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Il cristiano è pacifico, ma non pacifista

Qualcuno dovrebbe spiegarlo ai signori progressisti, buonisti, migrazionisti e globalisti: le religioni non sono tutte uguali, né quanto ai contenuti dottrinali né quanto alla dimensione sociale e culturale; e l’islam, in particolare, non è una religione fra le tante, compatibile con l’assetto democratico della nostra società tanto quanto qualsiasi altra, cristianesimo compreso. Possibile che quei signori non si siano mai accorti che praticamente nessun islamico si converte ad un’altra religione, mentre le conversioni dal cristianesimo all’islam sono relativamente comuni; e ciò non per una presunta superiorità intrinseca dell’islam, ma assai più semplicemente perché l’islam vieta categoricamente ai suoi fedeli di abbraciare un’altra fede religiosa e prende nei confronti di chi si macchia di apostasia i provvedimenti più rigorosi, che possono arrivare fino alla condanna a morte? E possibile che non si siano mai accorti che, nell’islam, non esiste alcuna distinzione fra reato e peccato, perché tutto ciò che è peccato dal punto di vista religioso è automaticamente un reato davanti alla legge? Basterebbe già questo per capire che l’islam non è una religione fra le altre; non è nemmeno, a rigore, una religione, o non è solo una religione, ma è, allo stesso tempo, un sistema giuridico nel quale non è prevista quella piccola, insignificante cosa che proprio per i signori progressisti, figli dell’illuminismo, è così preziosa, e che tanto caratterizza le istituzioni e la cultura dell’Occidente: la libertà di pensiero. La libertà di pensiero e islam sono incompatibili: possibile che i signori che ci governano, che detengono quasi il monopolio dei mezzi d’informazione e che tutti i santi giorni ci bombardando con le loro filastrocche a sostegno dell’immigrazione selvaggia, della cosiddetta integrazione e della cosiddetta società multietnica, non se ne siano mai resi conto? In altre parole, essi sono i fautori dell’ingresso massiccio nella nostra società di milioni di persone che non hanno alcuna voglia d’integrarsi, non perché siano cattive, ma semplicemente perché tale concetto non rientra nella loro cultura. Nella cultura islamica c’è un solo concetto chiave: che il mondo è di Allah e che tutti devono farne parte; al di fuori di esso non ci sono che gli infedeli, i quali non meritano di essere trattati come gli altri, cioè come i seguaci di Allah, anzi a rigore non hanno neanche il diritto di esistere se non, una volta instaurato il regime islamico, come cittadini di seconda classe, tenuti a pagare un balzello per farsi tollerare in posizione subordinata e costantemente minacciata di estinzione. Tale, ad esempio, è la condizione nella quale si trovano oggi i copti in Egitto: un’eroica minoranza di neppure il dieci per cento della popolazione, che è quanto rimane della popolazione cristiana di quel Paese, che nel VI secolo era totalmente cristiana e che poi, nel corso del tempo, è stata in gran parte convertita all’islam, sia con la pressione politica e militare, sia con la pressione economica, dato che convertirsi all’islam comporta automaticamente essere sollevati dalla tassa gravante sugli infedeli. Qui non si tratta, lo ripetiamo, di dare la pagella dei buoni e dei cattivi: le brave persone e le cattive, come è ovvio, si trovano presso tutti i popoli e a tutte le latitudini, dal Polo Nord al Polo Sud (anzi al Capo Horn, dato che l’Antartide è un continente disabitato). Quel che fa la differenza, all’atto pratico, oltre all’indole individuale, è l’educazione ricevuta. Ebbene: mentre nella società cristiana c’è l’idea fondamentale che si deve amare e rispettare l’altro e che si deve considerare ogni essere umano un figlio di Dio, in quella islamica — simile, in ciò, a quella ebraica — esiste l’idea che esistono due umanità ben distinte: quella dei figli di Dio e quella degli infedeli; alla prima si applica la legge morale, che comprende la compassione e la difesa dei deboli; alla seconda appartengono quelli che, essendo infedeli, non meritano alcuna indulgenza e, a rigore non sono titolari di alcun diritto (con la differenza che mentre gli ebrei, popolo eletto, non fanno alcun proselitismo, gli islamici favoriscono in ogni modo le conversioni). Pertanto è del tutto fuori strada chi pensa che gli immigrati islamici siano una minoranza come qualsiasi altra, che è possibile integrare perché condivide con noi l’orizzonte d’una pacifica convivenza: il loro obiettivo è convertire l’Europa e sostituire gli europei, non integrarsi.

E adesso veniamo alla politica seguita dopo il Concilio Vaticano II, e dopo la dichiarazione Nostra aetate, dalla chiesa cattolica, nei confronti dell’islam. Poiché è impossibile che i vertici della chiesa non sappiamo qual è la vera natura dell’islam e come esso sia incompatibile con l’idea della convivenza pacifica con le altre religioni — non si dimentichi la distruzione dei Buddha di Bamian in Afghanistan, simboli di una religione che, in quella regione geografica, è scomparsa da molti secoli e che quindi avevano un valore puramente culturale — la sola conclusione possibile è che essi, quando predicano l’accoglienza forzata e recitano tutti i giorni il mantra dei migranti islamici, come fa il signor Bergoglio, hanno deciso, per odio verso il cattolicesimo d’imboccare la strada più sicura per la sua distruzione. E se l’enormità di questo progetto è tale da far indietreggiare, istintivamente, i cattolici, pure bisogna avere il coraggio di guardar le cose come stanno e chiamarle con il loro vero nome. Bisogna chiamare traditori i capi della chiesa cattolica e bugiardo della peggiore specie il signore argentino che, perfino all’indomani dello sgozzamento di un sacerdote, in chiesa, da parte di due fanatici islamici, ripeteva che il terrorismo islamico non esiste e invitava gli islamici a entrare nelle chiese per partecipare alla santa Messa insieme ai cattolici. Così come è impossibile che quel signore e i suoi accoliti (impossibile chiamarli vescovi o cardinali) non sappiano che, per un islamico, pregare il suo Dio in un qualsiasi luogo equivale a consacrare quel luogo ad Allah, per sempre. E ciò vale anche per i falsi pastori che cedono agli islamici delle chiese o dei terreni affinché possano costruirvi le loro moschee. Se l’islam fosse una religione come un’altra, e se fosse vero che ciò che la distanza dal cristianesimo non è poi gran cosa, dato che entrambe sono religioni abramitiche (come lo è, per i fautori del dialogo interreligioso, l’ebraismo, per cui le religioni "sorelle" sarebbero addirittura tre, e i cristiani non devono permettersi di annunciare il Vangelo ai seguaci delle altre due, i quali hanno già la loro verità), allora tali scelte, ancorché altamente discutibili, avrebbero pur sempre una certa logica. Ma dal momento che l’islam non è una religione, ma un sistema giuridico totalitario che non prevede, né ammette, la libertà di pensiero e la libertà di coscienza, allora è evidente che si tratta di scelte suicide, che non possono essere percepite, da parte degli islamici se non come segnali di paura, debolezza e disponibilità a una prossima sottomissione. In altre parole, i cattolici sono stati venduti dai loro pastori, sono stati traditi dai loro rappresentanti ufficiali, e senza saperlo sono stati votati alla sottomissione a quella macchina da guerra che è l’islam, e all’estinzione finale: un po’ come, se ci è permesso il parallelismo, i cittadini europei sono stati traditi e consegnati a quella spietata macchina da guerra che è l’Unione Europea, una creazione massonica il cui unico scopo è lo sfruttamento finanziaria dei popoli e l’imposizione di leggi e codici di comportamento ispirati al laicismo, al materialismo, al relativismo e all’individualismo assoluto. Si obietterà, e con ragione, che tutto questo è assolutamente antitetico alla visione della vita e dei rapporti sociali propri dell’islam; ma a quei signori ciò non importa, per il semplice motivo che non perseguono una politica d’integrazione e di pacifica coesistenza, ma una strategia mirante al caos sistematico e permanente, perché solo nel caos possono tenere soggiogati miliardi di persone, loro che sono solo poche migliaia, e sia pure in possesso dell’alta finanza, di gran parte dei governi e dell’intero sistema delle comunicazioni mondiali.

Ciò non toglie che i cattolici, se sono disposti a bere la favola della pacifica integrazione degli islamici in Europa, sono pienamente responsabili della cecità e della somma ingenuità di una tale opinione, smentita dai fatti e che dovrebbe apparire nella sua vera luce a chiunque abbia anche solo una minima conoscenza della storia. Anche se teologi ultraprogressisti, come Hans Küng, spostengono senza batter ciglio che l’islam è una religione di pace e che è possibile, possibilissimo costruire con esso un percorso di convivenza fruttuoso per tutti; e anche se il signor Bergoglio ha firmato con il grande imam l’eretico documento di Abu Dhabi, nel quale sconfessa due millenni di Magistero e afferma che cristianesimo ed islam devono coesistere perché tale è la volontà di Dio (ma quale Dio, a questo punto?; non certo il Dio cattolico, come del resto dice lui stesso), la verità nuda e cruda è che l’islam non vuol convivere con le altre religioni e con le alte società, perché il suo scopo finale e la sua stessa ragion d’essere è la sottomissione ad Allah di tutti i popoli e di tutti gli esseri umani, con le buone o con le cattive. Che vadano a spiegarlo ai cristiani della Siria, dell’Iraq, del Sudan o della Nigeria, i Küng e i Bergoglio, che l’islam è una religione di pace; lo vadano a dire a loro che il terrorismo islamico non esiste. Lo vadano a dire e a spiegare a quei milioni di cristiani che in tutto il mondo islamico, dall’Africa al Pakistan e all’Indonesia, vivono sotto la spada di Damocle delle persecuzioni, degli attentati, delle discriminazioni quotidiane, o che sono costretti a fuggire in massa per salvarsi la vota, o che rischiano il martirio ogni volta che si recano in chiesa per celebrare la santa Messa. Perché non lo fanno? Perché non ascoltano i vescovi siriani, i sacerdoti pakistani? Perché non recepiscono le loro invocazioni d’aiuto, le loro grida di dolore e d’allarme? Per la stessa ragione per cui, mezzo secolo fa, e precisamente a partire dal Concilio, decisero di chiudere gli orecchi alle grida di dolore e alle invocazioni d’aiuto dei cattolici perseguitati nei Paesi d’Oltrecortina: in nome della Realpolitik e del dialogo col comunismo, che pareva destinato a vincere la partita anche in Occidente, la chiesa di Giovanni XXIII e di Paolo VI fece finta che il problema non esistesse; si rifiutò di rinnovare la scomunica di Pio XII contro il comunismo; mise il silenziatore e calò una cortina di oblio sulle drammatiche vicende di Mindszenty e di Stepinac; pretese anzi che vi fossero molte cose in comune fra i comunisti e i cattolici, e che si potesse lavorare insieme ad un mondo di fratellanza e di pace. A ciò contribuirono alquanto i numerosi preti e vescovi simpatizzanti del comunismo, così come ora i preti e i vescovi simpatizzanti dell’islam censurano le grida d’aiuto e le parole di allarme che vengono dalla Siria, dal Pakistan e da molti Paesi africani. Perfino il cardiale Sarah, un nero della Guinea, è censurato dai cattolici progressisti, perché mette in guardia l’Europa contro la follia dell’immigrazione selvaggia e dell’accoglienza indiscriminata. Di fatto, è avvenuto questo: che quando il comunismo è tramontato, i cattolici il cui cuore batteva a sinistra, quelli usciti dalla scuola di Dossetti e Lazzati, hanno trasferito le loro simpatie prima sul pacifismo, poi sull’islam, e sempre per la stessa ragione: una istintiva, profonda avversione per le proprie radici, per la propria identità, per il loro esser cattolici. Bisognava farsi perdonare, davanti al mondo, la "colpa" di esser cattolici, bisognava lavare le macchie del passato, le crociate, il processo a Galilei, ecc.; insomma bisognava recuperare, come amava dire il cardinale gesuita e massone Carlo Maria Martini, i due secoli di ritardo che la chiesa aveva accumulato rispetto al mondo moderno.

I cattolici, fino al Concilio, hanno sempre saputo che l’islam non è una religione di pace e che i cristiano non possono convivere con esso. Poi è arrivato Giovanni XXIII, sono stati censurati i "profeti di sventura" e si è imposto il buonismo assoluto come nuova interpretazione del Vangelo. Ora, il buonismo fa rima col pacifismo: complice il clima degli anni ’60 e la guerra del Vietnam (condannata dal cardinale Ottaviani e naturalmente da don Milani, per non parlare del sindaco cattolico La Pira che volava nel Vietnam del Nord sostituendosi alla diplomazia italiana), nonché la paura di una guerra atomica, i cattolici progressisti hanno abbracciato la causa pacifista, senza se e senza ma. Così facendo, però, hanno peccato contro il buon senso e hanno tradito il Vangelo. Il Vangelo non è la fede dei buonisti: Cristo era buono, non buonista. E se ha detto di porgere all’offensore l’altra guancia, ha anche detto di esser venuto a portare una spada, e a mettere il figlio contro il padre e il padre contro il figlio. Egli è morto sulla Croce perché il suo sacrificio era necessario e non perché non fosse capace di difendersi; né pretende che i suoi seguaci restino inerti a guardare mentre il male colpisce gli innocenti. Il cristiano sa perdonare, ma non è uno spirito imbelle; sa che la violenza, se difensiva, è giustificata; sa che le guerre di difesa sono legittime. Questo hanno sempre insegnato i padri della chiesa e tutti i grandi teologi; e questo hanno praticato anche molti santi. Il beato Marco d’Aviano girava per l’Europa onde raccogliere i mezzi affinché gli europei si decidessero a difendersi dall’aggressione islamica; se non fosse stato per il suo strenuo impegno, probabilmente Vienna nel 1683 sarebbe caduta, come già era caduta Costantinopoli nel 1453, e oggi l’Europa sarebbe islamica da tre secoli. Ma ciò che gli islamici non sono riusciti a fare con la spada, ora lo stanno facendo senza colpo ferire, semplicemente facendosi accogliere come immigrati e mettendo al mondo molti più figli di quanti ne facciano gli europei. L’Europa del resto non è più cristiana: è divenuta massonica e odia profondamente il cristianesimo. Si spiega così la convergenza strategica fra la massoneria, padrona dell’UE, e l’islam, che sta invadendo l’Europa senza combattere; anche se è da vedere come le due forze potranno coesistere. Ma voi, cari cattolici, svegliatevi finché c’è tempo: la vostra debolezza sta mettendo in pericolo il futuro dei vostri figli…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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