L’Italia? Un Paese da punire, epurare e rieducare
24 Settembre 2019
Il quarto cavaliere dell’Apocalisse è la lussuria
24 Settembre 2019
L’Italia? Un Paese da punire, epurare e rieducare
24 Settembre 2019
Il quarto cavaliere dell’Apocalisse è la lussuria
24 Settembre 2019
Mostra tutto

Aiuto: vogliono imporre il totalitarismo della bontà

Il putiferio scatenatosi di fronte alle battute ironiche che qualche incauto si è permesso di fare nei confronti della improbabile mise del neo-ministro delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, una signora in quota PD che vanta un diploma di terza media come massimo titolo di studio e che, come sindacalista, non sembra aver riportato risultati strabilianti, tali da giustificare il suo inserimento nella squadra del governo Conte Bis, è solo l’ultimo episodio di una ormai martellante campagna mediatica volta ad instaurare, che ci piaccia o no, una nuovissima e impeccabile forma di dittatura, o, per dir meglio, di totalitarismo, visto che nessuna dittatura si è mai sognata di censurare anche i discorsi privati e i pensieri segreti della gente: il totalitarismo della bontà. Ancora più penose e imbarazzanti le parole con le quali l’interessata ha reagito alle legittime critiche (a meno che sia stata approvata, a nostra insaputa, una legge che faccia espresso divieto di esprimere giudizi estetici su un capo d’abbigliamento, o proibisca severamente di permettersi una forma d’ironia sulle scelte degli abiti sfoggiati dai personaggi pubblici) che le erano state rivolte sui social. Frasi come questa: La vera eleganza è rispettare il proprio stato d’animo. Io ho indossato un vestito blu elettrico a balze perché anch’io mi sentivo così, entusiasta, e quel colore esprimeva il mio stato d’animo; o come questa: Mi sono presentata così, sincera come una donna, meriterebbero il Nobel della banalità stile Baci Perugina, e anche qualcosa di meno. Se uno si sente in uno stato d’animo naturista, probabilmente sarà elegante se va in giro tutto nudo; e se un suo collega maschio si fosse sentito elettrizzato quanto lei, immaginiamo, per coerenza e per la par condicio fra donne e uomini, che avrebbe avuto ogni diritto di presentarsi in maglietta, bermuda e ciabatte infradito. Quanto alla proverbiale sincerità delle donne, crediamo non ci sia donna onesta e intelligente che non scoppi a ridere all’udire un’affermazione del genere.

Ad ogni modo, quel che volevano ottenere i media, l’hanno ottenuto: non si parla dell’oscenità di un governo nato da un ribaltone di palazzo, che mette sessanta milioni d’italiani davanti al fatto compiuto di una manovra indecente, grazie alla quale sono giunti a governare il paese dei personaggi che nessuno ha votato e un partito, il PD, che è risultato nettamente in minoranza sia nelle ultime elezioni, quelle del marzo 2018, sia nei più recenti sondaggi. L’oscenità, quindi, non è che gente come la signora Bellanova occupi delle poltrone da ministro senza aver ricevuto un voto dagli elettori, anzi, in spregio aperto alla volontà espressa dagli elettori (che indicava una chiara maggioranza di centro-destra; e fu precisa responsabilità del presidente Mattarella non averne tenuto conto nelle consultazioni per formare il nuovo governo), ma che qualcuno trovi da ridire sul fatto che quella signora si presenti a giurare fedeltà alla Repubblica vestita in maniera inappropriata e irrituale. Ma questo, ripetiamo, è solo l’ultimo episodio di una unga serie: è ormai da qualche anno che si sta profilando l’avanzata (ir)resistibile del totalitarismo buonista, e guai a chi osa opporvisi o a chi è lento nel mettersi al passo coi tempi nuovi e col Nuovo Ordine Buonista. Tutti abbiamo notato, per esempio, l’aumento esponenziale delle pubblicità televisive che chiedono, o pretendono, solidarietà morale e, naturalmente, offerte in denaro per contrastare questa o quella malattia, specialmente infantile, bombardando il telespettatore con immagini commoventi, talvolta scioccanti, e affidando la richiesta a genitori che a stento trattengono le lacrime e con occhi umidi gli dicono che la loro ultima speranza di "ridare un sorriso" ai loro figli malati è riposta nella sua solidarietà. In particolare vi è una moltiplicazione degli spazi televisivi che si prestano alla maratona denominata Telethon, fondata dall’attore Jerry Lewis nel 1964, il cui scopo è raccogliere fondi per trovare una cura alla sindrome della distrofia muscolare. Per le strade, all’ingresso degli ospedali, giovani volontari allestiscono banchetti e fermano i passanti offrendo loro volantini di associazioni come Scarpetta Rossa, sorte per raccogliere fondi a sostegno delle donne vittime di violenze (e per gli uomini, mai niente?).

E via di questo passo. Se un ragazzino stranero subisce un torto, se un professore lo sgrida, se un passante gli dà uno spintone, se un compagno lo apostrofa con una frase razzista, subito si fa un servizio da telegiornale, o si riempie una intera pagina di quotidiano per narrare il terribile fatto e riversare torrenti d’esecrazione sui miserabili che si sono macchiati d’una così abominevole colpa. Ma se a macchiarsi di colpe ben più gravi sono degli stranieri, e specialmente dei minorenni stranieri (il che non significa che siano dei "bambini": a sedici anni, in Africa, si è già uomini fatti), non ci sarà alcun servizio di telegiornale e solo un trafiletto in una pagina interna del quotidiano: se possibile, il corrispondente cerca anche di non precisare la nazionalità del colpevole. Solo se è un italiano, o comunque un bianco, i mass-media, trionfanti, si affrettano a sbandierarlo già nel titolo; come dire: Avete visto? Avete visto quanto siete, quanto siamo cattivi, noi italiani, noi bianchi? Quanto siamo meritevoli di disprezzo, quante colpe abbiamo da farci perdonare? Sottinteso: accogliere qualsiasi quantità d’immigrati clandestini e di falsi profughi, chiudere un occhio su qualsiasi malefatta di rom e sinti, è il minimo che si possa fare, per alleggerire un poco il terribile peso delle nostre colpe che grava sul piatto della giustizia. Del resto, abbiamo pure le colpe del colonialismo da farci perdonare: e la guerra d’Etiopia, dove la mettiamo? E l’uso dei gas da parte dell’aviazione di Badoglio, nel 1936? E le repressioni di Graziani in Cirenaica, contro i senussi di Omar al-Mukhtar, quelle ce le vogliamo scordare? Sì, è vero che, all’epoca, nessuno di noi aveva più di otto anni; ma che vuol dire? Ci sono delle responsabilità storiche che una società si deve assumere in solido, fino alla ventesima generazione e magari anche più in là. Come dite? Che invece di colpevolizzarci per il nostro colonialismo, durato pochi decenni e finito da ottant’anni, si potrebbe dedicare un po’ di attenzione al neocolonialismo dei nostri cugini francesi, i quali continuano a saccheggiare l’Africa, a imporre la loro moneta, a fare guerre destabilizzanti al solo scopo d’impadronirsi (a nostro danno) delle ricchezze naturali, come il petrolio; ma non sarebbe politicamente corretto. Emmanuel Macron è un leader socialista, è la punta di diamante dei progressisti europei, che fanno barriera contro il populismo e il sorvranismo scatenati; e c’è perfino un signore del nostro PD che ha accettato di entrare nel suo governo, per far sapere a tutti quanto è salda e forte l’amicizia fra i progressisti transalpini e quelli cisalpini, nel comune progetto di un’Europa più aperta e più civile, con più eutanasia, più droga libera, più uteri in affitto, più adozioni alle coppie gay e più genitori 1 e genitori 2; lasciamo stare le faccende francesi in Africa, dopotutto son cose che non ci riguardano (anche se ci riguardano eccome, visti gli effetti della guerra del 2011 voluta da Sarkozy contro Gheddafi sulle ondate migratorie che c’invadono partendo dalle coste della Libia).

Eccoci dunque alle radici psicologiche e culturali del totalitarismo della bontà: il senso di colpa. Un senso di colpa abnorme, ipertrofico, sterile e distruttivo, che non perdona e non dimentica nulla del passato, perché non ama e non apprezza nulla del presente; un senso di colpa che alimenta un continuo auto-disprezzo, una specie di furore autolesionistico, un patologico impulso d’infangare, deturpare, insozzare la propria immagine. Cominciando dall’immagine più autorevole e più necessaria di tutte: quella del padre. Sulla scia di Freud, e sull’esempio dei pessimi maestri del ’68, la società europea ha introiettato, specie nelle giovani generazioni, un’avversione per la figura paterna che sconfina abbondantemente nel disprezzo e nell’odio più irragionevoli. Il padre non è più colui che protegge, che rassicura, che garantisce un ordine contro le forze minacciose del caos; no: è il tiranno, l’ipocrita, lo sfruttatore, colui che vuole sottomettere, che vuole castrare i suoi figli, e che merita il più grave dei castighi: la morte, se non la morte fisica, quella morale. E infatti, a partire dagli anni ’60, la figura paterna ha cominciato a morire: è stata lentamente avvelenata, intossicata, eliminata, rimossa. Al suo posto, la donna femminista nevrotica e perennemente insoddisfatta, i figli privi di riferimenti autorevoli, le coppie fragili che si rompono e si ricompongono in tutte le varianti possibili e immaginabili (ora anche quella omosessuale). Disonora il padre e troverai la tua libertà, potrai finalmente realizzarti (magari coi suoi soldi sia per studiare, sia per farti mantenere senza far nulla): questa è stata la filosofia post-sessantottina, seguita da milioni e milioni di giovani in Europa e in America. E poiché il papa dei cattolici è un super-papà, ecco che infine anche il papa s’è vergognato e pentito di fare il papa, ha voluto essere invece l’amicone, il compagnone, il buffone, per allontanar da sé quell’immagine sgradevole di autoritarismo che è inscindibilmente associata, nella cultura moderna, all’immagine paterna. Peccato solamente che al signor Bergoglio gli riesca così male di recitare una simile commedia: anche perché l’autoritarismo, lui, ce l’ha nel sangue e per davvero, non per finta, e ne sanno qualcosa i poveri cattolici che hanno la sfortuna d’incorrere nella sua ira e nella sua spietata vendicatività.

E un’altra cosa emerge con chiarezza dalle pieghe della sindrome da auto-disprezzo che genera il senso di colpa, il quale genera, a sua volta, il totalitarismo della bontà: il fatto che a sfruttare una tendenza così innaturale e così autodistruttiva della società siano alcune minoranze le quali, vantando antiche o recenti discriminazioni, vere o talvolta presunte, ora si fanno forti ed esigono, a titolo di risarcimento, di trarre il massimo profitto e di strappare tutti i vantaggi possibili, sia a livello giuridico, sia a livello politico ed economico, da un momento per loro così favorevole. Ed ecco le sfilate dei Gay Pride ricevere la sponsorizzazione, cioè il riconoscimento e il finanziamento, di importanti istituzioni culturali, di amministrazioni comunali e di università; oppure ecco le navi delle organizzazioni non governative scorrazzare per il Mediterraneo, infischiarsene della sovranità nazionale e delle leggi votate dal Parlamento, e violare impunemente le acque territoriali, forzare i porti, speronare le unità della Guardia di Finanza: il tutto con la massima sicumera e addirittura sporgendo denuncia contro il ministro dell’Interno che ha osato contrastar loro il passo in nome di un’entità così trascurabile come il popolo italiano. Ed ecco, ancora, la sollecitudine per gli animali, per l’ambiente, per il clima — indubbio segno di bontà d’animo, sensibilità e rettitudine morale — brandita come una clava contro gli altri, gli egoisti, gl’insensibili: ecco, ad esempio, i manifestanti per la difesa dell’ambiente che invadono il red carpet alla Mostra del Cinema di Venezia, prendono a sassate la polizia e spediscono all’ospedale un certo numero di agenti, perché loro sono i buoni mentre i poliziotti, si sa, sono i cattivi; e dunque avanti con la religione della bontà e abbasso i biechi difensori dell’ordine, cioè del disordine, costituito. Proprio come insegnavano i pessimi maestri del ’68 e quelli, se possibile, ancor peggiori del ’77, da Mario Capanna a Toni Negri, passando per i vari scrittori, registi e intellettuali come Moravia, Pasolini, Bertolucci, Fo, senza scordare psichiatri come Franco Basaglia, che vedeva la pazzia come il prodotto della società repressiva, e preti come don Lorenzo Milani, per il quale i ragazzini venivano bocciati a scuola non perché erano asini ma per la colpa di esser figli di lavoratori. Tutto un ciarpame che non solo è sopravvissuto, ma che è entrato nel DNA mentale di tanti intellettuali, registi, scrittori, professori, psichiatri e preti dei nostri giorni, i quali, a loro volta, generosamente lo distribuiscono fra il loro pubblico, i loro lettori, i loro pazienti, i loro studenti e i loro parrocchiani. A monte, però, questo ciarpame, mescolato ai sensi di colpa, viene abilmente pilotato e sfruttato dal potere occulto, quello che ha n mano tutta la comunicazione, il cinema, i mass-media: il potere finanziario; il quale, a sua volta, delega il potere politico a farne strumento di governo, sempre per i suoi sporchi fini. Ed ecco che l’ignoranza e i sensi di colpa di una ricca e viziata ragazza come Carola Rackete diventa uno strumento nelle mani del potere finanziario che vuol far invadere l’Italia da milioni di africani, per distruggerne l’identità e far precipitare il costo del lavoro. Le nobili cause di buonisti idioti sono tutte sull’agenda dell’oligarchia finanziaria; e lo stesso vale per i pretini che salgono sulle navi delle o.n.g. per benedire l’invasione, e per quelli che,a terra, ospitano generosamente i clandestini, liberi frattanto di spacciar droga, delinquere, rapinare e ammazzare.

Tutte queste forze si sono coagulate in un partito, il PD, e in una grandiosa istituzione spirituale, la Chiesa cattolica, i quali si adoperano per raccogliere e incanalare l’auto-disprezzo e l’odio di sé che la nostra società cova in seno, come un tumore maligno. Una frase del segretario PD, Zingaretti, è rivelatrice. All’indomani del vergognoso ribaltone che ha portato, in quattro e quattr’otto, alla nascita del nuovo governo giallo-fucsia, premiando un partito che non ha mai vinto alle elezioni e al quale gli italiani non hanno mai rivolto la loro fiducia, ha detto, trionfante: Ora è finita la stagione dell’odio! L’odio, evidentemente, è quello coltivato dai sovranisti e dai populisti: cioè dalla maggioranza del popolo italiano. Adesso sono arrivati loro, che lo rieducheranno. Perché loro sono i buoni, non odiano nessuno, loro; a odiare sono sempre gli altri, cioè i cattivi. Come ben sanno i risparmiatori truffati da Banca Etruria e i genitori cui sono stati rapiti legalmente i figli a Bibbiano…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.