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L’inestricabile contraddizione dei cattolici liberali

La modernità è l’epoca delle grandi contraddizione; ed è anche, si potrebbe aggiungere, l’epoca della minor percezione di esse, da parte di quelli stessi che le vivono in prima persona, specialmente se non si tratta di singoli individui, considerati nella loro assoluta unicità e dotati di senso critico, ma di soggetti dispersi in un contesto massificante, ove ciascuno regredisce al livello di membro d’un gregge che si lascia trasportare da qualsiasi corrente in qualunque direzione, senza neanche rendersene conto. Una di tali contraddizioni, una fra le tante, ma anche fra le più significative, è quella che caratterizza la vita e i modi di pensare e di sentire dei cattolici moderni, i quali, che se ne rendano conto o no, sono dei cattolici liberali, includendo in questo termine, evidentemente, anche le varie derivazioni del liberalismo, e quindi i cattolici democratici, i cattolici progressisti, i cattolici di sinistra, i cattolici per il socialismo (come un tempo che pare già lontano si facevano chiamare) e senza dubbio arriverà, anzi è già arrivato, il momento in cui faranno la loro comparsa anche i cattolici massoni o i massoni cattolici, che dir si voglia -, i cattolici radicali e i cattolici divorzisti, i cattolici abortisti, quelli pro eutanasia, quelli pro LGBT, questi ultimi particolarmente potenti e influenti, perché sponsorizzati dall’alto; e via dicendo. Può apparire incredibile che i "cattolici" in questione non si accorgano neppure della gigantesca contraddizione in cui sono invischiati, e della vergognosa mistificazione cui hanno scelto di aderire per piacere al mondo, anche dispiacendo a Dio; ma sarebbe più esatto dire che la vedono, ma non la riconoscono come tale; peggio ancora: la vedono e se ne vantano, se ne gloriano, come fosse per loro motivo di orgoglio, quasi una medaglia da appuntarsi sul petto. È come se dicessero: Vedete?, siamo cattolici, ma siamo anche fautori della modernità, in tutti i suoi aspetti: politici, sociali, culturali, sessuali; e allora? Per noi è una cosa meravigliosa; ci sentiamo pieni dello spirito (quale? Del Concilio, forse; non certo dello Spirito Santo); se a voi non piace, se a voi non sta bene, se lo trovate scioccante, o inaccettabile, be’, tanto peggio per voi, quello è un problema vostro e non certo nostro! E a una tale arroganza, a una tale sicumera si sentono spinti proprio dalle parole e dall’esempio di tanti cattivi preti e di tanti pessimi pastori, nonché di tanti falsi teologi: i Paglia, i Galantino, i Kasper, i Bianchi, i Martin, i Sosa, e cento e cento altri turiferari del nuovo corso e cortigiani del signore argentino, a cominciare dai direttori e redattori della stampa pseudo cattolica e delle televisioni ex cattoliche. I quali tutti però si guardano bene dal lasciar cadere l’ultimo velo (i tempi sono quasi maturi, dal loro punto di vista, ma poi che faranno, senza le entrare finanziarie della chiesa?) e proclamare apertamente finita e abolita la religione cattolica; ma intanto hanno familiarizzato i fedeli con l’assurdo, l’impossibile, l’aberrante, e soprattutto l’eretico, togliendo loro, però, la coscienza di ciò che, per un cattolico, è assurdo, impossibile, aberrante ed eretico. Al punto che assurdi, impossibili, aberranti ed eretici, per loro, sono i Francescani dell’Immacolata, o i Cavalieri di Malta, o le piccole Suore di Maria Madre del Redentore, o gli Araldi del Vangelo: proprio perché non s’inchinano allo spirito del mondo, ma restano fedeli all’autentico Vangelo di Gesù Cristo.

Ma non perdiamo il punto: che è l’ideologia liberale, con tutti i suoi assunti e conseguenze, non solo in ambito politico e religioso, ma anche sociale, psicologico, culturale, filosofico, artistico, sessuale, ecc. L’ideologia liberale ha il suo fulcro nella religione della libertà del singolo individuo, anzi, del singolo cittadino: tutto ciò che esiste, Stato, Chiesa, economia, finanza, magistratura, la società stessa, non ha altro scopo che di promuovere e garantire la massima libertà per il singolo cittadino. Ed è un’idea incompatibile col cattolicesimo, che riconosce una sola fede e una sola libertà: quella in Gesù Cristo, Re dell’Universo. Nell’enciclica Mirari vos, del 15 agosto 1832, papa Gregorio XVI (il bellunese Bartolomeo Alberto Cappellari) così stigmatizzava irrevocabilmente il liberalismo, sia nel versante religioso che in quello politico e in tutte le loro diramazioni e conseguenze:

Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo ossia quella perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato dall’Apostolo (Ef., 4,5) che esiste "un solo Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo", temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore (Lc 11,23) "essi sono contro Cristo, perché non sono con Cristo", e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non raccolgono; quindi "senza dubbio periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non conservino intera ed inviolata" (Symbol. S. Ath.). Ascoltino San Girolamo il quale, trovandosi la Chiesa divisa in tre parti a causa dello scisma, racconta che, tenace come egli era del santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito, egli rispondeva costantemente ad alta voce: "Chi sta unito alla Cattedra di Pietro, quegli è mio" (Ier., Ep. 58). A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti, oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe opportunamente Sant’Agostino:"Anche il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la forma se non vive della radice?"(…)

Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. «Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?» esclamava Sant’Agostino [Ep. 166]. Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie della verità gli uomini già diretti al precipizio per la natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi aperto il «pozzo d’abisso» (Ap 9,3), dal quale San Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi più sante: in una parola, la peste della società più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la smania di novità andarono infelicemente in rovina.

A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita «libertà della stampa» nel divulgare scritti di qualunque genere; libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore. Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra. Eppure (ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo inondamento di errori è più che abbondantemente compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di pravità si mette in luce per difesa della Religione e della verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave, perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio, usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte.

Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme pubblicamente grande quantità di tali libri (At 19,19).

Ora, facciamo pure la tara allo stile un po’ enfatico e alla pedagogia un po’ troppo ruvida per i gusti degli uomini d’oggi: resta il fatto che Gregorio XVI condanna senza mezzi termini tutto il nostro modo di sentire, pensare e vivere di uomini moderni: perché, come non ci stanchiamo di ripetere, la modernità è in se stessa incompatibile col cattolicesimo, in quanto intrinsecamente anticristiana. Certo, sentir dire che solo la fede in Gesù Cristo conduce alla salvezza, a un cattolico dei nostri dì fa specie; lo mette in imbarazzo. Eppure qui non c’è spazio per alchimie o compromessi: o è vero, o non è vero. Ed è proprio qui problema: siccome questo discorso agli uomini moderni non piace, e non piace neppure ai cattolici, ecco che il clero, a un certo punto, ha voluto gettare un ponte verso il mondo moderno e, affettando dolcezza, di fatto ha ammainato la bandiera del Vangelo e si è lasciato convertire dal mondo. Ciò è accaduto apertamente a partire dal Concilio Vaticano, ma i germi di una tale involuzione covavano da tempo: non solo dal cosiddetto modernismo dei primi anni del XX secolo, ma da almeno cent’anni prima. Ed è proprio contro quei germi che Gregorio XVI fa ricorso al Magistero, nell’enciclica Mirari vos; come farà, con toni non meno accorati, Pio IX, nel 1864, con l’enciclica Quanta cura. Se non si tiene presente la penetrazione della massoneria e delle idee liberali nel clero cattolico e anche fra i laici, non si può avere un quadro esatto delle preoccupazioni che angustiarono i papi del XIX e del XX secolo, fino al Concilio.

Con Giovanni XXIII, come è noto, la musica cambia, e cambia assai bruscamente. Nel discorso d’apertura del Concilio, l’11 ottobre 1962, Giovanni XXIII affermava (4, 2-3; 7, 1-3):

2. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.

3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

7. 1. Aprendo il Concilio Ecumenico Vaticano II, è evidente come non mai che la verità del Signore rimane in eterno. Vediamo infatti, nel succedersi di un’età all’altra, che le incerte opinioni degli uomini si contrastano a vicenda e spesso gli errori svaniscono appena sorti, come nebbia dissipata dal sole.

2. Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. (…)

3. Così stando le cose, la Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati. 

Evidentemente, in base a questo ragionamento Gregorio XVI e Pio IX, ma anche Leone XIII, Pio X, Pio XI e Pio XII andrebbero posti fra i profeti di sventura; qui però non si tratta dell’atteggiamento di questo o quel pontefice: è in gioco il Magistero perenne. E si dà il caso che tutti i papi, fino a Pio XII, hanno sempre combattuto gli errori con la severità e non con la medicina della misericordia. La misericordia viene dopo, quando l’errore è stato debellato: non quando esso è forte e minaccioso. E in base a cosa poi Giovanni XXIII giudica i tempi favorevoli per fronteggiare gli errori più con la dolcezza che col rigore? Forse le tendenze ereticali nella Chiesa e le ideologie aberranti nel mondo profano sono scemati? O non forse è vero il contrario? Strano: solo un liberale poteva non vederlo…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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