Ecco perché bisogna esser pronti a lottare
28 Ottobre 2019
Per vivere bene adesso nulla di ieri si deve perdere
1 Novembre 2019
Ecco perché bisogna esser pronti a lottare
28 Ottobre 2019
Per vivere bene adesso nulla di ieri si deve perdere
1 Novembre 2019
Mostra tutto

Non aver riposte per niente è mettere in dubbio tutto

Il dramma dell’uomo moderno è essenzialmente quello di vivere in una società che non ha più le risposte per le domande che continuamente egli tenderebbe a formulare, stimolato ad un ritmo frenetico dagli incessanti cambiamenti economici, sociali, politici e culturali. I celebratori della modernità, senza dubbio, vedono in questa attitudine — il porre continuamente domande alle quali non si sa dare una risposta — un segno di vitalità e di progresso, perché, essi dicono, è solo in questo modo che avanzano le conoscenze, si ampliano gli orizzonti e si sviluppa la scienza. In fondo, il punto centrale di contrasto fra la scienza moderna e quella classica si colloca proprio qui: nel fatto che la scienza moderna accusava la scienza classica di non saper dare risposte al di fuori dell’ambito di ciò che era già conosciuto, e sia pure in forma implicita. Questa era, secondo i campioni della scienza galileiana, la pecca fondamentale della scienza aristotelica: il fatto che girava su se stessa producendo parole, ma non facendo avanzare davvero il sapere. Non è questa la sede per discutere se tale accusa fosse risponde al vero; ci basta aver evidenziato che essa era ritenuta giusta da quelli che la formulavano, e ciò diede un carattere rivoluzionario alla scienza moderna: in questo senso, e soprattutto in questo senso, è corretto parlare di un Rivoluzione scientifica all’alba del XVII secolo.

Sta di fatto, però, che moltiplicare le domande prive di risposta, per quanto si abbia la speranza di poterla trovare in un secondo momento, finisce per saturare l’orizzonte concettuale e mandare in blocco l’attività intellettuale. Non è affatto un caso che l’irrazionalismo sia parte così caratteristica dell’evoluzione intellettuale della modernità: è la naturale reazione di quanti restano sgomenti di fronte alla mole enorme di questioni e problemi sollevati, ai quali non si sa dare, per ora, alcuna risposta, cosa che provoca angoscia e smarrimento negli animi più sensibili. Non tutti hanno il sangue freddo per assistere impassibili all’aprirsi di sempre nuove falle nello scafo della nave su cui ci si è imbarcati; non tutti conservano calma e serenità grazie al pensiero che, prima o dopo, ogni falla verrà colmata, e la nave proseguirà felice e imperturbabile la sua crociera. Fra l’altro, a lungo andare, la cultura del dubbio sistematico e dell’interrogativo perenne in cui si è immersi ha creato una particolare forma mentis nell’uomo moderno, proprio a partire dall’intellettuale: quella dello scettico professionale. Costui si è talmente indurito e corazzato di fronte alla marea delle domande senza risposta che ha finito per introiettare l’idea che la persona intelligente non cerca nemmeno più risposte, ma solo altre domande, e che una cultura degna della libertà non perde tempo a cercar di risolvere dubbi e interrogativi, anche perché non si fida di alcuna risposta, avendo sperimentato che, in un mondo soggetto a mutamenti rapidi e incessanti, anche le risposte si usurano velocemente e diventano obsolete, inadeguate, perfino ridicole. Il mondo moderno è letteralmente disseminato delle macerie di vecchie risposte che hanno fatto il loro tempo e sono state lasciare indietro, quasi come reperti di archeologia industriale ai margini della città che cresce, formando un elemento caratteristico del paesaggio intellettuale entro il quale ci muoviamo e, nello stesso tempo, un monito a tutti affinché gli uomini sensati la smettano di correr dietro la chimera delle risposte, e a ciò che le genera, ossia l’idea della verità, per limitarsi a sollevare interrogativi e abituarsi a vivere con essi, sia pure su una superficie sempre mutevole e imprevedibile, con la stessa disinvoltura con cui il surfista pare che si trovi perfettamente a suo agio mentre solca la cresta delle onde gigantesche, con l’acqua che schiuma e ribolle tutto intorno a lui, senza strappargli, almeno in apparenza, neanche il più piccolo segno d’inquietudine, disagio o paura. E come il becchino si abitua all’idea della morte per il fatto di lavorare sempre coi cadaveri, e il magistrato all’idea della disonestà e della cattiveria per il fatto di aver sempre davanti dei delinquenti, così l’uomo moderno si abitua all’incertezza e all’assenza di risposte agli interrogativi che la vita comunque gli pone, ma che la cultura in cui è immerso gli dicono doversi accettare come insolubili se non addirittura privi di senso. Egli così, giorno per giorno, si indurisce, si corazza contro l’istinto di cercare le risposte, si chiude in un bozzolo di scetticismo, anche se, nello stesso tempo, la cultura dominante gli fa credere che nessuna meta, nessun traguardo gli sono preclusi, grazie agli strumenti offerti dalla tecnica e dal Logos strumentale e calcolante. In altre parole, l’uomo moderno non solo non ha le risposte alle domande fondamentali dell’esistenza, ma le disdegna; non solo vive nel dubbio su tutto ciò che lo riguarda, ma disprezza e comparisce chi dubbi non ne ha; e non solo si è adattato a vivere senza risposte e quindi senza verità, come una creatura della notte che non ha bisogno degli occhi, perché la facoltà visiva sarebbe inutile nei luoghi in cui vive, ma è divenuto sommamente insofferente nei confronti delle risposte, considerate tutte storicamente determinate e perciò tutte valide solo per un certo lasso di tempo e all’interno di un certo paradigma culturale, e poi destinate a cadere, come le foglie degli alberi in autunno.

La società pre-moderna poneva anch’essa delle domande ma aveva anche le risposte; le risposte appartenevano allo stesso universo concettuale dal quale scaturivano le domande. E ciò sia nell’ambito della vita materiale, l’economia, la finanza, l’agricoltura, il commercio, le tecniche, i trasporti, il governo, eccetera, sia nell’ambito della vita intellettuale, spirituale, morale e religiosa. Esiste Dio, e chi è? Chi siamo noi? Da dove veniamo, dove andiamo, che significato ha la nostra esistenza? Perché la famiglia, perché lo studio, il lavoro; perché l’onestà, perché il bene, invece del disordine, dell’egoismo, dell’ignoranza, della corruzione e del male? Per tutte queste domande e altre simili la società aveva le sue brave risposte; e per quelle che non possedeva, era certa che le avesse Dio, supremo garante dell’ordine complessivo e del senso di ogni cosa. Di più: la società dei nostri avi si sarebbe vergognata di non averle; non si sarebbe fatta un vanto di ritenerle irrazionali e inutili. E non solo: essa pensava che ogni genitore, ogni educatore, ogni adulto hanno il preciso dovere di trasmettere la verità e la certezza alle giovani generazioni, in proporzione alla loro età e alla loro capacità di comprensione, con l’obiettivo ultimo di renderli pienamente padroni delle risposte. Oggi, al contrario, si direbbe che gli adulti godano nel porre i giovani di fronte a domande senza risposta, a moltiplicare i loro dubbi, a suscitare sempre nuove incertezze; e nel deridere l’ingenua fiducia dei bambini circa l’esistenza delle risposte. L’ultima trovata di questa forma maligna di distruzione dei fondamentali dell’esistenza, da parte degli adulti nei confronti dei bambini, è quella di instillare nei piccoli dell’asilo e della scuola elementare il dubbio di avere un corpo biologico che non corrisponde al loro autentico orientamento sessuale, in modo da farne degli individui che non sanno più nemmeno se identificarsi, o no, col fatto (perché almeno quello è un fatto, grazie a Dio) di essere maschio o femmina. Perché lo fanno? Forse solamente per stupire i giovani, per sorprenderli, mostrandosi più giovani, scettici e disinvolti di loro; per lusingare la propria vanità guadagnandosi il loro interesse, che evidentemente pensano di non meritare qualora si mettessero a dare delle risposte chiare e precise, a insegnare che a ogni domanda si può trovare una risposta, se essa è ben formulata e se ha un significato reale e non meramente verbale. Un tipico esempio del cambio di paradigma dall’amore per la verità al relativismo è dato dalla teologia, non solo e non tanto nei suoi contenuti, ma nell’approccio complessivo e nella prospettiva con cui viene proposta. Un tempo essa era lo strumento razionale più forte per aiutare le anime a trovare Dio e a confermarsi nella fede; oggi essa si compiace di mettere al centro l’uomo e di riferire a lui tutto quanto, anche i dubbi, perché pretende che il dubitare di tutto, di Dio, dell’anima, della vita eterna, renda le persone più autonome e le aiuti a sviluppare una fede più matura. Il risultato è che la moderna teologia allontana le anime da Dio, invece di aiutarle a conoscerlo, amarlo e servirlo, quale dovrebbe essere il suo scopo.

La società moderna pertanto, ha fatto qualcosa di assai peggiore che moltiplicare le domande alle quali non sa o non vuole rispondere; ha fatto una virtù del non cercare più le risposte fondamentali, ha messo in ridicolo chi prova a farlo e, come se non bastasse, ha concentrato la sua fiducia nella tecnologia, i cui sviluppi rapidissimi e sconcertanti le hanno offerto un surrogato delle vecchie certezze. Così facendo, essa ha imboccato realmente una via senza ritorno: perché la tecnologia non essendo altro che un mezzo, non solo non potrà sostituirsi adeguatamente alle mancate risposte, ma imprimerà un’ulteriore accelerazione alla proliferazione di domande alle quali non saprà rispondere. Un buon esempio di ciò è dato dalle sconvolgenti possibilità aperte dalla cosiddetta ingegneria genetica. Gli studiosi di bioetica si stanno ancora azzuffando sugli interrogativi posti da una delle possibili applicazioni delle nuove tecniche di manipolazione dei geni umani, e non solo umani, che già la tecnica ha fatto un ulteriore balzo in avanti e ha creato delle nuove, inimmaginabili possibilità, spostando sempre più innanzi le frontiere di ciò che fino a ieri pareva impensabile e mettendo tutti, legislatore compreso, davanti ai fatti compiuti d’un progresso inarrestabile, foriero di sempre nuove, sconvolgenti applicazioni, ciascuna delle quali avrebbe mandato in crisi società assai più solide, dal punto di vista etico e spirituale, della nostra; società che avevano le risposte ai quesiti fondamentali e in particolare per segnare il confine fra ciò che è giusto e lecito, e ciò che non lo è. Al contrario la società attuale, sviluppatasi in un orizzonte di relativismo pressoché totale, è dominata dalla prassi anziché dall’etica, in quanto la maggioranza delle persone, compreso il legislatore, ritengono in ultima analisi che il criterio di verità, o quanto meno di liceità di un’azione, sia dato dal fatto che essa di fatto viene praticata in questa o quella parte del mondo. Dopo di che i progressisti, col tam-tam dei mass-media, creatori dell’opinione pubblica, lanciano campagne per sostenere che il proprio Paese non sarà mai un Paese normale, o civile, finché non avrà adottato le stesse leggi, né avrà offerto ai suoi cittadini le stesse possibilità di cui godono quelli del Paese X: che si tratti di fecondazione eterologa, o della possibilità di cambiar sesso a spese della pubblica sanità, o di qualsiasi altra cosa.

Il fatto è che un tale orizzonte intellettuale e morale è insostenibile non solo per la società nel suo insieme, ma anche per i suoi singoli membri. La vita, la vita ordinata, civile, aperta verso il futuro e non chiusa in una spirale autodistruttiva, ha bisogno di chiarezza, ha bisogno di risposte, ha bisogno di verità. Per una persona normale, vivere senza nessuna di queste cose, senza punti di riferimento, senza punti d’appoggio, improvvisando in continuazione la strada da seguire, adattandosi incessantemente ai mutamenti sempre più bruschi che la tecnica e la finanza impongono, è semplicemente d’impossibile. Alla lunga, ciò genera degli squilibrati mentali, o produce delle persone anaffettive e potenzialmente pericolose per se stesse e per gli altri. Persone che non danno un valore intrinseco alla vita umana, perché vedono ogni giorno che nulla ha un valore intrinseco, ma tutto, letteralmente tutto, riceve valore dalle circostanze. Il proliferare inarrestabile delle pratiche abortiste e dell’eutanasia ha questa radice nichilista: nulla è vero, nulla ha un significato e un valore in sé, ma tutto dipende dal come. Se le condizioni non sono ritenute favorevoli, a insindacabile giudizio del singolo (in realtà, della cultura dominante che fabbrica in serie gli uomini-massa), allora un bambino non ha il diritto di nascere, e un anziano o un malato non hanno il diritto di continuare a vivere. Non c’è affatto da stupirsi se, in un clima culturale di questo genere, i cerchioni della morale sono saltati e se si moltiplicano i comportamenti distruttivi e autodistruttivi, col dilagare delle droghe, dell’alcool e con stili di vita disordinati e pericolosi. C’è perfino la moda degli sport estremi: perché limitarsi a scalare normalmente una montagna, con corde, chiodi e moschettoni, quando lo si può fare arrampicandosi a mani nude? Perché limitarsi ad ammirare una ripidissima cascata, quando ci si può tuffare alla sua base da un’altezza di cento metri? E perché, gettandosi dall’aereo, aprire il paracadute per tempo, quando lo si può fare proprio all’ultimo momento, così da suscitare scariche sempre più emozionanti di adrenalina? E perché tenere un casa un cagnolino o un gatto, quando, purché si abbia un giardino, si può allevare un cane da guardia ferocissimo, o magari un leone o una tigre, o un serpente boa? E perché ritrarsi in fotografia in pose e situazioni normali, quando lo si può fare sull’orlo di un cornicione o di un tetto, o su un binario della ferrovia, mentre il treno sta arrivando? Si gioca con la vita, la propria e l’altrui, come si gioca con ogni altra cosa: l’esistenza è ridotta a una scommessa in cui non si pensa al prezzo da pagare se si perde, ma solo alle emozioni da strappare. Così, per un istante almeno, ci si sente padroni della situazione. Non è solo la noia a generare questi comportamenti, ma anche e soprattutto la mancanza di certezze, l’assenza di risposte. L’uomo è un essere fatto per la verità: a differenza di tutti gli animali, il bisogno di verità è inscritto nel suo statuto ontologico. Se quel bisogno viene continuamente disatteso, represso, negato, egli finisce per impazzire. E tutto questo accade perché si è voluto escludere il solo che può garantire la verità e dare le risposte: Colui dal quale tutto proviene.

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.