La sublime grandezza di Bach è nella sua solitudine
17 Settembre 2019Siamo certi che nel 1918 abbiano vinto i migliori?
19 Settembre 2019Alla fine di giugno del 1942 la guerra nel Nordafrica sembrava giunta a una svolta decisiva. L’armata italo-tedesca guidata da Erwin Rommel, da poco nominato feldmaresciallo, e da Enea Navarini, aveva respinto i britannici fuori della Libia e li aveva inseguiti fino a un centinaio di km. da Alessandria. La conquista del Delta del Nilo pareva imminente e, con essa, quel successo strategico che invano, per oltre due anni, si era cerato fra le sabbie del deserto. Con i tedeschi che si stavano avvicinando a Stalingrado, sul Volga, e alle pendici del Caucaso, l’imminente irruzione verso il Cairo e il Canale di Suez pareva il preludio di una gigantesca manovra convergente che avrebbe condotto le forze dell’Asse a impadronirsi del Medio Oriente, con le sue immense riserve petrolifere. Dopo tante amarezze e delusioni, dalla Grecia a Taranto e da Capo Matapan all’Amba Alagi, finalmente Benito Mussolini pregustava il sapore di una grande e risolutiva vittoria, che avrebbe rialzato il morale ormai depresso dell’opinione pubblica e che avrebbe ristabilito un certo equilibrio nei rapporti col potente alleato tedesco: L’Egitto, infatti, rientrava nella zona d’influenza italiana e l’affacciarsi dell’armata di Rommel accendeva le speranze dei nazionalisti arabi, ansiosi di scuotersi di dosso il giogo britannico.
L’Egitto, infatti, era nominalmente indipendente dal 1922, quando la Gran Bretagna, che lo aveva trasformato in protettorato nel 1914, spazzando via la finzione giuridica della sovranità ottomana, gli aveva concesso l’indipendenza sotto una dinastia discendente da Memhmet Alì, ma conservando le basi militari e prolungando il suo controllo politico attraverso la figura dei suoi alti commissari: Allenby (1919-25), Lord Lloyd (1925-29), Loraine (1929-33) e Lampson (1934-36). Il 23 agosto 1936 venne firmato un trattato che in pratica riconsegnava il Paese al controllo britannico. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale i britannici avevano ripreso de facto la direzione politico- militare del Paese, trasformandolo in una posizione chiave per la difesa strategica del Mediterraneo orientale, del Medio Oriente e del Mar Rosso; e il nuovo re Farouk, salito al trono nel 1936, alla morte di Fu’ad, il primo sovrano indipendente della dinastia, si era schierato decisamente al loro fianco, ordinando, fra l’altro, l’arresto e l’internamento in appositi campi di concentramento (e questa è una pagina di cui non si parla mai, in Italia: eppure l’Egitto aveva interrotto i rapporti diplomatici con l’Italia, ma senza dichiararle guerra!) di tutti i membri della numerosa colonia italiana, sospettati di simpatizzare per la causa del loro Paese, dopo il 10 giugno 1940. L’internamento si estese a circa 8.000 persone, in pratica quasi tutti i maschi dai 15 i 65 anni e anche un certo numero di donne ritenute "pericolose" dal punto di vista politico, su una popolazione complessiva di circa 60.000 persone. Naturalmente gli uomini erano stati licenziati dai posti di lavoro ed era stata interdetta loro ogni attività economica e commerciale; inoltre vennero sequestrati tutti i loro beni, che sarebbero stati poi restituiti in seguito all’accordo di Parigi del 10 settembre 1946, col quale l’Italia versava all’Egitto la somma di quattro milioni e mezzo di sterline, quale risarcimento dei danni provocati dalla sua invasione (nel deserto!).
Il 19 giugno Mussolini era partito in aereo dall’aeroporto di Guidonia, presso Roma, per prepararsi ad entrare vittoriosamente in Alessandria d’Egitto, e si era portato nelle immediate retrovie del fronte di El Alamein; ma dopo un mese di vana attesa, il 20 luglio, era ripartito per l’Italia, essendo apparso evidente che le operazioni erano giunte a una fase di "stallo". Gli storici politicamente corretti, a cominciare da Denis Mack Smith, hanno fatto dell’ironia sul "sogno di Alessandria" di Mussolini e sulla sua intenzione di sfilare per le vie della città, alla testa delle truppe italiane, montando in groppa a un cavallo bianco; ma onestà vorrebbe che si riconoscesse che Mussolini, sul piano strategico, aveva visto più lontano del troppo celebrato Rommel (il quale trovò delle scuse per non riceverlo neppure). Infatti il Duce era sempre stato persuaso che l’obiettivo strategico da espugnare, per dare una svolta decisiva alla guerra nel Mediterraneo, fosse la conquista di Malta, e in tal senso aveva cercato di convincere Hitler, dato che c’era bisogno del sostegno aereo tedesco per lo sbarco sull’isola. Ma quando Rommel si spinse fino a El Alamein, questi persuase Hitler che ormai non c’era più bisogno di prendere Malta, perché con la conquista di Alessandria e di Suez la fotta britannica avrebbe dovuto evacuare il Mediterraneo, e anche l’aviazione inglese avrebbe perso le sue basi. La storia ha poi mostrato chi avesse ragione: tanto più che Rommel era caduto nell’errore già commesso dal nemico, di spingersi troppo avanti con delle truppe esauste, quasi senza benzina e con pochissimi carri armati ancora efficienti, allungando a dismisura le proprie linee di rifornimento e perciò andando incontro a una fase di esaurimento, cui inevitabilmente sarebbe seguita la controffensiva britannica. Resta il fatto che, alla fine di giugno del 1942, il Delta del Nilo pareva ormai a portata di mano per le forze dell’Asse; e Mussolini, recandosi al fronte, fece una cosa politicamente e psicologicamente appropriata, sia per sostenere il morale delle truppe, sia per lanciare un segale di amicizia ai nazionalisti egiziani, che fremevano ed erano sul punto di scatenare un’insurrezione antibritannica, presentandosi nelle vesti di protettore dell’Islam e della loro causa patriottica. Era perfino già stato individuato colui che avrebbe ricoperto la carica di governatore civile dell’Egitto (quello militare sarebbe stato, per il momento, Rommel): Serafino Mazzolini (1890-45), già ambasciatore al Cairo presso Farouk.
E i tedeschi, cosa ne pensavano del disegno italiano di impadronirsi dell’Egitto? Erano d’accordo. Il Mediterraneo rientrava nell’area di interessi italiana e nessuno, a Berlino, aveva intenzione di ostacolare l’insediamento strategico italiano nella Valle del Nilo, nemmeno Hitler. A proposito di quest’ultimo, il grosso pubblico ha un’immagine inesatta e spesso caricaturale del Führer, che viene abitualmente rappresentato come un politico cinico, amorale e psicopatico. Lungi da noi volerlo riabilitare, moralmente o politicamente; constatiamo, tuttavia, che verso di lui sono stati sospesi i normali criteri della storiografia e che si è dato per scontato che fosse incapace di lealtà e correttezza nei rapporti internazionali. Questa però è una semplificazione della sua complessa figura non priva di ambiguità e contraddizioni. Hitler divideva nettamente uomini e nazioni in due categorie, amici e nemici; e verso alcuni nemici, come gli inglesi, nutriva un sincero e profondo rispetto (anche se non ricambiato). Verso i nemici che considerava inferiori dal punto di vista razziale e culturale, come gli slavi, e specialmente i polacchi, non nutriva che disprezzo; verso gli ebrei, sappiamo come la pensava, anche se è tutto da dimostrare che egli avesse in mente una soluzione finale, intesa come sterminio fisico, sin da prima della Seconda guerra mondiale e specialmente della svolta costituita dalla battaglia di Mosca e dal fallimento dell’Operazione Barbarossa, nell’inverno 1941-42. Degli italiani non aveva disistima, al punto di aver legato la sua politica estera, fin dal 1933, all’alleanza con Roma, e da aver imposto a tal fine la sospensione della propaganda pangermanista in Alto Adige; ma era nei confronti di Mussolini che provava qualcosa di molto simile alla vera amicizia, oltre che un’ammirazione e una fedeltà incondizionata. La parola "fedeltà" aveva, per lui, un significato quasi nibelungico: a differenza di Stalin o anche di Churchill, era un sentimentale che permetteva alle sue simpatie personali di influenzare anche il giudizio politico. È per tale simpatia verso l’Italia che i fatti del 25 luglio e dell’8 settembre ’43 lo colpirono tanto dolorosamente, facendolo sentire tradito. A suo modo, era perfino un romantico. La complessa e ardita operazione che portò alla liberazione del Duce dalla prigionia del Gran Sasso (in codice, Operazione Quercia), il 12 settembre 1943, nasce sì da un calcolo politico, ma prima e soprattutto da un reale sentimento di cameratismo, stima e amicizia nei confronti del suo collega italiano, anche se l’ironia della storia ha voluto che, per Mussolini, quella liberazione si risolvesse in una vera tragedia, non solo politica ma umana, anche di tipo familiare.
Abbiamo una fonte insospettabile di quel che realmente pensava Hitler degli uomini e dei fatti della politica contemporanea, nel suo segretario personale Henry Picker, chiamato dal 1° luglio 1941 al quartier generale del Füher per raccogliere i discorsi che questi, la sera, dopo cena, teneva con la più stretta cerchia dei suoi collaboratori. In quelle occasioni Hitler si lasciava andare e, a detta di tutti quelli che lo conobbero, esprimeva con assoluta sincerità il suo pensiero, abbandonando le cautele diplomatiche della politica ufficiale. Ebbene, la sera del 9 luglio 1942, durante la prima battaglia di El Alamein (combattuta dal 1° al 27 luglio), nella quale 56.000 italiani e 40.000 tedeschi, con meno di 600 carri armati e di 500 aeroplani, affrontarono e sconfissero 150.000 britannici con 1.100 carri armati e oltre 1.500 aerei, Hitler svolse le seguenti considerazioni (da: Henry Picker, Conversazioni di Hitler a tavola, 1941-1942; titolo originale: Hitlers Tischgespräche, Stuttgart, Seewald Verlag, 1963; traduzione dal tedesco di Emmerico Guiscardi, Milano, Longanesi & C., 1970, pp. 94-96):
A cena Hitler esamina in primo luogo gli avvenimenti militari in Egitto. Rivolto a Hewel, osserva che il ministero degli esteri non deve, nel caso di un’occupazione di Alessandria o del Cairo, mettersi in testa di inviare un residente in Egitto. Nella persona di Rommel abbiamo un generalissimo di che si è coperto di gloria immortale e che sin d’ora appare come una delle più belle figure di tutta la guerra. Sarebbe un’assurdità se il ministero degli esteri volesse metter bocca nelle faccende di Rommel.
Del resto egli, Hitler, è sempre dell’opinione che l’Egitto debba essere lasciato agl’italiani. La Germania non ha nessunissimo interesse per la sfinge egiziana,
che invece ha un’importanza vitale per l’impero italiano. In simili circostanze, se noi mandassimo un residente in Egitto, ci esporremo a pericolosi dualismi. Dopo un precedente del genere, gl’italiani potrebbero pretendere d’inviare un proprio residente nel Caucaso, il giorno in cui avremo conquistato questa regione che a noi sta particolarmente a cuore. In Egitto non [probabile refuso per "noi"] dovremo semplicemente affiancare al residente italiano un uomo che agisca come rappresentane di Rommel. (…)
Quanto alla futura sistemazione dell’Egitto, Hitler dichiara che gl’italiani non possono assolutamente disinteressarsi di questo pese. Il canale di Suez è vitale per loro, se non altro per le comunicazioni coi possedimenti dell’Africa orientale, l’Eritrea e l’Abissinia. Ma per assicurarsi il controllo del canale gl’italiani non potranno fare a meno di mantenere guarnigioni militari sul territorio egiziano; e se vorranno consolidare la propria posizione politica e militare in Egitto, dovranno guardarsi dal cedere a complessi d’inferiorità che potrebbero farli apparire e troppo deboli agli occhi della popolazione. In questo potranno prendere esempio dal’inglesi che, grazie alle loro secolari esperienze coloniali, hanno adottato una politica con la quale fanno dimenticare ai notabili indigeni il loro stato di sudditi di una potenza straniera.
La sorte della armi volle che l’ingresso solenne delle forze dell’Asse in Alessandria rimanesse un sogno, anche se, per un momento, il sogno era parso vicinissimo a realizzarsi. Resta il fatto che, per Hitler, era cosa scontata che l’Egitto sarebbe entrato a far parte, in un modo o nell’altro — cioè tenendo conto del nazionalismo arabo, fomentato proprio dalla Germania e dall’Italia – dell’impero coloniale italiano, che, dalla Libia, sarebbe giunto senza interruzioni, attraverso l’alta Valle del Nilo e il Canale di Suez, fino all’Oceano Indiano, con la restituzione, a guerra finita, dell’Etiopia e degli altri territori africani perduti nel corso del 1941. Hitler aggiunge alle sue dichiarazioni una riflessione di carattere psicologico che non è priva di acutezza: per farsi rispettare dagli egiziani, gli italiani avrebbero dovuto prendere a modello gli inglesi, a loro volta ammaestrati da secoli di conquiste coloniali a dominare sui popoli extra-europei, senza mescolarsi con essi e lasciando ai loro notabili l’illusione di una certa indipendenza, mediante un trattamento privilegiato che ne faceva, di fatto (come in India) gli strumenti indiretti del dominio britannico. D’altra parte, gli italiani, nella loro pur breve esperienza di potenza coloniale, avevano sviluppato un una mentalità diversa e, checché se ne dica, più rispettosa nei confronti dei popoli soggetti, anche sotto il profilo giuridico ed economico, perché intimamente meno razzista (cfr. il nostro articolo: Il confronto tra colonialismo inglese e italiano, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 16/11/13 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 03/12/17). Non si trattava, come allude Hitler, di un complesso d’inferiorità (anche lui, del resto, lo aveva nei confronti degli inglesi: si veda il "mistero" di Dunkerque e l’altro, ancor più grande, legato al volo in Scozia di Rudolf Hess), ma di qualcos’altro, di più profondo. Oltretutto, il fascismo aveva sobillato il nazionalismo arabo e quindi sapeva che, almeno in quell’area geopolitica, il tempo degli imperi coloniali era giunto alla fine. Chi non lo capì fu Churchill, che ancora nel 1942 era lontanissimo dall’idea di concedere l’indipendenza all’India…
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