Gioielli nascosti: la chiesa del Torresino a Padova
2 Novembre 2019Che cosa possiamo fare?
3 Novembre 2019Il vescovo, nella Chiesa cattolica, è il successore degli Apostoli; la parola greca episkopos significa supervisore, sorvegliante, e sta a indicare la sua funzione principale: quella di vigilare affinché la fede cattolica venga annunciata, trasmessa e difesa senza alcuna interferenza o alterazione, nella sua purezza assoluta. Più specificamente, gli uffici propri del vescovo, o munera, sono tre: il munus docendi, insegnare con autorità la dottrina di Gesù Cristo; il munus sanctificandi, amministrare i Sacramenti, specialmente quello dell’Ordine, consacrando i sacerdoti; e il munus regendi, governare la diocesi. È dunque evidente che un vescovo, per definizione, non può insegnare cose sbagliate, né profanare i Sacramenti amministrandoli in maniera invalida, e nemmeno disonorare la propria diocesi, governandola in modo indegno.
L’altro giorno ci è venuto in mano un piccolo libro — piccolo di formato, ma non tanto piccolo per la mole: oltre 400 pagine di testo — di Giuseppe Zaffonato, allora semplice sacerdote della diocesi di Vicenza, stampato nel 1934 e destinato all’educazione e all’elevazione spirituale dei giovani. Ci era già capitato di trovare e di leggere con profitto un volume più consiste dello stesso Autore, quasi 600 pagine in ottavo, Catechesi festiva: i Sacramenti (Cuneo, Edizioni Paoline, 1962), scritto però quasi trent’anni dopo — e che anni!, la guerra, la caduta del fascismo, la Repubblica, la ricostruzione, il miracolo economico – e di scoprire che quell’uomo colto, di libri, ne aveva scritti, in realtà, parecchi, tutti oggi dimenticati a causa del mutato indirizzo pastorale dopo il Concilio Vaticano II. Nato in una frazione di Schio, Magrè, il 29 agosto 1899, ordinato sacerdote nel 1922 per la diocesi di Vicenza, nel 1944, in un momento storico a dir poco drammatico, era stato nominato amministratore apostolico di Vittorio Veneto e poi, nel 1945, vescovo di quella sede, restandovi dieci anni; nel gennaio del 1956 era stato "promosso" arcivescovo di Udine. Ed è in quella funzione che lo abbiamo conosciuto, da bambini, quando ci ha impartito la Confermazione, che allora si chiamava semplicemente Cresima, nel 1965 (allora la si faceva poco dopo la Prima Comunione, quindi a otto o nove anni e non alle soglie dell’adolescenza, come usa oggi). È stato lui a ungerci la fronte con l’olio consacrato, pronunciando le solenni parole: Ricevi il sigillo dello Spirito Santo, che ti è dato in dono. Impossibile non ricordare l’emozione di quella giornata, l’aura di sacralità che avvolgeva ogni cosa e la luce che scendeva dai finestroni del Duomo di Santa Maria Annunziata, la cattedrale di Udine.
Quanto a noi, battezzati nel 1956, quando monsignor Zaffonato si era da poco insediato nella nostra città natale, e rimasti a Udine fino al 1971, l’anno prima che lui abbandonasse, non senza qualche polemica di troppo e, probabilmente, con intima sofferenza, la sua diocesi, per andare a chiudere l’esistenza nella sua terra vicentina, ad Arzignano, il 28 agosto 1988 (cfr. il nostro articolo: Giuseppe Zaffonato, un arcivescovo nella tempesta, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 03/04/18), è naturale che proviamo per la sua persona non solo un ricordo affettuoso, ma anche un imperioso bisogno di verità e di chiarezza. Abbiamo bisogno, più che mai, di sapere, di capire, se gl’insegnamenti cristiani ricevuti sotto la sua vigilanza, dal bravo cappellano don Giuseppe Tracanelli e dal parroco del Duomo, monsignor Riccardo Travani, erano giusti, erano veritieri, erano, soprattutto, ispirati e benedetti dal Signore Iddio, oppure no. Perché corre una distanza siderale, non solo di forma ma proprio di contenuto, fra essi, che ci sono rimasti impressi per sempre nell’anima, e quelli che oggi, sotto la guida e con l’esempio, sovente ciarliero e demagogico, di tanti vescovi, vengono pure spacciati per dottrina cattolica e per catechismo cattolico, ma dubitiamo fortemente che lo siano davvero. Oggi, che vediamo dei vescovi portare a spalla l’idolo pagano Pachamama fin dentro la massima chiesa della cattolicità; che vediamo il papa, o colui che si fa chiamare tale, assistere a riti pagani, benedire la statua suddetta, lodare Lutero, dichiarare per iscritto che Dio stesso vuole l’esistenza delle diverse religioni, affermare che Gesù si è fatto diavolo e serpente e che nelle sue vene scorreva sangue pagano, che la Via Crucis è la storia del fallimento di Dio, che la Vergine Santissima si sentì beffata e tradita quando suo Figlio venne messo in croce, e si vedono vescovi e cardinali unirsi a tali affermazioni e moltiplicare simili insegnamenti; mentre non passa giorno senza che dal Vaticano giunga l’eco dolorosa di un nuovo scandalo, sia finanziario, sia, soprattutto, morale, con le stesse Guardie Svizzere che, secondo le rivelazioni di un giornale svizzero tedesco, sono continuamente fatte oggetto di molestie sessuali da parte di prelati sodomiti, soliti consumare orge vergognose a base di droga e sesso gay, mentre sedicenti teologi e sacerdoti sfrontati arrivano a magnificare la sodomia e ad insegnare che non c’è nulla di male e niente che spiaccia a Dio nel fatto di essere cristiani, e perfino sacerdoti, e nello stesso tempo sodomiti attivi e impenitenti, al punto da invocare un Sacramento per legittimare le loro unioni: oggi che accadono tutte queste cose ci è più che mai necessario sapere se quanto ci è stato trasmesso nell’infanzia da uomini consacrati come monsignor Giuseppe Zaffonato, era giusto, era veritiero, e soprattutto se era ispirato e benedetto dallo Spirito Santo.
Per questo, per toglierci questo dubbio, per sciogliere questo assillo, siamo andati a leggere il volume che monsignor Zaffonato, quando era ancora un semplice presbitero, scrisse per la formazione e l’edificazione morale dei bambini, e vi abbiamo trovato affermazioni come queste (da: G. Zaffonato, Vieni e seguimi, Vicenza, Tipografia Commerciale, 1934, pp. 28-32):
La mia vita non deve avere lo stretto orizzonte della natura, ma un significato più alto, perché essa è e deve essere la vita del Cristo in me, la continuazione della vita di Gesù. Ma come arrivare a questa trasformazione e sublimazione senza la rinuncia di me stesso? (…)
La vita cristiana è una lotta, lotta penosa che con peripezie diverse, non termina che alla morte; lotta di importanza capitale, perché la posta ne è la vita eterna.
Come insegna S. Paolo ci sono in noi due uomini: l’uomo RIGENERATO, l’uomo NUOVO con tendenze nobili, soprannaturali, prodotte in noi dallo Spirito Santo per i meriti di Gesù: tendenze a cui sotto l’influsso della grazia siamo obbligati a corrispondere; e l’uomo NATURALE, il VECCHIO uomo, con le tendenze malvagie che il Battesimo non ha estirpate dall’anima. È la triplice concupiscenza che riceviamo nella nascita e che il demonio e il mondo stuzzicano e rinforzano, tendenza abituale che ci porta all’amore disordinato dei piaceri sensuali, della nostra eccellenza e dei beni della terra. Questi due uomini vengono fatalmente a conflitto: l’uomo vecchio desidera e cerca il piacere sena curarsi ella sua moralità; l’uomo nuovo gli rammenta che vi sono piaceri proibiti e pericolosi cui bisogna rinunciare: di qui il conflitto. Mi devo spaventare di questa lotta? Perché sarei cristiano, e tuo soldato, o mio divino Re?… Il vero cristiano, cioè il discepolo che rinuncia a sé per vivere di Te, è come il torrente che, spumeggiante, irresistibile, si apre la via tra le rocce; non si arresta alle difficoltà, ma prosegue sino alla meta… (…)
"Bisogna operare contro" scrive S. Ignazio. "Signore, io sono per Te contro di me" protesta Fénelon "Oh! lasciarsi morire a se stesso, per giungere sino a Te a qualunque costo, Signore", esclama S. Agostino. Il cristiano è dunque un atleta, un soldato, che lotta per una corona immortale fino alla morte. Questa lotta dura quanto la vita, perché, nonostante i nostri sforzi, non possiamo liberarci completamente dall’uomo vecchio. Non possiamo che indebolirlo, incatenarlo e fortificare nello stesso tempo l’uomo nuovo contro gli assalti del vecchio.
Da principio quindi la lotta è più viva, più accanita e i contrattacchi del nemico più numerosi e più violenti. Ma a mano a mano che, con sforzi energici e costanti riportiamo vittoria, il nostro nemico si indebolisce, le passioni si calmano, e salvo certi momenti di prova voluti da Dio per elevarci a più alta perfezione godiamo di una calma relativa, presagio della definitiva vittoria. Il buon esito lo dobbiamo alla tua grazia, o Gesù. Non dobbiamo però dimenticare che le grazie che ci concedi sono grazie di combattimento, non di riposo. Al padre Ravignac, il santo ed illustre oratore francese del secolo scorso, fu chiesto come avesse fatti ad acquistare la perfezione"All’età di 20 anni, rispose, m’accorsi che eravamo in due a comandare entro di me: io e Dio. Allora pigliai il mio io e lo buttai dalla finestra: così rimase in me soltanto Iddio". Com’è vero che dovrei anch’io imitare il suo esempio! Decidermi ad una lotta spietata, costante e sapiente contro l’uomo vecchio, perché viva e regni il nuovo! Ci penso? Chiedo almeno la grazia d’essere illuminato e fortificato?… Perché non riesco a sopraffare l’uomo vecchio?… Perché i magnifici ideali di virtù, di purezza e di santità che mi avvincono con la loro bellezza, non avranno la potenza di sollevarmi in alto, nella vittoriosa definitiva sul male, su ogni male?… Perché non incomincio subito lo sforzo per questa ascesa spirituale?…
Ascesa spirituale? Non è questo che si legge nell’esortazione Amoris laetitia; e non è questo che si ode nelle chiese, durante le omelie di tanti vescovi e sacerdoti. Quel che si ode, piuttosto, è la confessione dell’umana debolezza, che tuttavia non vuole riconoscersi tale, ma pretende un metro di misura più largo, più disinvolto, perché dopotutto a ben guardare molti peccati non sono veramente tali, ma solo "fragilità", e la chiesa, prima di sanzionarli, dovrebbe agire con "discernimento": Dio si contenta anche di quanti non realizzano pienamente la sua Volontà. Si contenta e perdona; si contenta e lascia fare. Non solo si può reiterare il peccato, dato che nessuno parla più del proponimento di non più ricadervi dopo essersi riconciliati con Dio; ma addirittura si dice, come fanno i padri del sinodo per l’Amazzonia, che l’Eucaristia non è il Sacramento dei perfetti ma, evidentemente, degli imperfetti, il che autorizza i divorziati risposati a fare la Comunione, cioè ad assumere il Corpo di Cristo pur essendo in peccato mortale. Strano! Non è questo che ci hanno insegnato i preti e i catechisti, a noi che abbiamo fatto in tempo a vedere, sia pur di sfuggita, la Chiesa di prima del Concilio. A noi hanno insegnato a leggere e meditare il Vangelo, senza nulla aggiungere, né togliere. E lì leggiamo che Gesù dice: Se il tuo occhio ti è di scandalo, strappatelo; e ancora: Siate dunque perfetti, com’è perfetto il Padre vostro celeste.
E poi: guerra a oltranza, spietata, contro se stessi? Il demonio e il mondo che stuzzicano la nostra concupiscenza? Ma se il demonio non esiste, come dice Sosa Abascal, generale dei gesuiti; e se col mondo bisogna dialogare, bisogna aprirsi, bisogna includerlo, evitando di dare ascolto ai profeti di sventura! Più in generale, in tutto il libro di Giuseppe Zaffonato si coglie l’idea centrale che la vita del cristiano è un cammino di perfezionamento; che le passioni devono essere dominate, se si vuol piacere a Dio; che non tutti gli istinti sono buoni e non tutti devono essere assecondati; che, per seguire degnamente Gesù, bisogna lavorare incessantemente su se stessi e morire al proprio egoismo; che bisogna abituarsi a combattere contro le tentazioni e a rimuovere le proprie cattive abitudini; che ciascuno ha il dovere di sviluppare al massimo sia le virtù naturali che quelle soprannaturali, ricevute mediante i Sacramenti; e che la fede va difesa e protetta strenuamente, impegnandosi fortemente e tuttavia non facendo affidamento solo sulle proprie forze, ma sull’aiuto della grazia divina. Insomma, l’idea centrale che emerge dal libro è che la cosa più preziosa, più bella e, in fondo, la sola che conta, è uniformarsi al cento per cento alla volontà di Dio, prendendo Gesù Cristo quale modello unico e insuperabile, e che la vita è bene spesa quando è vissuta nella ricerca della purezza ed è protesa verso le alte vette della spiritualità, male, invece, quando si appaga delle cose di quaggiù e quando indulge ad inseguire soddisfazioni e piaceri legati alla dimensione egoistica e materiale. Ma, di nuovo, non è questa la pedagogia cattolica di oggi, non è questa la pastorale che viene sbandierata dai fautori della rivoluzione conciliare, la quale, secondo loro, non è stata interamene attuata e quindi deve essere spinta sempre più innanzi. Oggi teologi e sacerdoti, per non parlare dei vescovi, non parlano più di superare le passioni, di dominare gli istinti, di combattere le tentazioni; non parlano quasi più del peccato, né prospettano la bellezza di una vita pura, spesa nella ricerca del bene e nel conformarsi al volere di Dio; parlano molto, invece, di diritti, solidarietà sociale, inclusione, immigrazione, rispetto dell’ambiente, pericoli per la biodiversità, smaltimento dei rifiuti di plastica; parlano della madre terra, delle culture indigene che vanno recepite e integralmente rispettate; delle altre confessioni e religioni che hanno tutte qualcosa di vero e di buono; della necessità, anzi, del dovere di accettarle incondizionatamente, rinunciando a qualsiasi idea di proselitismo, a qualunque sforzo di convertire. Tanto è vero che il vescovo Erwin Kräutler, regista neanche occulto dell’eretico e idolatrico sinodo per l’Amazzonia s’è vantato di non aver mai battezzato un solo indigeno. E allora i casi sono due: o stiamo sbagliando noi, e prima di noi quelli che a suo tempo c’introdussero alla grazia della fede; o sono fuori della Verità costoro…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI