1940: fu il blocco inglese a spingere l’Italia in guerra
15 Novembre 2019Pastori infedeli, convertitevi!
17 Novembre 2019Non occorre andare tanto lontano per trovare la sorgente dell’eresia e dell’apostasia della chiesa attuale, culminate nella scandalosa celebrazione del culto di Pachamama fin dentro la basilica di San Pietro, con la piena approvazione e la partecipazione attiva di colui che si dice papa e che ha spinto la sua impudenza fino a domandare scusa, non ai cattolici per la gravissima idolatria e blasfemia che sono state consumate, ma per il gesto di chi, reagendo ad esse, aveva sottratto e gettato nel Tevere gli idoli dei demoni pagani. Infatti, se le radici remote dell’eresia e dell’apostasia affondano molto indietro nel tempo, e si riallacciano ad antichissime eresie, che si credevano debellate ed estirpate ormai da secoli, le radici più prossime non hanno che mezzo secolo di vita e sono perfettamente visibili, alla luce del sole, nell’opera nefasta del tanto, troppo celebrato Concilio Vaticano II. In particolare, le possiamo riconoscere in quello che è forse il più significativo e il più funesto dei documenti conciliari: quella costituzione pastorale dal nome mellifluo di Gaudium et Spes, promulgata da Paolo VI proprio nell’ultimo giorno, il 7 dicembre 1965 (con il voto contrario di oltre duecentocinquanta padri), piena in realtà di sottile veleno modernista; un veleno che lentamente ma inesorabilmente ha contaminato e intossicato tutta la pianta della chiesa e che, negli ultimi anni, è riuscito a fuorviarla del tutto, mettendo l’intera azione da essa svolta su un terreno falso, in una falsa prospettiva, e in definitiva portandola fuori da se stesa, dai suoi fini, dalla sua natura. Ma perché non sembri che stiamo parlando per partito preso, ideologicamente e senza argomentare, facciamo pure riferimento ad alcuni passi precisi di quel documento, e così poter risalire all’idea di fondo che lo ha sciaguratamente ispirato.
La Gaudium et spes (Gioia e speranza) è il documento più significativo del Concilio sia per il tema, il rapporto fra la chiesa e il mondo contemporaneo, sia per il modo di ragionare e il giudizio complessivo che esso dà sulla realtà mondana, nella quale vede, non si sa perché, e in contrasto con tutta la tradizione patristica e teologica, una quantità di segni e fermenti positivi, grazie ai quali è possibile innestare con più efficacia e con maggiore concretezza l’annuncio del Cristo, definito alfa e omega: espressione che ricorda spiacevolmente le eresie di padre Teilhard de Chardin, anche se il suo riferimento scritturistico è in Apocalisse, 22, 12-13. Concentriamo la nostra attenzione sulla parte più eloquente e la più suscettibile di sviluppi ereticali, ossia il quarto capitolo della prima pare, intitolato appunto La missione della chiesa nel mondo contemporaneo. Siamo, dunque, sul terreno della pastorale e non della dottrina; eppure, come del resto è tipico di tutti gli altri documenti conciliari, la pastorale, abilmente manipolata, finisce per diventare essa stessa uno strumento per piegare la dottrina, impercettibilmente ma chiaramente e intenzionalmente, verso un’interpretazione che altera in maniera significativa il Depositum fidei. Prima di passare al capitolo summenzionato, però, è necessario ricordare quale sia l’errore di partenza del documento: il fatto di rivolgersi non solo ai cristiani, ma a tutti gli uomini, unificando, per così dire, la prospettiva dei cattolici e quella dei non cattolici, il tutto sulla base di una "dignità della persona umana" che non è di matrice evangelica, come si vuol far credere, bensì massonica. Nel proemio, infatti (§ 1) si dice che: Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. Ma questo è falso. Le gioie e le speranze dei cristiani, anzi, la Speranza dei cattolici, che è una virtù teologale divinamente ispirata, e non un mero sentimento umano, non sono affatto le stesse degli uomini che rifiutano Cristo: la loro prospettiva è radicalmente diversa, per non dire opposta. Ciò che è motivo di speranza per il cattolico, è motivo di orrore per il mondo che odia Cristo; e viceversa, ciò che piace al mondo non può ch spiacere a Cristo. E dunque l’idea centrale, espressa già nel titolo del Proemio, Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana, è falsa e fuorviante.
Nel § 2 (A chi si rivolge il concilio) si afferma che il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini. Un concilio, però, è l’assemblea dei vescovi della chiesa cattolica: essi devono rivolgersi ai membri della chiesa, per rafforzarli e confortarli nella vera fede; a chi non ne fa parte, si rivolgono affinché si converta, e non per altro. Non esiste una via di mezzo, un compromesso possibile fra il Vangelo e il mondo: o la chiesa annuncia il Vangelo al mondo, oppure sarà il mondo ad annunciare se stesso alla chiesa, ossia a far penetrare in essa ai suoi modi di sentire, di pensare, di vivere: i quali, nel corso della modernità, sono divenuti radicalmente anticristiani. Poi, a bomba (§ 3), il ribaltamento teologico e dottrinale: non più Dio al centro della vita cristiana, ma l’uomo: siamo in pieno antropocentrismo, ossia in pieno modernismo: È l’uomo dunque, l’uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l’uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione. E non basta: dopo aver messo Dio sullo sfondo, tributandogli un omaggio meramente formale, e aver messo l’uomo al suo posto (cosa che diverrà visibile e tangibile con la riforma liturgica e la sostituzione dei vecchi altari con i nuovi, rivolti non più al Santissimo, ma all’assemblea dei fedeli), la contraffazione del Vangelo: la dove si dice (sempre al § 3) che la chiesa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito. Certo, è una mistificazione molto abile: le frasi citate sono realmente tratte dai Vangeli; c’è solo un dettaglio che non torna: il silenzio sul passo più importante di tutti, con il quale Gesù in Persona dichiara (Gv., 3, 17-18): Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. È un esempio di mistificazione da manuale: si cita la prima metà del discorso di Gesù Cristo, si tace la seconda, che ne completa il senso: omettendo quell’ultima parte, si stravolge completamente il significato complessivo. Il che è blasfemo e riflette una sottile malizia estremamente abile nel dissimulare le proprie vere intenzioni; di un’abilità satanica. E ancora (§ 4): Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico. Ennesima, calcolata ambiguità (com’erano chiari, al confronto, tutti i documenti di tutti i precedenti concili, per non parlare del Magistero ordinario e straordinario di tutti i pontefici fino a Pio XII): si dice che è necessario conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico; ma quel che s’intende veramente è che bisogna adottare quel punto di vista, fare proprie quelle attese e quelle aspirazione. Però si tace pudicamente il fatto che quelle attese e quelle aspirazioni sono radicalmente incompatibili col Vangelo; si fa finta di non vedere, di non sapere, che ciò che piace al mondo moderno è abominio agli occhi di Dio, e che per piacere a Dio, e dunque anche per annunciarlo, non solo non si deve scendere ad accomodamenti col mondo, ma bisogna riprenderlo e richiamarlo con la massima energia, proprio come lo ordinò Dio a Giona quando lo mandò a predicare la conversione e la penitenza agli abitanti di Ninive, minacciando la distruzione della loro città se non si fossero ravveduti; e come Dio lo chiese a tutti gli altri profeti, fino a Giovanni il Battista e allo stesso Gesù Cristo, venuto nel mondo non per cercare un dialogo col mondo, ma per fare la Volontà del Padre, ossia per annunciare senza timidezze la necessità della conversione. Ma dove mai si parla di conversione, in questo documento? Al contrario: si dà l’impressione che siano i cattolici a doversi, se non proprio convertire, in larga misura uniformare agli stili di vita e ai modi di pensare del mondo.
Quando pi il documento viene a delineare l’immagine dell’uomo contemporaneo, ammette sì, quasi pro forma, che egli è peccatore, ma poi si affretta a precisare che vi è una grande dignità nella sua intelligenza, verità e saggezza (§ 15); nella sua coscienza morale (§ 16), nella sua libertà (§ 17); e da tutto questo elenco di dignità umane si ricava poi, arbitrariamente, il concetto della dignità della persona umana tout-court (§ 40): Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra loro. Di nuovo il concetto di dialogo viene introdotto surrettiziamente: Gesù, infatti, come vede chiunque legga il Vangelo anche superficialmente, non è venuto affatto per dialogare con il mondo, ma per annunciare il Vangelo e chiamare gli uomini alla conversione, senza "se"" e "senza "ma". E subito dopo si dice (idem): In questo capitolo, pertanto, presupponendo tutto ciò che il Concilio ha già insegnato circa il mistero della Chiesa, si viene a prendere in considerazione la medesima Chiesa in quanto si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce. Parole melliflue, concetti che scivolano nella mente con la dolcezza dello zucchero; ma proviamo a domandarci: la chiesa si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce? Quando mai! Il cristiano – il concetto un tempo era chiarissimo, veniva insegnato già ai bambini del catechismo – si trova nel mondo ma non appartiene al mondo, anzi, è radicalmente diverso dal mondo. Il trucco sta nell’espressione vivere e agire insieme col mondo. Insieme? Se si intende che la chiesa, materialmente parlando, è posta nel mondo, allora l’avverbio da usare non deve essere "insieme", bensì "nel"; ma se si vuol suggerire che la chiesa deve vivere come vive il mondo, cioè alla maniera di chi non crede in Cristo e di chi rifiuta Cristo, allora siamo in piena apostasia. Come si vede benissimo oggi, con tutti questi vescovi e preti che si autodefiniscono "di strada", rappresentanti di una chiesa "in uscita", una chiesa "dei poveri e degli ultimi" che si è scordata di annunciare Gesù Cristo; che non sa neanche più dire "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo"; che si rifiuta di benedire i fedeli nel segno della santa Croce, per non urtare la sensibilità del mondo; che parla solo di cose terrene, politiche, sociali, ambientali, perfino climatiche e intanto sta zitta sull’aborto, l’eutanasia, le unioni omosessuali, peccati gravissimi che gridano vendetta davanti a Dio.
E ancora (§ 40): Inoltre la Chiesa cattolica volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito, han dato e danno, cooperando insieme, le altre Chiese o comunità ecclesiali. Al tempo stesso essa è persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l’attività dei singoli o delle società che lo compongono. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo scambio ed aiuto, nei campi che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo, vengono qui esposti alcuni principi generali. Le altre chiese? Le altre comunità ecclesiali? Vale a dire le sette eretiche e scismatiche, o addirittura le false religioni? È con queste realtà del mondo che la chiesa cattolica si propone di "preparare le vie al Vangelo"? Purtroppo sì: e infatti abbiamo visto, in questi ultimi tempi, ove conduce una siffatta pastorale: al documento di Abu Dhabi, cioè all’esplicito riconoscimento dell’indifferentismo religioso; ma l’indifferentismo è sempre stato condannato dal Magistero, specialmente da Pio IX e san Pio X; dunque, siamo di nuovo alla piena e manifesta apostasia. E ancora (§ 44): Come è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall’evoluzione del genere umano. L’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa. Come si vede, le eresie e l’apostasia del signor Bergoglio sono già presenti, in nuce, nella Gaudium et spes: da un lato, la chiesa vuol farsi riconoscere dal mondo non tanto per l’annuncio del Vangelo, bensì come agenzia sociale; dall’altro, essa vuol promuovere il progresso umano facendo appello anche alle espressioni non cristiane (e anticristiane) dell’evoluzione storica: e basterebbe questo concetto per diffondere un tal puzzo di massoneria, che avrebbe dovuto svegliare anche i dormienti. La conclusione è sconcertante (§ 45): La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità. Ma quale salvezza sarà mai, se viene dalla collaborazione fra chiesa e mondo? Non certo quella dell’anima: perché dal mondo non viene la vita, bensì la morte. La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie (Gv., 3,19).
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