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O cattolici o liberali

Oltre che essere un fattore psicologico e sociale, la resa dei cattolici al mondo moderno è un fattore ideologico e si compendia nella loro resa al liberalismo. Il comunismo non è che un’eresia del liberalismo e, anche se nel XX secolo a molti è sembrato che fosse il comunismo il vero nodo della relazione fra il cattolico e il mondo (in positivo o in negativo, secondo i punti di vista), ora che il comunismo è caduto nella polvere della storia, appare evidente che il nodo di quella relazione era e rimane il liberalismo, che non solo è rimasto in piedi, ma che pare destinato a svolgere il ruolo di Pensiero Unico della modernità, definendosi sempre più come una ideologia religiosa, e sia pure d’una religione laica. Ma cos’è il liberalismo? Possiamo definirlo come la più tipica ideologia politica della modernità: figlio primogenito e prediletto dell’illuminismo, è anche figlio dell’utilitarismo, quindi figlio di David Hume non meno che di John Locke; dottrina che pone al centro la libertà dell’individuo, e quindi i suoi diritti e la sua ricerca dell’utile personale. E se il principio fondamentale della vita umana è la libertà individuale, è chiaro che esso si applica anche e soprattutto alla libertà nell’ambito religioso. È quindi evidente che il figlio di primo letto del liberalismo è l’anarchismo, mentre democrazia, socialismo e comunismo sono suoi figli di secondo letto; fascismo e nazismo, poi, sono addirittura figli adulterini, il cui padre li odia e li detesta, oltre a non riconoscerli neppure come suoi figli (ma forse ci vedeva più giusto il filosofo Giovanni Gentile, che aderì al fascismo provenendo dal liberalismo e che trovava naturale tale passaggio; così come il suo discepolo, Ugo Spirito, avrebbe trovato naturale, una generazione più tardi, il passaggio dal fascismo al comunismo).

Va da sé che Lutero è stato, in ambito religioso, il primo cristiano liberale e che quindi il protestantesimo anticipa di quattro secoli il nodo della relazione fra cristianesimo e liberalismo, appunto sul tema della libertà. Il credente, per Lutero, è libero di leggere e interpretare soggettivamente le Scritture: questo è il nucleo centrale della sua cosiddetta riforma; che è invece, a tutti gli effetti, una rivoluzione, perché equivale a scardinare millecinquecento anni di Magistero e a porre il credente in una prospettiva radicalmente nuova e diversa, non solo rispetto alla chiesa, ma anche dinnanzi a Cristo. Infatti, implicita nella posizione di Lutero c’è l’idea che la fede è, sì, un dono gratuito di Dio (anche troppo gratuito: del tutto staccato dalle buone opere), ma la ricerca di essa è, implicitamente, una libera scelta dell’uomo. Il che è come asserire che ciascun uomo è libero di credere o non credere, e di credere in questo oppure in quest’altro. Insomma la Dignitatis humanae, del 1965, che proclama il principio della libertà religiosa, è l’esplicitazione di un’idea protestante: il che mostra quanto avesse ragione Marcel Lefebvre nel vedere il Concilio Vaticano II come la rivincita della rivoluzione protestante e liberale sul cattolicesimo tridentino, che poi era il cattolicesimo di sempre. Una cosa, quest’ultima, che i cattolici progressisti, imbevuti di storicismo, non erano né mai saranno disposti ad ammettere, altrimenti dovrebbero riconoscere che quella del Concilio è stata una rivoluzione e non una riforma della chiesa, proprio come lo era stata quella di Lutero; e che loro stessi non sono più dei veri cattolici, bensì dei modernisti, ossia degli eretici che non avrebbero nemmeno il diritto di chiamarsi cattolici. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che il signor Bergoglio ha voluto commemorare i 500 anni della "riforma" di Lutero, nel 2017, facendo emettere dalle Poste Vaticane un francobollo che celebra Lutero e Melantone come grandi uomini di fede, inginocchiato ai piedi del Crocifisso (e senza la Madonna, figura notoriamente non troppo gradita ai protestanti).

Ma vediamo cosa dice il Magistero prima del Concilio a proposito del liberalismo. Nell’enciclica Quanta cura, dell8 dicembre 1864, il pontefice Pio IX così, fra l’altro, scriveva:

Contro la dottrina delle sacre Lettere della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare "essere ottima la condizione della società nella quale non si riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene stabilite i violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda la pubblica pace". Con tale idea di governo sociale, assolutamente falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI di venerata memoria chiamata delirio [Eadem Encycl. Mirari], cioè "la libertà di coscienza e dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e stabilire per legge in ogni ben ordinata società ed i cittadini avere diritto ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera". E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano "la libertà della perdizione" [S. August., Epist. 105, al. 166], e che "se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo" [S. Leo, Epist. 164, al. 133, § 2, edit. Rall].

Il discorso è chiaro: il liberalismo è solennemente condannato, in tutte le sue implicazioni e nelle sue conseguenze; socialismo e comunismo, poi, insieme alle associazioni cattolico-liberali, sono definiti addirittura "pestilenze". Il Magistero ecclesiastico, del resto, si è sempre espresso in modo estremamente chiaro: fino al Concilio Vaticano II, i cui documenti sono caratterizzati, al contrario, da un’enunciazione insolitamente vaga e quasi ambigua, al punto che è possibile interpretarli in maniera opposta. E anche questo vorrà pur dire qualcosa: l’ambiguità dell’enciclica del signor Bergoglio Amoris laetitia non nasce dal nulla, ma ha nei testi conciliari i suoi illustri e autorevoli (si fa per dire) precedenti.

Nel Sillabo, infine, posto a suggello e chiarimento pratico dell’enciclica, Pio IX condannava, fra le altre, le seguenti proposizioni:

III – Indifferentismo, latitudinarismo (…)

XV. È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.

Lett. Apost. Multiplices inter, 10 giugno 1851.

Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862.

IV – Socialismo, comunismo, società segrete, società bibliche, società clerico-liberali

Tali pestilenze, spesso, e con gravissime espressioni, sono riprovate nella Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846; nella Alloc.Quibus quantisque, 20 aprile 1849: nella Epist. Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nella Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854; nell’Epist. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863. (…)

X – Errori che si riferiscono all’odierno liberalismo

LXXVII. In questa nostra età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano.

Alloc. Nemo vestrum, 26 luglio 1855.

LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno.

Alloc. Acerbissimum, 27 settembre 1852.

LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l’ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo.

Alloc. Numquam fore, 15 dicembre 1856.

LXXX. Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà.

Ne abbiamo già parlato in un precedente articolo (cfr. Ma l’idea di fondo del "Sillabo" è proprio così errata come da sempre si ripete?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/01/18); qui ci limitiamo a evidenziare come la condanna del liberalismo sia netta, chiara, inequivocabile. Perciò i casi sono due. O si storicizza il Magistero, come fanno i modernisti, che non sono cattolici ma eretici, formalmente condannato con l’enciclica di Pio X Pascendi dominci gregis (a meno di contestare anche quest’ultima, in una spirale viziosa senza fine), i quali d’altronde non si fanno scrupolo di storicizzare anche le Sacre Scritture (vedi le "sparate" di Sosa Abascal sui Vangeli e la deplorevole mancanza di registratori al tempo di Gesù Cristo…), oppure lo si prende sul serio, e allora non ci sono dubbi: il Concilio Vaticano II, promuovendo il dialogo con il mondo moderno e dichiarando una virtù il fatto di non scomunicare né condannare più nessuno, ma di stabilire buone relazioni con tutti, anche a costo di giungere a dei compromessi con l’errore, è andato fuori dal vero Magistero, e quindi è oggettivamente eretico e invalido.

Il cuore del pensiero liberale, ripetiamo, è l’idea della libertà individuale, posta a misura di tutte le cose. L’uomo è libero perché è capace di costruire da se stesso il proprio destino, senza alcun aiuto soprannaturale, e a nessun altro deve rendere conto di quel che fa, purché rimanga entro i limiti della legge (che sono storicamente mutevoli, perciò contestabili), ma gli basta la propria coscienza. Questa è precisamente l’idea espressa dal signor Bergoglio nella lettera che ha pubblicamente indirizzato al suo amico Eugenio Scalfari, gran massone e perciò stesso nemico irriducibile del Vangelo di Gesù Cristo e della sua chiesa, poco dopo essere stato indegnamente e illecitamente eletto al pontificato: La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha fede, c’è quando si va contro la propria coscienza. Un concetto inaudito, e totalmente contrario a ciò che il vero Magistero della chiesa ha sempre insegnato nel corso dei secoli, fin dall’inizio; e tuttavia un concetto perfettamente in linea con il pensiero liberale e, perciò, perfettamente in linea con il "sentire" dei cattolici dopo il Concilio Vaticano II: Perché i cattolici, o piuttosto ex cattolici, che prendono a modello non il Vangelo e il Magistero perenne, ma il Concilio Vaticano II, non pensano da cristiani e tanto meno da cattolici, ma da liberali; o, tutt’al più, da cattolici liberali, che è quanto dire il diavolo e l’acqua santa. Se il nucleo dell’idea liberale è l’esercizio assoluto della libertà, ebbene questo nucleo è radicalmente incompatibile con il cattolicesimo. Per il cattolico, la libertà non ha senso se non nella verità; e la verità è Lui, Gesù Cristo, e nessun altro. Perciò il cattolico rispetta e ammira la libertà, se l’uomo ne fa buon uso, e cioè se si sottomette al principio della ricerca del Vero e della sua obbedienza a Dio, che nel Vero si manifesta, sia mediante la ragione, sia mediante la fede; ma non la assolutizza e tanto meno la divinizza, ben sapendo che non c’è nulla di più velenoso della libertà, una volta che si sia abbandonata all’ebbrezza di se stessa. I disastri della storia moderna nascono dalla assolutizzazione e dalla divinizzazione della libertà. Non è vero che la libertà è l’antidoto al male: perché, per fare un esempio, possiamo ricordare che il nazismo è andato al potere in Germania, nel 1933, attraverso gli strumenti della democrazia, e quindi in nome della libertà. E anche oggi, dietro le parole d’ordine della libertà, si vuole imporre agli uomini un Pensiero Unico nel quale perfino il più sacro e naturale dei diritti, quello della paternità e della maternità, viene negato e contraffatto atrocemente, mediante l’equiparazione della famiglia naturale alle cosiddette famiglie arcobaleno, ossia delle unioni contro natura di persone dello stesso sesso. Né di questo si contentano i moderni fautori del pensiero liberale, ma pretendono di entrare negli asili e nelle scuole per spiegare ai bambini come sia giusto interrogarsi se il loro orientamento sessuale corrisponde al loro sesso biologico: perché, in nome della libertà, si può sempre diventare da uomini, donne, e viceversa. E sempre in nome della libertà si può divorziare, abortire, chiedere la morte se si è malati terminali, o parenti di malati terminali. E sempre in nome della libertà si ha il diritto di migrare in massa nella patria altrui, violare i confini e pretendere accoglienza, salvo trattare da puttane cristiane le volontarie che prestano assistenza nei centri d’accoglienza ai profughi afroislamici, tutti in fuga — poverini, com’è noto – da guerra e fame.

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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