Un’infamia alleata: la consegna dei cosacchi a Stalin
20 Settembre 2019Il secondo cavaliere dell’Apocalisse: la grossolanità
22 Settembre 2019I quattro cavalieri dell’apocalisse in chiave di vita quotidiana nella società di massa si chiamano ignoranza, grossolanità, egoismo e lussuria: sono essi che stanno trascinando il nostro mondo verso l’abisso da cui non c’è redenzione, l’abisso della totale alienazione da noi stessi e dalla realtà che ci circonda, sia in quanto singoli esseri umani, sia in quanto membri, che ci piaccia o no, del consorzio civile.
Guardiamoli da vicino, uno alla volta, cominciando dal primo.
Perché diciamo che l’ignoranza è uno dei cavalieri dell’Apocalisse? Dopotutto i nostri nonni avevano sì e no la quinta o la sesta e elementare e ciò non impediva loro di essere delle ottime persone, dei buoni padri e madri di famiglia, dei lavoratori onesti ed efficienti, dei cittadini perbene e rispettosi della legge, degli esempi per noi, che eravamo i loro nipoti. E allora? Il fatto è che esistono due tipi d’ignoranza, quella benigna e quella maligna, e l’ignoranza dei nostri nonni era del primo tipo. L’ignoranza benigna consiste nel non conoscere una serie di nozioni di storia, geografia, scienze, filosofia, matematica, eccetera, ma nel conservare intatte la facoltà del ragionamento, la curiosità verso il reale e un robusto senso della vita pratica, fatto di operosità, intelligenza e volontà. Una persona che, pur essendo ignorante dal punto di vista scolastico, possiede, nondimeno, tali qualità, o è suscettibile di svilupparle, non è in alcun modo limitata nella sua vita, non è di peso agli altri, non ha bisogno di chiedere il permesso a nessuno per fare le sue scelte, anzi, spesso è capace di porsi come modello rispetto a quanti le stanno intorno, proprio come era il caso dei nostri nonni. Questo tipo d’ignoranza, del resto, è tipica delle società pre-moderne, nelle quali non è richiesto un alto tasso di scolarizzazione, non c’è bisogno di avere conseguito una laurea per mettere in piedi una piccola attività imprenditoriale o commerciale, e a nessuno si chiede di sapere cosa fu la Guerra di Successione Polacca o chi ha scritto il De rerum natura o l’Orlando Innamorato, né di tradurre una satira di Orazio, e neppure di conoscere e saper giudicare la situazione politica, economica e sociale del proprio Pese, e magari anche degli altri, onde comportarsi da cittadino maturo e consapevole, e dare la propria preferenza ai candidati e ai partiti politici secondo un criterio di responsabilità e di obiettività.
Le cose, però, nelle società moderne e post-modrne, come lo è attualmente la nostra, sono un po’ diverse. Il dogma democraticista impone che tutte le persone, anzi, che tutti i cittadini siano maturi, responsabili, consapevoli e perfettamente in grado di fare delle scelte oggettive e razionali, non determinate da fattori puramente soggettivi e irrazionali e, soprattutto, non difformi da ciò che prescrive il pacchetto completo del politically correct. Se quest’ultimo punto, che è di capitale importanza, viene disatteso, giustamente la società prende le sue contromisure e provvede a somministrare delle piccole correnti elettriche o magnetiche nel cervello degli indisciplinati o degli irresponsabili, per riprogrammarlo ed eliminare da esso la presenza degli "stereotipi sociali impliciti", quali l’omofobia, il razzismo e altre orribili e pericolose deviazioni dalla via maestra del politicamente corretto. In altre parole, nelle società moderne si parte dal presupposto che tutti possiedono un sufficiente grado di cultura, anche perché tutti devono passare almeno una dozzina d’anni, come minimo, curvi sui banchi di scuola, dopo di che viene assegnato loro un diploma che attesta la loro frequenza e, per ciò stesso, il loro soddisfacente livello d’istruzione. Non importa cosa poi realmente si faccia in quelle scuole, in tutte quelle ore e in tutti quegli anni, nei quali il cittadino è consegnato alle amorevoli cure del sistema dell’istruzione pubblica, (più o meno) gratuita e obbligatoria; non importa cosa ci sia scritto nei libri sui quali è obbligato a studiare, né cosa dicono gli insegnanti che è obbligati ad ascoltare. Non importa, beninteso, finché tutto resta debitamente nell’alveo del politically correct; ma se per caso qualcuno sbrocca fuori; se per caso e per miracolo un libro insinua un’informazione che non dovrebbe essere data, o un professore si permette una spiegazione che avrebbe dovuto tenere per sé, e quindi gli alunni hanno ricevuto uno stimolo o un suggerimento potenzialmente pericolosi perché difformi dai dogmi del democraticismo autoreferenziale al potere: allora importa, eccome, e non solo partono i provvedenti amministrativi, ma anche le denunce penali.
Sia come sia, il punto è che nella società di massa, la società moderna per eccellenza, i cittadini hanno il diritto/dovere di essere responsabili, quindi di essere informati, quindi di possedere un certe livello culturale; e, se non ce l’hanno, bisogna tuttavia far finta che ce l’abbiamo ugualmente, perché prendere atto della loro ignoranza equivarrebbe a bocciare sonoramente il sistema che li ha prodotti, il che non è possibile perché nessuno sistema come quello democratico è indisponibile ad accettare l’autocritica, salvo che nelle cose perfettamente secondarie e ininfluenti, mai però, e sottolineiamo mai, nelle cose sostanziali, altrimenti si cadrebbe nel caso anzidetto del politicamente scorretto e si renderebbe necessario il trattamento cerebrale già descritto, messo a punto dalle università di Harvard, di Washington e della Virginia e codificato dall’organizzazione Project Implicit, subito ripreso dalle volonterose università europee e dal nostrano Istituto Italiano di Tecnologia di Ferrara (città che si trova in Emilia-Romagna: chissà come mai proprio questa regione, sulle venti che formano la Repubblica Italiana). In un simile contesto, l’ignoranza è effettivamente un vizio e una colpa, e non lo diciamo per scherzo, perché equivale a smerciare moneta falsa facendo finta che sia moneta buona; in altre parole, alimenta un sistema dell’ipocrisia, oltre che dell’inefficienza, che è altamente dannoso per l’intera società, ma che non rimane senza effetti negativi anche al livello della singola persona (cioè, volevamo dire "del cittadino"; il nostro fondo anarchico e piccolo-borghese fa sempre capolino nonostante due secoli e mezzo di propaganda liberal-democratica e ci fa scordare che solo il "cittadino" è soggetto di diritti e doveri, mentre la "persona" è un’astrazione di origine spiritualista). In altre parole: il fatto che ci siano un mucchio di individui ignoranti, o, meglio, resi ignoranti della contro-educazione di massa, di cui il sistema scolastico pubblico è parte essenziale, non solo mette in circolazione una quantità si soggetti suscettibili di fare danni in qualsiasi ambito lavorativo e professionale, ma anche inconsapevoli, pretenziosi e petulanti, come lo sono di solito gli ignoranti che credono di sapere e che pretendono di sapere ciò che non sanno affatto.
Ci piace riportare, per chiarire questo concetto, un ricordo di Massimo Piattelli Palmarini, riferito nel suo libro La voglia di studiare. Che cos’è e come farsela venire (Milano, Mondadori, 19911, pp. 116-117):
Una volta mi capitò di cenare al vagone ristorante, sul "Palatino" Parigi-Roma, con un’anziana ed elegante copia di americani. Erano stati catapultati su quel treno da uno sciopero dei controllori di volo, ma non avevamo affatto programmato quella immersione nella vecchia Europa. Da New York avevano previsto di volare a Gerusalemme, con appena una sosta di un’ora all’aeroporto di Parigi, per poi proseguire di filato con un pellegrinaggio ai luoghi santi, da buoni cattolici. Erano di Syracuse (stato di New York), di condizione economica trasparentemente assai agiata, ma il loro disorientamento linguistico, comportamentale, geografico e storico era impressionante. Non avevano alcuna, dico alcuna, idea di quali confini il treno dovesse attraversare, trasportandoci da Parigi a Roma. Mi chiesero, preoccupati, se saremmo passati attraverso qualche Paese comunista. Rassicuratili, presi a tracciare sommariamente, su un tovagliolo di carta, la mappa dell’Europa che avremmo attraversato No, niente Danimarca, niente Yugoslavia, niente Germania, solo Francia, un pezzettino di Svizzera, poi l’Italia.
Dovevamo trascorrere, con loro grande preoccupazione, due giorni a Rima. Mi chiesero, quindi, come comportarsi, cosa vedere. La loro assoluta ignoranza storica mi sbalordì. L’avessi sentita raccontare da terze persone non l’avrei creduta. Francamente non avrei mai supposto che due persone tanto compite e civili potessero avere incertezze se il Rinascimento fosse stato prima o dopo Napoleone, se il Colosseo risalisse a prima o dopo il Medio Evo. Mi resi subito conto che nessuna visita poteva risultare loro di un qualche interesse, data questa loro assoluta mancanza fi punti di riferimento. Per motivi religiosi volevano visitare San Pietro. Fu arduo dar loro un’idea di quanto antico fosse, visto che non avevano alcun metro per misurare il tempo. Volevano anche visitare il Colosseo, dove sapevano che "tanti cattolici" (sic) erano stati divorati dalle bestie feroci. Questo lo avevano visto al cinema e li aveva molto impressionati. Credetti utile suggerire loro anche qualche visita che facesse leva più sulle sensazioni dirette, che non sulla cultura. I panorami dai colli (i cui nomi, inutile dire, non dicevano loro niente), Trinità dei Monti (ah sì, quella scala lungo cui scendevamo Gregory Peck e Audrey Hepburn), i Mercati Traianei (pensai li avrebbe colpiti scoprire un "antichissimo" supermercato a ridosso dei colli di Roma), e la facciata di Palazzo Farnese (mi credessero, uno degli edifici più belli del mondo). Mi inviarono poi una cartolina da Gerusalemme, ringraziandomi molto.
E tuttavia, chiederà qualcuno, che male c’è se due anziani e benestanti cittadini statunitensi fanno un viaggio turistico in Israele e, passando per l’Europa, dimostrano di non sapere letteralmente un’acca della storia, della geografia e dell’arte del nostro continente? Premesso che abbiamo scelto questo episodio per il suo carattere esemplare di una situazione culturale, o sotto-culturale, ormai largamente diffusa, per non dire pressoché "normale" – e non si creda che le cose andrebbero molto meglio se facessimo qualche semplice domanda si storia, geografia o storia dell’arte a uno studente di liceo o anche a uno studente universitario francese, tedesco o italiano, non diciamo riguardo alle cose degli Stati Uniti d’America, ma proprio riguardo alla loro Europa, all’Europa in cui vivono e che è la madre della civiltà cui appartengono — il problema c’è, eccome se c’è. Abbiamo visto che la società di massa pretende di interagire con dei soggetti che si presuppone siano forniti, almeno teoricamente, di un sufficiente grado di cultura scolastica. Sufficiente rispetto a che cosa? Rispetto al fatto di agire da cittadini responsabili, cioè di saper e poter svolgere degnamente e onorevolmente il loro ruolo all’interno della società stessa. Ma se vi sono, invece, e magari in gran numero, degli individui la cui ignoranza è cubitale e che quindi non sono in grado di adempiere alle loro funzioni di "cittadini", la prima delle quali è quella di votare, o di candidarsi, nel quadro delle istituzioni democratiche che sono, per così dire, l’orizzonte ultimo e necessario della vita civile, allora sorge un problema, o meglio emerge una contraddizione insuperabile fra ciò che la società pone come requisito irrinunciabile dei suoi membri e ciò che essi effettivamente, invece, sono. Inoltre, come abbiamo già accennato, questo divario nasconde malamente una diffusa ipocrisia sociale da un lato, e una ingiustificata presunzione di sé, dall’altro: in altre parole, alimenta atteggiamenti e pensieri sbagliati sia a livello collettivo, sia a livello individuale. Ciò che riesce molesto, fastidioso, e addirittura esiziale nell’ignoranza dei membri della civiltà di massa è che essi pretendono di essere ciò che non sono, e che le istituzioni fanno finta, ipocritamente, che essi siano capaci di svolgere un ruolo sociale rispetto al quale, invece, sono del tutto inadeguati.
Ora, il guaio è che non si tratta solo di ipocrisia, d’imperizia e di presunzione: fosse solo questo il problema, benché pesante, sarebbe superabile, cioè non sarebbe tale da intralciare seriamente lo svolgimento ordinato della vita pubblica e privata. La cosa, al contrario, molto più grave e molto più difficile da correggere. L’ignoranza di massa, nascosta sotto una vernice di mezza cultura, non è un incidente di percorso, né un effetto collaterale di meccanismi di per sé virtuosi; è, al contrario, il risultato logico e necessario di una precisa strategia di potere. Chi detiene il potere effettivo nelle moderne democrazie liberali, e cioè non certo i politici, ma i banchieri dell’alta finanza, non ha alcun interesse a che i cittadini possiedano realmente un buon livello d’istruzione scolastica e universitaria, tranne che nell’ambito tecnico e scientifico, dove tali competenze potranno essere messe al servizio del potere stesso. Invece negli altri ambiti, primo fra tutti quello storico e filosofico, un vero sapere potrebbe generare la consapevolezza di come stanno in realtà le cose; la consapevolezza potrebbe generare la critica al potere (quella vera, beninteso, e non quella fasulla, tipo il ’68, che il potere continuamente produce e alimenta per i suoi fini di autoconservazione); e la critica potrebbe generare la rivolta degli schiavi, divenuti finalmente coscienti delle loro catene e intenzionati a spezzarle. Di conseguenza, il potere reale ha bisogno che la società di massa sia permeata d’ignoranza: come potrebbe, altrimenti, orientare il voto dei cittadini-zombie verso quei partiti e quegli uomini politici che fanno così bene i suoi interessi, ma, ahimè, così male i loro? Pertanto, non stupiamoci di essere circondati dall’ignoranza maligna: sarebbe strano il contrario…
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels