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Bergoglio no, e il Concilio Vaticano II sì?

Se c’è un aspetto positivo, ammesso che ci si possa esprimere in questo modo, nello sciagurato pontificato abusivo del signor Bergoglio, è quello di aver contribuito più di qualsiasi altra cosa a far chiarezza nella mente e nel cuore dei cattolici di buona volontà. Ciò che egli sta facendo, con perversità e sfrontatezza quasi incredibili, cioè la demolizione sistematica della Chiesa, della liturgia, della pastorale, della dottrina, della fede, è talmente enorme, talmente, scandaloso, talmente intollerabile, da aver finito per scuotere anche molti che prima erano dubbiosi, o prudenti, o rassegnati; anche quelli che pensavano: La Chiesa ne ha già passate tante; passerà anche questa. Perché il signore abusivo ha blindato in anticipo il prossimo conclave, promuovendo a cardiali i suoi uomini più fidati e così garantendosi che, dopo di lui, la linea che ha impresso alla Chiesa resterà la stessa e che i modernisti potranno procedere alla distruzione finale di quel poco, pochissimo di cattolico che è ancora rimasto in piedi in mezzo alle macerie. Ora, se molti hanno aperto gli occhi, e un numero ancor più grande di fedeli stanno incominciando ad aprirli – e la prova ne sono le chiese sempre più vuote, e anche la Piazza San Pietro che, la domenica, è sempre più vuota — sta anche venendo al pettine, per la forza stessa delle cose, il vero nodo di tutta la questione: che non è Bergoglio, perché lui è solo l’ultimo manovale, in ordine di tempo, della massoneria ecclesiastica, incaricato di demolire a ritmi sempre più veloci i pezzi ancora fedeli della Sposa di Cristo, ad esempio i Francescani dell’Immacolata. Il vero nodo della questione, di tutta la crisi che attanaglia la Chiesa, la vera causa della crisi delle vocazioni, del rilassamento della morale, del caos dottrinale, in una parola, della resa dei cristiani alla mentalità del mondo, teologi e sacerdoti in testa, è il Concilio Vaticano II.

Sappiamo bene di dire una cosa dura da digerire, dura da accettare, anzi quasi insopportabile agli orecchi della stragrande maggioranza dei cattolici. E ciò per la buona ragione che, a partire dal 1962, ciò che essi hanno sentito dire è che il Vaticano II è stato l’evento più meraviglioso che la Chiesa potesse desiderare; è stato una rinascita di qualcosa che era quasi spento e secco; è stato una possente ventata di aria fresca in un ambiente chiuso ed asfittico; è stato, niente di meno, una seconda Pentecoste. Concetto di per sé assurdo, per non dire blasfemo ed eretico, visto che la Pentecoste è una, non ce ne sono due o tre o quattro, ed è quella descritta nei Vangeli e che ha riempito di Spirito Santo Maria Vergine e gli Apostoli, e nessun’altra: ma tanto basta a dare un’idea di quanto la propaganda a favore del Concilio sia penetrata, sin da allora, come una lama nel burro, cioè sparando le peggiori enormità senza incontrare resistenza, o quasi; senza che i cattolici, consci di cos’è la loro fede, insorgessero e chiedessero spiegazioni di fronte ad affermazioni tanto inverosimili, tanto sconcertanti e tanto lontane dalla verità del Magistero. E invece no: tutti hanno creduto, tutti hanno applaudito; e il solo che non aveva creduto né applaudito, monsignor Lefebvre, è stato isolato come un lebbroso, evitato da tutti, e messo in condizioni di venire, prima o dopo, scomunicato. Come infatti è accaduto. Senza che avesse in alcun modo violato l’ortodossia della dottrina o infangato la santità del ministero episcopale; al contrario: per essere rimasto fedele, saldo come una roccia, al suo posto di pastore, custode della dottrina e della santità del ministero. Ecco: se non ci fossero altre prove, questa dovrebbe bastare per far comprendere, a chi è disposto a capire, in che cosa consiste il vulnus che il Concilio ha portato alla Sposa di Cristo: che quanti sono rimasti fedeli alla Chiesa di sempre, sono stati emarginati, cacciati, scomunicati; e quanti hanno accolto un "vangelo" nuovo e diverso da quello di sempre, si sono impossessati della Chiesa, hanno preso il marchio di fabbrica ma cambiato la ragione sociale, consumando un tradimento inaudito verso Cristo e verso i fedeli: un tradimento che ha permesso loro di trasbordare più di un miliardo di cattolici dalla Verità all’apostasia, senza che se ne rendessero conto, anzi illudendoli di essere partecipi di uno straordinario evento salvifico.

Ci possono essere poche prove più evidenti di questa, ricordando le parole di san Paolo: C’è un solo Vangelo, quello di Gesù Cristo; e se qualcuno vi predicasse un Vangelo diverso da quello, fosse pure un Angelo del cielo, che sia anatema! Come è stato possibile che non ce ne fossimo accorti fin da allora? Come è possibile che non ci domandassimo in che cosa consisteva l’errore, la colpa di Marcel Lefebvre, e prendessimo per buona tutta la propaganda conciliare? Come è stato possibile che ci fidassimo ciecamente di quel che dicevano la stampa e la televisione, proprio le stesse fonti che, fino a tutto il pontificato di Pio XII, erano state tutt’altro che tenere verso la Chiesa e verso i cattolici? Come mai non ci siamo chiesti se, per caso, tutti i laicisti incalliti si erano convertiti sulla via di Damasco, grazie al dialogo e all’apertura di Giovanni XXIII? E come mai non ci è sembrato strano che un papa anziano e malato volesse convocare un concilio ecumenico, laddove papi più giovani e più in forze vi avevano rinunciato, consci dei tremendi rischi e delle possibili crepe che esso avrebbe aperto? Ancora: come mai non ci è venuto il dubbio se fosse proprio tanto necessario, tanto urgente convocare un concilio, del quale si diceva, dai suoi stessi fautori, che sarebbe stato soltanto un concilio "pastorale", volto cioè a rendere la trasmissione delle verità di fede più facile e più efficace? Quando mai la Chiesa ha convocato un concilio puramente pastorale? I concili servono a confermare la dottrina, mediante la condanna degli errori: questa è la loro essenza, questo il loro scopo, questa la loro necessità e la loro urgenza. Non c’era alcuna urgenza del genere, alla fine degli anni ’50, se non quella, che rimase poi clamorosamente disattesa, di condannare e scomunicare il comunismo. Eppure, nessuno ha capito, nessuno si è fatto due semplicissime domande. Piaceva quel papa apparentemente semplice, apparentemente contadino, apparentemente bonario e quasi pacioso; il papa grasso e anziano che mostrava tanto coraggio, tanta apertura, tanta… modernità. Ed ecco che, per chi lo avesse voluto, si rivelava il segreto della sua elezione e il segreto del concilio: si trattava di eleggere un papa disposto ad aprire le porte alla modernità. Ma la modernità, storicamente, nella lotta contro la Chiesa, aveva e ha un nome ben preciso, e quel nome è massoneria. Possibile che a nessuno sia venuto in mente che dietro l’idea del concilio c’era la massoneria, e che la massoneria ecclesiastica si sarebbe servita di esso per conquistare il vertice della Chiesa stessa? O meglio, che se ne sarebbe servita per rafforzarlo, dato che lo aveva già conquistato, e precisamente con il conclave del 1958?

Ecco: anche da ciò si capisce che i cattolici, nella stragrande maggioranza, erano maturi per l’apostasia generalizzata; dal fatto che trovarono normalissimo che il Concilio non scomunicasse nessuno, e che ciò fosse presentato come dolcezza, clemenza, apertura, volontà di dialogo, mentre era semplicemente il segno della resa. La resa al comunismo; la resa alle false religioni; la resa agli scismatici ed eretici protestanti; la resa al giudaismo, che da quel momento saliva in cattedra, grazie al concetto, aberrante e dottrinalmente falsissimo, di una superiorità degli ebrei sui cristiani, grazie alla loro primogenitura in Abramo e in Mosè, attestata dall’Antica Alleanza. Intendiamoci: molti di questi concetti non erano che abbozzati, o appena accennati; sarebbero stato sviluppati più tardi, gradualmente e abilmente: ma intanto i semi erano stati gettati, e la mala pianta dell’eresia aveva trovato il terreno predisposto ad accoglierla. Per intanto, una cosa almeno avrebbe dovuto apparire evidente, e invece non fu notata: che presentare la scomunica dei nemici della fede come una crudeltà, come una durezza, e non più come il mezzo, severo ma giusto e necessario, per preservare la purezza della dottrina, era già di per sé un atto di infedeltà nei confronti di Gesù Cristo. Per millenovecento anni, dal primo concilio ecumenico, quello di Nicea, al penultimo, il Vaticano I, la Chiesa aveva sempre chiamato le cose con il loro nome senza fare sconti a nessuno, perché sulle cose di Dio gli uomini non sono autorizzati a fare il benché minimo sconto: aveva chiamato peciò errore, l’errore; eresia, l’eresia; nemico, il nemico: e si era regolata di conseguenza, senza sentimentalismi a buon mercato, senza stucchevoli "tenerezze". La Chiesa, nella persona dei papi e nei documenti del Magistero, si era sempre mostrata pienamente consapevole della tremenda responsabilità che gravava su di lei: quella di condurre le anime a Cristo e perciò di dover combattere senza quartiere tutti ciò che le può allontanare da Lui. Non c’è sciagura più grande di questa, per un cristiano;: smarrire la Verità di Cristo, perdersi sulle strade del mondo. Le false religioni, le conventicole scismatiche, il comunismo, la massoneria, l’ateismo militante, la stessa libertà religiosa, intesa come libertà di scegliere ciò che è falso e voltare le spalle alla Verità di Cristo, sono tutte trappole sulla strada della fede, e come tali la Chiesa, giustamente, le ha sempre considerate, pronunciandosi contro di esse con la massima chiarezza ed energia. Come mai adesso diventava così bello, così carino, così commovente, non avere più un nemico al mondo e dichiarare che con tutti si può dialogare, ci si può confrontare, anche con i nemici dichiarati della Verità? E non è stato Gesù stesso a dire: Sarete perseguitati a causa del mio nome, vi cacceranno dalle sinagoghe, vi uccideranno, perché come hanno agito con me, agiranno con voi? Strano, molto strano: era come dire che la Chiesa, per millenovecento anni, aveva sbagliato, aveva seguito una pastorale troppo dura, e aveva mistificato il messaggio del Vangelo. Nessuno lo disse, anzi si ebbe la cautela di dire che non si voleva cambiar nulla del Deposito della fede: e tuttavia, con queste premesse, con questa prospettiva, con queste finalità, si cambiava tutto. E infatti il Concilio fu una rivoluzione: una rivoluzione fatta dall’alto, e perciò non percepita come tale; e tuttavia una rivoluzione. Però la sola rivoluzione possibile, per un cristiano, consiste nella conversione a Cristo; tutto il resto non è che falsità, menzogna, ipocrisia e cedimento al mondo. Cristo infatti non è venuto per dialogare col mondo, ma per convertirlo; e se il mondo non si vuole convertire, il mondo è giudicato. Questo dice il Vangelo di Gesù Cristo e questo ha sempre insegnato la Chiesa; ma ora, a partire dal 1962, essa diceva e faceva delle cose completamente diverse. E allora? Chi dei due stava sbagliando, chi stava uscendo dal solco della Verità: la Chiesa di sempre, oppure la Chiesa di papa Giovanni, di Paolo VI e del Concilio?

Ma, dicono in molti, il Concilio è stato una cosa buona, buonissima; il solo male è stato il suo stravolgimento da parte di alcuni che sono venuti dopo. Da premesse giuste sono state tratte delle conclusioni errate; altrimenti, perché lo stesso Paolo VI avrebbe detto, poco dopo la sua conclusione, che la Chiesa si aspettava una dolce primavera, e invece sono arrivati i rigori dell’inverno? E perché, qualche anno dopo, proprio lui avrebbe detto che il fumo di Satana era entrato nel Vaticano? Il fumo di Satana! Ma come? Prima ci era stato detto che il Concilio aveva portato una nuova Pentecoste; e ora, a pochissimi anni di distanza, si ammetteva, al più alto livello, che l’opera del diavolo era entrata nella Chiesa di Cristo. Qualcosa non tornava: non occorreva essere dei geni per capirlo. Pure, nessuno volle capire; nessuno volle vedere. Gesù ha detto che l’albero si riconosce dai frutti; che l’albero buono non può dare frutti cattivi, né l’albero cattivo, frutti buoni. Ma ora Paolo VI stava dicendo esattamente questo: che dall’albero buono, anzi ottimo, erano germogliati dei frutti cattivi, anzi pessimi. Non c’era alcuna logica in simili affermazioni: eppure nessuno sembrò accorgersene: e la leggenda del Concilio buono e delle sue conseguenze non buone si è definitivamente insediata nella rappresentazione mentale dei cattolici, è diventata signora incontrastata del loro immaginario. Questo è ciò che essi credono di sapere: che a una stagione di fervore e di rinnovamento ha fatto seguito una stagione difficile, amara, deludente; ma non per colpa del Concilio, questo no, giammai: e di chi, allora? Non si capiva, non si capisce. Si dice, ancora, che i documenti conciliari sono, di per sé, irreprensibili, e che gli abusi liturgici, le forzature pastorali, le confusioni dottrinali, sono venuti dopo. Benissimo. Ma si prenda in mano e si legga con attenzione la Nostra aetate o la Dignitatis humanae, e vi si potrà scorgere, in filigrana, tutto quel che sta deturpando oggi la Chiesa: i vescovi che portano a spalla, in processione, il demone Pachamama durante il Sinodo per l’Amazzonia, e lo intronizzano nella Basilica di San Pietro; il sedicente papa che mette per iscritto, in un documento congiunto cattolico-islamico, essere volontà del Signore Iddio che si ci siano le diverse religioni, e che vivano in pace e d’accordo fra loro; che il culto luterano viene imitato e scimmiottato e la concezione luterana del sacerdozio che viene presa a modello dai cattolici; e così via, fino alle aberrazioni omosessualiste di James Martin e fino all’apologia del vizio e del peccato fatta da Paglia, Galantino, Bergoglio, Kasper, Martin, senza che vi sia stata una reazione significativa dall’interno del clero. È giunto perciò il tempo di guardar le cose con coraggio, e di fare appello a tutta l’onestà intellettuale e morale che si richiedono in tempi particolarmente critici. Su una cosa Bergoglio non mente, su una cosa è sincero: quando dice di voler concludere la rivoluzione del Concilio. Questo sì, è vero. Ed è proprio per questo che ci si deve opporre: si deve insorgere e schierarsi dalla parte di Cristo, contro la falsa chiesa modernista…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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