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Il quarto cavaliere dell’Apocalisse è la lussuria

Dopo l’ignoranza, la grossolanità e l’egoismo, il quarto cavaliere dell’Apocalisse è la lussuria. E qui viene la sorpresa. Anche se la lussuria è un istinto naturale, come l’egoismo — il che non vuol dire che sia buono in se stesso — è l’unico dei quattro che viene sistematicamente pompato ed esasperato da una strategia ben precisa, pianificata a tavolino, per così dire, dal potere imperante ovunque, quello della grande finanza internazionale. I banchieri che stanno tessendo la loro ragnatela bavosa sul mondo intero avevano bisogno di individuare un punto debole sul quale fare forza per scardinare la società e creare le condizioni per l’asservimento mentale delle persone e dei popoli, premessa dl loro asservimento fisico, e l’hanno trovato nella lussuria. Era il punto più vulnerabile ed essi se ne sono accorti e lo stanno sfruttando al massimo, mobilitando tutti i mezzi planetari dei quali dispongono: il cinema, la televisione, la stampa, la pubblicità, lo spettacolo, tutto, perfino lo sport: tutto ciò che è suscettibile di accendere e alimentare le fantasie erotiche e di scatenare l’istinto sessuale, beninteso del tutto slegato dall’affettività e dal sentimento. Grazie a questa campagna, che trova un terreno ben predisposto perché, come abbiamo detto, l’istinto della lussuria esiste, eccome, non solo si è aperta una breccia, che sta diventando una voragine, attraverso la quale far passar ogni sorta di disordine e presentarlo come del tutto legittimo, dall’adulterio all’aborto, dalla promiscuità all’incesto, dalla pedofilia al sadismo, dalla sodomia al transessualismo, ma si è anche sferrato un attacco mortale al cuore dell’istituzione sulla quale si regge ogni forma di vita civile: la famiglia. La famiglia è stata intossicata, avvelenata, snaturata da un martellamento incessante che ha trasformato l’uomo e la donna in due animali bramosi di sesso, anzi, di sempre nuove esperienze erotiche, anche le più insolite, le più morbose e le più degradanti.

Ma è tutto l’insieme della cultura moderna che incoraggia e promuove la lussuria. Fin dal XIX secolo le arti figurative hanno veicolato la pornografia, spacciandola per pittura: basti pensare all’osceno L’origine del mondo di Gustave Courbet, o, nel XX secolo, La lezione di chitarra di Balthus. La psicanalisi, dal canto suo, sostiene che gli esseri umani devono portare alla luce i loro istinti, anche i più perversi, per liberarsene: e se, per farlo, devono anche assecondarli nella dimensione della vita reale, questa è una faccenda che riguarda loro soli, e la morale non c’entra per nulla. In altre parole, l’importante è giungere a una riconciliazione con il proprio inconscio, evitare che il coperchio della pentola crei una pressione eccessiva, perché da tale pressione si originano le nevrosi; lo psicanalista, da parte sua, si guarda bene dal dare giudizi o consigli di tipo etico: quel che farà o non farà il paziente una volta divenuto consapevole dei propri desideri repressi — ad esempio, l’attrazione incestuosa per la propria madre — è cosa che esula dalle sue competenze. Del resto, la psicanalisi nega che vi sia qualcosa come una morale assoluta, delle regole o delle norme assolute da rispettare, ma che tutto dipende dalle situazioni, dal momento storico e dalle propensioni e inclinazioni di ciascun individuo. E se qualcuno la pensa diversamente, se qualcuno si azzarda a dire che tutti sono tenuti a rispettare un codice morale, anche nella sfera sessuale; o che il sesso, staccato dal sentimento, è un’aberrazione; o che l’arte non deve abbassarsi a stuzzicare i bassi istinti e trasformarsi in pornografia, subito si scatena il coro della platea politicamente corretta, laica, materialista, strutturalista, esistenzialista, surrealista, dadaista, marxista, globalista, e Dio sa quanti altri ista si potrebbero inanellare; e il poveretto è ridotto al silenzio in quattro e quattr’otto, accusato di moralismo, di oscurantismo, di provincialismo, di fondamentalismo e anche del suo esatto contrario, cioè di qualunquismo, e d’infiniti altri riprovevoli ismi. Perché la cultura dominante ha creato un nuovo paradigma, che è press’a poco la negazione perfetta di quello esistente meno di due generazioni fa; e per far dimenticare il passato, non le resta che zittire qualsiasi voce fuori dal coro e giurare e spergiurare che il mondo è sempre stato così. È la maledizione del progressismo: c’è sempre qualcuno che arriva più avanti e rende vecchio ciò che un minuto prima era nuovo.

Un potente strumento di persuasione è stato un certo tipo di giornalismo d’inchiesta, in realtà giornalismo a tesi, fortemente ideologizzato in senso progressista, libertino e antiborghese, specializzato nel raccogliere, mediante interviste anonime (e quindi non verificabili) i segreti meno belli della vita sessuale delle persone, uomini e donne, e anche le loro fantasie. Si è data così la stura, sulla scia del famigerato Rapporto Kinsey, a tutta una sub-letteratura che ha fatto della sentina dei vizi il salotto buono della cultura politically correct. Il femminismo ha aggiunto la sua parte di buona volontà, si fa per dire, mettendo al centro il desiderio femminile e il giusto diritto delle donne a esser depravate almeno quanto i maschi. Giornaliste come Shere Hite e Nancy Friday si sono lanciate all’esplorazione di questo pianeta sommerso, hanno raccolto — dicono — centinaia e migliaia di "confessioni", le hanno ben confezionate e infine pubblicate con le maggiori case editrici, trasformando questa montagna d’immondizia morale in altrettanti best-seller. In essi il lettore può apprendere quanto siano perennemente vogliose le femmine americane, vogliose di qualsiasi esperienza, anche la più insolita, morbosa, paradossale; e di come, se ancora non si sono decise a metterle in pratica, per lo meno, nell’attesa, le vivono sotto forma di fantasie erotiche, mentre fanno sesso coi rispettivi consorti e nell’ambito di famiglie apparentemente normali. In realtà, molte delle i intervistate hanno confessato di essere intenzionate a tradurre le loro fantasie in realtà, per esempio convincendo il marito a intraprendere una relazione a tre, non con una donna — sarebbe troppo banale e quasi scontato – ma con un uomo; dopo aver candidamente ammesso di non aver mai notato, in lui, la benché minima traccia di tendenze omosessuali, le spregiudicate protagoniste dei libri della Hite e della Friday confessano di essere sommamente eccitate all’idea di iniziare il consorte a quel tipo di esperienza, semplicemente per godere dello spettacolo di una cosa nuova e proibita e per potervi partecipare allegramente, il tutto in un clima di assoluta disinvoltura e libertà. Non era forse l’emancipazione il grande feticcio della generazione cresciuta negli anni intorno al ’68? E proibito proibire, non era forse uno degli slogan prediletti dai giovani studenti perennemente in sciopero, molto interessati a ogni esperimento di collettivismo, non solo economico e sociale, ma anche sessuale (le famose "comuni"!), quanto poco erano interessati a fare il loro dovere di studenti mantenuti, spesso con grandi sacrifici, da papà, e a studiare seriamente per prendersi una laurea, magari sulla base di effettive competenze e non della sfrenata demagogia del sei politico, grazie al quale si sono laureati fior di asini calzati e vestiti?

Il male che hanno fatto questi cosiddetti libri-inchiesta, insieme ai romanzi di pornografi come Alberto Moravia, o ai film di Pasolini, o agli spettacoli teatrali di Fo, è stato immenso. La donna, soprattutto, è stata distolta dal suo alveo psicologico naturale, la maternità e la famiglia, per inseguire, come allora si dice, i propri sogni, anche calpestando ogni vincolo morale. Nel film di Nina Companeéz, del 1972, si narra, fra l’altro, di una giovane e bella matrigna che seduce il figliastro sotto gli occhi del marito, il quale non s’accorge di nulla, anche perché intrigato dalla presenza di una giovanissima cittadina che pass ala sua prima vacanza in campagna e che farebbe qualsiasi cosa pur di andarci a letto. Tutta questa fiumana escrementizia, presentata nelle vesti gradevoli della libertà e della gioiosa trasgressione, ha abituato i giovani spettatori, e specialmente le giovani spettatrici, a pensare che la vita sia una scampagnata in cui il passatempo principale è quello di filarsi nel letto di qualcun altro, possibilmente già sposato, o parente, o dello stesso sesso, insomma qualcuno col quale si possa provare il brivido del frutto proibito. Una vola che simili idee e simili aspettative sono entrate nella testa e nel cuore di una generazione di adolescenti, l’intera società è stata risucchiata in una spirale distruttiva sempre più veloce. Le diciottenni hanno smesso di pensare all’uomo della loro vita, alla gioia di avere dei figli, alla missione di dedicarsi a una famiglia, e si sono mese a caccia di emozioni erotiche, come del resto i loro coetanei maschi. La radice del disordine presente è lì, nella cultura degli anni ’60 e dei primi anni ’70, tutta proiettata verso la trasgressione, il principio del piacere e la sistematica derisione delle regole, della normalità, del bene. La donna sposata e appagata della propria famiglia è divenuta un oggetto ridicolo, meritevole di compatimento; la donna che non ha divorziato, che non ha lasciato il marito per mettersi in u amante di dieci o venti anni più giovane di lei, nei salotti della "buona" borghesia, è divenuta un residuo del passato, guardata con commiserazione dalle sue amiche emancipate dalla schiavitù del matrimonio, Questo vento di disordine e di follia ha fatto irruzione, sempre in quegli anni, anche nei seminari e nei conventi. Nei conventi femminili americani alcune suore "progressiste" hanno innalzato la bandiera del gay è bello e si son messe a dire e scrivere che non c’è niente di più bello di una suora che ama un’altra suora, dando vita a un vero e proprio movimento di liberazione delle suore lesbiche. Nei seminari, l’omosessualità imperversava, con tanto di abusi da parte dei preti a danno dei ragazzini, ma i superiori facevano finta di non vedere, di non sentire, di non sapere, di non aver la lingua per parlare e soprattutto per prendere i necessari provvedimenti: e intanto il disordine andava avanti. Ora si è talmente rafforzato, è diventato talmente protervo nella sicurezza di sé, da mostrarsi in pubblico e da pretendere di ricevere l’approvazione generale. Accade sempre più spesso che un parroco americano, nel bel mezzo della santa Messa, comunichi ai suoi parrocchiani di essere gay. Accade anche in Italia, ma ciò – per ora – induce il suo vescovo, sia pur con mille cautele, a sospenderlo dalle sue funzioni. Tuttavia non passeranno molti anni e, col trionfo delle tesi del gesuita James Martin, la chiesa accoglierà a braccia aperte i sacerdoti gay e chiederà scusa mille volte per le ingiuste discriminazioni che aveva attuato nei loro confronti.

Questo discorso ci porta al dilagare della lussuria anche nella morale cristiana, che era, fino a qualche anno fa, l’ultima barriera che ancora resisteva all’onda lunga del ’68. Siamo già sulla strada del pieno riconoscimento della sodomia e del lesbismo, con preti che presentano le coppie gay all’altare, durante la santa Messa, coprendole di elogi per il loro bellissimo amore e lamentando di non poterle sposare loro stessi, a causa dell’arretratezza della Chiesa in tale materia; e con dei parroci, com’è accaduto nel Goriziano (ne abbiamo dato conto a suo tempo) che vengono trasferiti dal vescovo per essersi opposti alla permanenza, in veste di animatore scout, di un uomo sposato civilmente a un altro uomo. E con i vescovi che chiedono scusa pubblicamente, come a Genova, per le preghiere di riparazione di "incauti" cattolici per il Gay Pride; e suore che cacciano i cattolici che stanno pregando con tale intenzione, perfino dal sagrato del loro convento. Ormai sul banco degli imputati non ci sono i fautori del disordine sessuale (chi sono io per giudicare?, ha detto il signore biancovestito che tutti chiamano papa, anche sen non lo è), ma gli ultimi difensori dell’ordine: è il trionfo della contro-chiesa satanicamente ispirata e ben decisa a condurre le anime non verso il paradiso, ma verso il profondo dell’inferno.

Con la caduta verticale della morale cattolica sotto l’offensiva del libertinismo sessuale eretto a sistema, con la sua resa incondizionata allo spirito del consumismo, che mercifica i corpi così come tutti gli altri beni di consumo, spogliandoli di qualsiasi spiritualità (e infatti, da ultimo, il fuoco della contro-chiesa bergogliana si è diretto appunto contro la spiritualità, la contemplazione, l’ascesi, il misticismo), la società odierna è entrata nella fase finale del disordine costituito. Le forze oscure e potenti, delle quali abbiamo fatto cenno, perseguono da sempre questo obiettivo: una società dissoluta, snervata dal vizio, sprofondata nel disordine e incessantemente protesa verso l’auto-degradazione. Non sapete che il vostro corpo è il tempio del Signore?, ammoniva san Paolo duemila anni fa, rivolgendosi a quei cristiani che non avevano compreso la necessità e la bellezza di conservarsi puri per esser degni di entrare nel Regno di Dio. E così li incalzava (1 Cor., 6, 9-11): O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! Ma i cattolici di oggi pensano ai migranti, pensano alla biodiversità, pensano al clima, pensano allo smaltimento della plastica, e vedono in Greta Tuhnberg — parola dell’arcivescovo di Berlino, monsignor Heiner Koch – un nuovo Gesù Cristo. Che altro dire, una volta arrivati a questo punto? La società occidentale non ha più una morale, né un progetto educativo, né ha una religione e neppure un’idea sana e veritiera dell’uomo, della sua natura, dei suoi bisogni. Non è più nemmeno una società, ma un magma indistinto e ribollente d’individui che non son tenuti insieme da alcuna idea, ma solo da necessità pratiche e dal gusto della trasgressione promosso per legge a sacro diritto del cittadino. La persona è sparita, non c’è più. Abbiamo azzerato duemila anni di civiltà cristiana…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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