, nei salotti televisivi di Augias, Fazio, Mieli, ecc. Ma tornando al nostro assunto, non posiamo far a meno di notare che perfino Marco Damilano trova che l’arma utilizzata da quelli della Rosa Bianca, l’intervento di un tribunale ecclesiastico, non era la migliore. Quando poi riporta la frase di Lazzati a proposito del referendum sul divorzio: Pur restando intatta la contrarietà dei cattolici al divorzio, essi non possono imporre a chi non crede una legge che solamente la fede rende possibile. È questione di libertà, si astiene dal far notare una cosa che dovrebbe essere evidente: che se un cattolico pone la "libertà", in senso laicista, al di sopra della fedeltà al Vangelo, allora quel cattolico non è più veramente tale, ma è un modernista travestito da cattolico: uno di quei "cattolici" che fanno la gioia della massoneria, perché ogni qualvolta il Vangelo entra in conflitto con la sensibilità del mondo moderno, sono loro a fare un passo indietro (ma anche dieci: vedi l’aborto, l’eutanasia, le unioni gay), per un malinteso senso di rispetto delle opinioni altrui. Ma il tempo, che è galantuomo, mostra oggi da che parte stia la retta interpretazione del Vangelo. A forza di passi indietro per non spiacere al mondo, di auto-mortificarsi per evitare incresciose discussioni, di camuffarsi e mimetizzarsi per non urtare la mentalità laicista (mimetizzarsi anche fisicamente: quanti preti vanno ancora in giro vestiti da prete, oggi?; e non diciamo con la talare, che non ci risulta sia stata abolita, ma neppure col clergyman?), quei sedicenti cattolici hanno finito per suicidarsi. Ma forse è proprio ciò che volevano: perché hanno capito che l’unico modo per eliminare tutto ciò che a loro dà noia è far sì che il cattolicesimo cessi di esistere…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.