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Come distruggere un grande Paese in tre mosse

L’Italia, contrariamente a quello che pesano molti suoi figli, non è un piccolo Paese, ma un grande Paese: uno dei maggiori d’Europa — per popolazione, superficie, peso economico, prestigio storico culturale — e uno dei maggiori al mondo. La sua moneta, fra gli anni ’50 e ’60 del Novecento, è stata una delle più forti al mondo; la sua riserva aurea è tuttora una delle maggiori, e lo stesso vale per la quantità di risparmio privato. Pertanto, anche se i nostri "esperti" e, naturalmente, queli stranieri, ci dicono e ci ripetono il contrario, la nostra situazione potenziale non è affatto disperata:, senza parlare della struttura industriale che, per quanto depauperata dagli effetti della crisi, è tuttira in piedi e, se opportunamente rivitalizzata, potrebbe consentire un nuovo balzo in avanti, come è stato all’epoca del boom. La maggior parte delle nostre imprese in sono entrate in crisi per cattiva gestione ma per l’assenza di una classe dirigente capace di, e soprattutto intenzionata a, tutelare gli interessi dell’industria, dell’agricoltura e del commercio nazionali. A ciò si aggiunge il peso di una macchina burocratica elefantiaca, di una fiscalità assurdamente rapace, di una generale mentalità statalista, parassitaria, assistenzialistica e nemica dello spirito imprenditoriale. Chi guadagna viene visto non come uno che crea posti di lavoro, ma come uno sfruttatore del popolo; lo Stato non incentiva l’impresa, ma moltiplica gli impiegati addetti a spremere ricchezza, peraltro con esisti fallimentari, perché manca la volontà politica di frenare l’esodo dei grandi capitali. Perciò si crea il paradosso di uno Stato che impone le tasse più alte d’Europa senza saperle utilizzare per migliorare i servizi pubblici e favorire l’impresa; e che non sa invogliare gli investimenti, né trattenere i propri imprenditori, e neppure offrire uno sbocco professionale ai suoi giovani laureati. I fondamentali dell’economia sarebbero assai migliori di quel che si creda, ma è come se un nemico occulto facesse di tutto per allargare le falle del sistema e trasformarle in voragini incolmabili. In effetti questa non è solo una sensazione, ma corrisponde ad una amara realtà di fatto: chi governa l’Italia non ha alcun interesse a favorire la sua ripresa; il suo interesse, al contrario, è quello di affrettarne la bancarotta, perché solo allora potrà realizzarsi il piano occulto che è stato scritto a insaputa degli italiani e sopra le loro teste: quello di trasformarla definitivamente in una colonia della grande finanza internazionale, della BCE da una parte, di Wall Street dall’altra. Cosa ci guadagnano gli uomini di governo italiani? Niente: di accreditarsi una volta per tutte come i proconsoli di un potere estraneo e di goderne tutti i relativi privilegi, senza doversi accollare l’onere fastidioso di governare in proprio, il che significherebbe assumersi la responsabilità del buon andamento del sistema Paese. Finora essi hanno governato l’Italia per conto di altri: Washington e Bruxelles. E poiché quei poteri hanno deciso che l’azienda Italia deve fallire, essi hanno la matematica certezza di poter conservare i loro privilegi, i loro alti stipendi e il loro dorato sistema di vita anche dopo che l’azienda sarà fallita e verrà messa in liquidazione. Esito estremo di una mentalità statalista e ani-impresa coltivata religiosamente per anni, per decenni: agendo in tal modo, i politici italiani, specie del’area di centro-sinistra, non si sentono dei traditori del proprio Paese (il loro Pese è il mondo: niente muri ma solo ponti, come dice il loro vero leader carismatico, Bergoglio), ma come dei giustizieri nei confronti dei ricchi e come dei campioni dei "diritti". Che una coppia di omosessuali maschi possa volare in Canada, comparare un bebè da una donna povera e poi tornare a goderselo in casa loro, come "papà" e "mamma", da essi è percepito come una conquista di civiltà non inferiore, semmai superiore, alle banali lotte per la giustizia sociale del secolo scorso. Non lo dicono, ma lo pensano; e infatti agiscono di conseguenza; sebbene "pensare" sia forse una parola troppo grossa per costoro. Sarebbe più esatto dire che lo "sentono", a livello epidermico, con l’egoismo e l’arroganza di chi è abituato, da sempre, a sentirsi più in su dei comuni mortali, moralmente migliore, politicamente più scaltro, culturalmente più evoluto. Si considerano la crema, dei poveri sanno solo parlare; infatti non si accorgono dei 5 milioni di cittadini italiani in povertà assoluta.

Per queste ragioni, l’Italia è un Paese moribondo: l’economia è a crescita zero, la demografia va ancora peggio: con i ritmi attuali, si può prevedere l’estinzione del suo popolo a breve termine. Se ciò non avverrà, o meglio se non se ne avrà l’esatta percezione, è perché da tre decenni qualcuno ha deciso che l’Italia deve diventare una provincia dell’Africa islamica e la sua popolazione deve essere sostituita dagli immigrati afro-islamici: versione aggiornata e corretta del Piano Kalergi, il quale, peraltro, riguarda tutto il continente europeo. C’è chi lo ha capito e c’è chi non lo ha capito, perché non lo vuol capire. Orban lo ha capito; Putin lo ha capito; i vari Merkel, Macron, Renzi, nin è che non lo abbiamo capito, ma sono parte del sistema di auto-distruzione programmata degli Stati europei, della sovranità europea, della identità europea e della sopravvivenza europea. L’Europa deve scomparire; l’Italia, per varie ragioni, anche geografiche, è suo malgrado il laboratorio destinato alle prove generali. Ventre molle d’Europa, come fu definita da Churchill durante la Seconda guerra mondiale, è il primo Paese di approdo degli invasori afro-islamici malamente mascherati da profughi o da naufraghi, e i dirigenti franco-tedeschi hanno deciso di far di essa il campo profughi di tutta l’Unione Europea. S’illudono, naturalmente, perché l’ondata migratoria, per mille strade e con mille espedienti, non conosce frontiere e ha già ampiamente saturato anche i loro Paesi e sconvolto i loro equilibri sociali; intanto, nondimeno, coltivano il disegno di procrastinare la loro implosione scaricando il peso principale delle migrazioni afro-islamiche sull’Italia. La quale Italia, essendo priva, di fatto, di una vera classe dirigente, è l’obiettivo ideale di una simile manovra, le cui tenaglie sono due: la pressione finanziaria esercitata dalla BCE per spogliare economicamente il Paese, de-industrializzarlo e mortificare in maniera permanente le sue capacità produttive; e l’invasione afro-islamica, sponsorizzata e finanziata, in vari modi, dalla grande finanza internazionale, allo scopo di meticciare prima, e infine sostituire la sua popolazione. Pertanto le due questioni, il ricatto permanente esercitato dalla BCE, per mezzo dell’euro, sulla nostra vita economica, e gli sbarchi e gli arrivi incessanti, anche via terra, di decine e centinaia di migliaia d’immigrati provenienti dalla sponda sud e in parte anche da quella est del Mediterraneo, sono strettamente correlate: sono due facce della stessa medaglia. Per far sì che gli italiani ne abbiano una percezione diametralmente opposta al vero, i mass-media, tutti infeudati alla grande finanza, non fanno che ripeterci che non c’è salvezza al di fuori della UE, e che gli immigrati sono una risorsa, perché risolvono, in un certo senso, il problema delle culle vuote: due menzogne spudorate, che anche un cieco riconoscerebbe come tali, e che, nondimeno, ci vengono rifilate da una trentina d’anni, dai massimi livelli istituzionali in giù, fino all’ultimo opinionista, sindacalista e scribacchino, senza aver provocato (ancora) una rivolta popolare. Del resto, basta prendere l’aereo e in un’ora si arriva a Bucarest, a Budapest, a Praga, a Varsavia — lasciamo da parte la Russia, per adesso; e cosa vede, di primo acchito anche il viaggiatore più distratto? Economia in crescita e nessun africano per le strade. Ora, ci piacerebbe domandare ai vari Renzi, Boldrini, Delrio, Fratoianni, e naturalmente ai vari Bassetti, Galantino, Perego e Spadaro: sono dei pazzi, degli incoscienti, dei criminali, i governanti romeni, ungheresi, cechi, polacchi, i quali non ne vogliono sapere di lasciar andare le loro monete per entrare gloriosamente nell’euro e sottomettersi ai voleri della BCE, cosa che immediatamente li condurrebbe nel meccanismo infernale del debito pubblico? Eppure, da noi, non solo i politici, e gli intellettuali, ma anche fior di economisti, suo tempo, dissero e predicarono in tutte le salse che dovevamo assolutamente entrare nell’euro, che se avessimo perso quel treno ci saremmo ritrovati in Africa, eccetera: e infatti in Africa ci siamo arrivati davvero, anzi, per dir meglio, è l’Africa che è arrivata da noi. E sono forse tutti quanti dei razzisti, dei fascisti, dei nazisti, per il fatto che non accettano rassegnati la logica dell’invasione programmata, non si lasciano bellamente infinocchiare dalle balle sui "disperati che fuggono da guerra e fame", e che, se necessario, come ha fatto Orban, in poche settimane stendono una rete di 400 km. per difendere i loro confini, dato che la parola "confine", da loro, ha conservato l’accezione originaria e naturale, ossia linea di protezione della propria patria, e non ha ancora acquisito la valenza puramente negativa, di chiusura e di esclusione dell’altro, che ha acquistato da noi, grazie all’opera incessante dei giornalisti prezzolati, dei politici venduti ad interessi stranieri e dei preti marxisti o dei vescovi acquisti alla massoneria e al Piano Kalergi?

Un grande Paese come il nostro, pertanto, può essere distrutto, letteralmente, distrutto, in tre mosse, purché la sua classe politica si presti all’operazione.

La prima mossa è quella finanziaria: lo si spoglia della sua sovranità monetaria, dapprima separando il Ministero del Tesoro alla dirigenza della Banca Centrale – nel nostro caso, la Banca d’Italia, che diventa così, definitivamente e a tutti gli effetti, una banca privata, o una cordata di banche private – e poi facendolo entrare in una unione monetaria internazionale dotata di una moneta troppo forte per la sua economia e per il suo sistema fiscale, provocando la crescita esponenziale del debito e la spirale affannosa degli interessi da pagare annualmente sul debito stesso. In questo modo lo si priva sia della possibilità di rimettersi in pareggio svalutando la propria moneta, per riprendere fiato e favorire le esportazioni e gli investimenti stranieri, turismo compreso, sia della possibilità di stampare moneta per rimediare alla carenza di denaro liquido (quante imprese in buona salute sono fallite perché lo Stato, che era loro debitore, non ha pagato in tempi ragionevoli le commesse, e le banche non hanno voluto sentir ragioni?).

La seconda mossa è quella di farlo invadere, quotidianamente, da masse straripanti di africani e asiatici, presentati per lo più come poveri profughi e poveri naufraghi, mentre non sono né l’una cosa, né l’altra. Non sono profughi, perché i dati ufficiali del Ministero dell’Interno parlano di oltre il 90% delle domande respinte per l’insussistenza delle motivazioni; dopo di che quei signori, ultra sindacalizzati dal personale delle associazioni di volontariato preposte all’assistenza, presentano regolare ricorso, sempre a spese dello Stato italiano, visto che loro soldi non ne hanno, benché abbiano speso 3 o 4 mila dollari per fare il "viaggio della speranza", intasando il sistema della giustizia e allungando a tempo indeterminato i tempi della loro permanenza in Italia, sempre a spese del contribuente italiano e a danno dei cittadini italiani poveri (ma non è detto che la cosa dispiaccia a certi avvocati e a certi magistrati che campano soprattutto di quello; e lo scarso rammarico non dipende forse solo da nobili ragioni umanitarie, visto che, come diceva Giulio Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca quasi sempre). E non sono neppure dei naufraghi, se le parole del vocabolario italiano hanno ancora un minimo di senso, perché non è naufrago chi si mette in mare in condizioni precarie, al preciso scopo di farsi "soccorrere" a poche miglia dal porto di partenza, e farsi poi condurre nel porto da lui voluto, anche minacciando lo sciopero della fame o di gettarsi in acqua, e perfino minacciando di aggredire fisicamente l’equipaggio della nave soccorritrice; e di farsi condurre non già nel primo porto utile a disposizione, come sarebbe logico in presenza di veri naufraghi. Il vero naufraugo, al contrario, è chi, per cause indipendenti dalla sua volontà, improvvisamente e inopinatamente si trova in pericolo di naufragare, ed è ben lieto di essere soccorso e fatto sbarcare in qualsiasi lembo di terra.

La terza mossa è di tipo culturale. Si tratta di martellare sempre gli stessi slogan, incessantemente, ossessivamente, senza tregua. Bisogna dire e ripetere fino alla nausea che quel Paese non ha un futuro se non entra nella moneta unica europea e se non accetta di buon grado di sottoporsi a tutte le indicazioni, le imposizioni, le "ricette" della BCE, pena il commissariamento e il sequestro dei cordoni della borsa da parte dei commissari di Bruxelles, come accaduto in Grecia. Al tempo stesso (e pazienza per la logica) si dice e si ripete a quel popolo, la cui economia è in affanno, con milioni di poveri e disoccupati, che è suo dovere e suo vantaggio spalancare i porti e le frontiere ai migranti che arrivano dall’altra parte del mare: anche se perfino un bambino capirebbe che, in questo modo, si fa precipitare il costo del lavoro e si toglie ai disoccupati italiani l’ultima speranza di uscire dalla loro situazione e di risalire la china della miseria. Se, poi, a questa campagna martellante si unisce anche la Chiesa, con la sua presenza capillare sul territorio e col prestigio della sua autorità, la macchina della persuasione diviene quasi perfetta; e pazienza se la chiesa che predica simili cose non è più la vera Chiesa cattolica, ma una sua contraffazione, e se alla sua testa si è installata una cricca di prelati massoni e traditori, i quali se ne infischiano del Vangelo di Gesù ma sono avidi solo di potere e di piaceri vergognosi (vedi la lobby gay che spadroneggia in Vaticano).

È un piano semplice, in fondo, e funziona grazie al tradimento della classe dirigente e del clero (e pazienza per cose secondarie come la fede dei cattolici). Perciò Salvini andava eliminato a ogni costo: è un elemento indisponibile a farsi strumento della servitù italiana verso la finanza straniera…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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