Il vero padre della (loro) patria è Pulcinella
31 Agosto 2019Dobbiamo auto-educarci ripartendo da zero
1 Settembre 2019Quando ci si trova a vagare in un paesaggio desolato, fatto di macerie — ad esempio, per le strade di una città rasa al suolo da un bombardamento aero — accade di non riuscire più a cogliere l’esatto senso delle proporzioni. Vedere a terra, sbriciolati, palazzi che si alzavano orgogliosamente per otto, dieci piani, e torri in cemento armato, e chiese coi loro aguzzi campanili; aggirarsi negli spazi vuoti che poche ore prima erano pieni, in una dimensione orizzontale che era verticale, in mezzo ad angoli irregolari che fino a poco prima erano perfettamente regolari, genera un senso d’irrealtà e di totale confusione spaziale. Ciò che era immenso è divenuto piccolo, e ciò che era piccolo — le singole pietre, i singoli mattoni, le singole tegole — è ora divenuto grande, ostacola i nostri passi, acquista proporzioni smisurate.
Ebbene: tale è la nostra situazione di cittadini della civiltà moderna, giunta nella fase pre-agonica. Complici i grandi e piccoli cattivi maestri che hanno deformato il nostro sano, istintivo criterio di giudizio — ad esempio, i critici d’arte che ci hanno insegnato ad ammirare le magnificenze del re nudo, facendo in modo che noi non lo vedessimo nella sua laida, ripugnante nudità — l’abitudine a vedere e giudicare cose e persone non per il loro valore intrinseco, ma per la cornice in cui si presentano, per il codazzo di ammiratori che li elogiano, per le apparenze scintillanti in cui si presentano, per il fascino perverso che suscitano quando fanno leva sui nostri istinti più basi e primitivi, abbiamo letteralmente disimparato a valutare le giuste proporzioni e ci accade continuamente, così come vuole il potere dal quale siamo telecomandati, di scambiare ciò che è minuscolo per qualcosa di gigantesco, e — viceversa – di disprezzare come irrilevante e meschino ciò che, invece, è nobile e sublime. Ecco allora che degli oggetti brutti, volgari, inutili, però alla moda, ci appaiono meravigliosi e desiderabili in sommo grado; mentre oggetti graziosi, sobri e utili vengono ignorati come se non valessero nulla, o derisi come sorpassati e anacronistici. Ed ecco che delle persone stupide, ignoranti, presuntuose, ma dotate di sufficiente narcisismo e sfacciataggine, e abili nel ridestare in noi ciò che di torbido e perverso giace al fondo, vengono acclamate, osannate e idolatrate, colmate di onori e sommerse da fiumi di denaro; mentre persone di valore, intelligenti, sensibili, oneste, passano inosservate, quando addirittura non divengono oggetto di motteggi, di facezie e d’ironie di ogni genere. In breve: abbiamo totalmente smarrito il senso delle proporzioni; non siamo più capaci di giudicare sulla base del più elementare buon senso; ci affidiamo e ci lasciamo trascinare dal giudizio altrui, o meglio dal giudizio telecomandato che il potere finanziario esercita su di noi mediante il cinema, la televisione, la pubblicità, la moda, la stampa, e, ahimè, sovente anche la cosiddetta cultura, la scuola, l’università, la famiglia stessa e, da ultimo, perfino la chiesa, la quale a sua volta si è felicemente intruppata nell’esercito mondano e spregiudicato della Città terrena, dopo aver disertato la Città di Dio. Un esempio per tutti: i vergognosi met-gala coi paramenti sacri dei pontefici indossati da attori e modelle sguaiati e dissoluti, in un contesto più che profano, erotizzante e blasfemo: il tutto per denaro e con la convinta benedizione di cardinali (filo-massoni) come Gianfranco Ravasi.
Come è possibile che cantanti rock, supermodelle e rapper da quattro soldi abbiano conquistato a tal punto l’immaginario, da avere milioni di fan, disposti ad aspettare ore per acquistare il biglietto dei loro spettacoli, o, se non possono farlo, felici di stare ore e ore inchiodati davanti alla televisione per poterli seguire anche da casa? Eppure è possibile, anzi, è il pane quotidiano dell’universo giovanile. Parliamo di artisti dotati d’un certo talento, ma che lo sfruttano per fini bassamente commerciali; e parliamo anche di beate nullità, il cui unico merito è di saper interpretare il vuoto totale che è entrato nella mente e nel cuore dei giovani, e il crollo irreparabile del sano gusto estetico. In ogni caso, indipendentemente dal loro valore artistico, sul quale si può discutere caso per caso, è un fatto che questo esercito di uomini e donne di spettacolo esercita sui giovani, oggi, un’influenza enorme, di gran superiore a quella che possono esercitare le tradizionali agenzie educative, dalla famiglia alla scuola. Ed è pure innegabile che il messaggio sociale e morale che essi diffondono, sia con i testi delle canzoni, sia con il modo fisico di porsi, sia con tutto l’atteggiamento, l’abbigliamento, la coreografia, è quanto di peggio si possa immaginare dal punto di vista dei valori che un ragazzo dovrebbe apprendere, mano a mano che si avvicina all’età adulta, con le responsabilità e i doveri che, in teoria, dovrebbe iniziare ad assumersi. A ciò si aggiunga che, molto spesso, questi miseri divi dello spettacolo non si accontentano di farla dentro il loro vasino, ma pretendono di farla anche fuori: ed eccoli impancarsi a sapienti, a tuttologi, a predicatori di morale, di politica, di economia, di psicologia, di religione e di chissà che altro. Sfruttano la loro celebrità, la loro visibilità, la loro ubiquità, per invadere tutti gli spazi e per sermoneggiare all’incontrario, diffondendo pessimi principi con un’aria falsamente impegnata, con una ostentazione di politicamente corretto che fa venire i brividi. Di che cosa non sono preoccupati e pensosamente allarmati? Dal debito alla deforestazione, dai migranti al razzismo, dalla povertà al clima, dai pregiudizi omofobi alle meraviglie del femminismo, di tutto s’interessano, di tutto si coinvolgono, su tutto ci esortano a fare in un certo modo e non un altro. Sono in buona compagnia, del resto: non udiamo forse il papa dei cattolici, il signore argentino vestito di bianco, intervenire continuante sul clima, sulla foresta amazzonica, sul problema della plastica? Lo ha detto proprio ieri, sabato 31 agosto 2019: ciò che inquieta l’anima del papa è il problema della plastica. Non l’allontanamento degli uomini da Dio; non il peccato, con cui l’uomo sfigura la sua relazione col Padre amorevole; e neppure la necessità della Grazia, che restituisce la pace e l’unione con Dio; no: il problema dei problemi è lo smaltimento della plastica.
Il messaggio trasmesso da quei signori è perciò altamente negativo sia per quanto attiene ai contenuti, sia per la forma e i sottintesi: e cioè che l’improvvisazione cialtrona, l’esibizionismo volgare, la mancanza di pudore e dignità, lo scimmiottamento delle cose più brutte e scovenienti sono elementi positivi, da ammirare, perché conducono al successo, e inoltre perché immettono nella noia della vita quotidiana una nota d’intensità emotiva, una scarica, come si usa dire, di adrenalina. La domanda che ci dovremmo fare, pertanto, è perché i giovani trovino così grigia e noiosa la vita quotidiana, da aver bisogno di simili "sballi", che si accompagnano al fumare, al bere senza misura, all’assunzione di droghe più o meno leggere e più o meno pericolose. Possibile che i loro genitori, la scuola, la chiesa, la società tutta, non abbiano saputo inculcar loro un po’ di senso del bello, del giusto, del vero? Che non li abbia fatti innamorare neanche un poco della vita vera, con le sue gioie e i suoi dolori (sì, anche quelli!), con le sue soddisfazioni e le sue pene (certo, anche le pene, perché fanno parte della vita), invece delle immagini seducenti, ma ingannevoli, di una passionalità disordinata e di una sensualità senza freni né limiti? È evidente che i divi dello spettacolo riempiono un vuoto: ma perché si è creato quel vuoto? Il problema da affrontare, evidentemente, giace a monte. La nostra è una società che ha smarrito, o meglio che ha distrutto tutti i valori, e li ha sostituiti con la corsa al successo, al denaro, al tutto e subito: e questi sono i naturali risultato. Chi se ne scandalizza, chi se ne meraviglia, è uno sciocco o un ipocrita. Non si può seminare il nulla senza raccogliere, alla fine, il nulla. È una vera ironia, del resto. Quei signori, quei parassiti, si godono la celebrità e guadagnano somme favolose predicando la nostra distruzione e la rovina dei nostri figli. È la strategia del cuculo: la vittima deve mantenere il suo carnefice. Chi paga il biglietto ai concerti e accompagna in discoteca i figli minorenni; chi indirizza le figlie ai provini di miss Italia, se non i volonterosi genitori? Perciò una generazione impazzita riceve la giusta mercede della propria follia: pagando quelli che stanno minando le basi della società e al tempo stesso facendo arricchire quelli che la detestano.
La stessa confusione che regna nel mondo dello spettacolo, domina anche il mondo della cosiddetta cultura, ove imperversano i cosiddetti intellettuali e dettano legge i premi letterari e in genere i riconoscimenti dell’establishment politicamente corretto. La gente fa la fila e si pigia in sala per udire la conferenza del noto filosofo ***, il cui merito principale non è quello di dire cose profonde, interessanti e intelligenti, ma di apparire continuamente in televisione e perciò di essere un volto noto ai frequentatori del piccolo schermo; ma le conferenze di un filosofo assai più originale e profondo passano inosservate, perché costui non ha un volto reso celebre dalle frequenti apparizioni nei salotti televisivi. E che dire dei romanzi "più venduti" in libreria, delle poesie incluse nelle antologie scolastiche, delle teorizzazioni nel campo delle arti figurative, dell’architettura, dell’urbanistica, dell’archeologia, dell’assetto del paesaggio urbano? Anche qui, come in tutto il resto, giocano in regime di monopolio i soliti noti, sostenuti da tutta la struttura della cultura "ufficiale", la quale, per suprema beffa, ama presentarsi in vesti anticonformiste e trasgressive, nonché assertrice di libertà e pluralismo; ma guai a chi la contesta frontalmente! La sola libertà consiste nel discutere i dettagli, la sola tolleranza è rivolta a quanti sottoscrivono il disegno d’insieme e si sbizzarriscono, semmai, ad arzigogolare sui particolari secondari e del tutto ininfluenti. Sappiamo che fine fanno gl’incauti, o i coraggiosi, che osano chiamar le cose con il loro vero nome, smascherando le bugie e le mistificazioni del politicamente corretto: scompaiono per sempre dalle televisioni, scompaiono dalle colonne dei giornali, scompaiono dai programmi radiofonici. Gli intellettuali come si deve cessano perfino di pronunciare il loro nome, perché sarebbe far loro troppo onore; se per caso, qualche rara volta, li citano, è solo per denigrarli, deriderli, insultarli. Tanto, non si corre nessun rischio a pigliarsela con chi è solo ed estromesso da tutti i salotti buoni; che si prenda un avvocato e provi a far denuncia, se ne ha il coraggio: e poi vedremo come andrà a finire. Ma come andrà a finire, lo si sa già in anticipo: con il tipo di magistratura che abbiamo oggi, in Italia, le probabilità di ottenere ragione, in un caso come quello ora evocato, sono press’a poco pari a zero. Se si è fuori dal sistema, non si conta nulla e ci si deve rassegnare a essere trattati come lebbrosi.
La stessa difficoltà di mettere a fuoco le vere proporzioni delle persone si riscontra al livello della vita d’ogni giorno, con coloro coi quali si è sempre a contatto: amici, conoscenti, vicini, colleghi di lavoro. Quante volte non ci è capitato di scoprire che avevamo enormemente sopravvalutato certe persone, che pure pensavamo di conoscere abbastanza bene; e, viceversa, di averne sottovalutate altre, in misura non meno colossale? Quante volte abbiamo sprecato i nostri sentimenti, rivolgendoli a persone indegne, le quali, però, avevano il vantaggio di presentarsi bene, di avere un bell’aspetto, di apparire simpatiche, disinvolte, briose, ben vestite e truccate, acconciate, ingioiellate, e magari anche un po’ sexy, il che non guasta? E quante volte ci siamo accorti, ma solo quand’era tardi, di aver degnato di scarsa o nessuna considerazione persone che, invece, alla fine si sono rivelate mille volte migliori di quel che credevamo? A ciò si aggiungono gli effetti del cambiamento sociale, culturale e antropologico verificatosi negli ultimi cinquant’anni. A quanti ora sono sulla sessantina era stato insegnato, fin da bambini, a rispettare sempre le persone investite di qualche funzione o autorità; e ad avere quasi una venerazione per il sesso femminile. Merito della serietà con cui si preparavano i pubblici funzionari e, nel caso della donna, merito delle nonne e delle mamme di quel tempo, che erano veramente i pilastri della famiglia e della casa; e mettiamoci pure le maestre e le suore dell’asilo o del collegio. Oggi succede, molto spesso, d’imbattersi in persone ricoperte d’autorità, che, sul piano umano, sono grette, meschine, ignoranti, e insomma usurpano la stima di cui la loro funzione le avvolge. Quanto alle donne, la cultura femminista ha prodotto disastri talmente apocalittici, che l’angelo della famiglia è divenuta, sovente, una creatura alienata, sradicata, scontenta, nevrotica, intemperante, lussuriosa, velleitaria, frustrata, madre incapace, moglie frigida e pessima figlia dei genitori anziani. Si fa fatica a separare l’immagine idealizzata di alcune categorie di persone dalla realtà dei fatti: la triste verità è che, a partire dall’irruzione della modernità, cioè a partire dal boom e dalla moda del consumismo, la qualità intrinseca delle persone, la loro sensibilità, il loro buon gusto, la loro affidabilità, la loro onestà e perfino la loro intelligenza (ci sono degli studi ben precisi in merito) hanno conosciuto un vero e proprio tracollo. Si confronti un bambino di terza elementare di oggi con uno di due generazioni fa; un apprendista di oggi, uno studente universitario di oggi, un giovane impiegato, o un piccolo imprenditore, o un professionista, un medico, un dentista, un notaio, un giudice di oggi, con quelli di due generazioni fa. Senza generalizzare e senza forzare il discorso, e pur ammettendo notevoli eccezioni, il confronto risulta del tutto impari per gli uomini e le donne d’oggi. Nel regno della quantità che abbiamo costruito, la qualità è crollata; e quindi anche la qualità dei rapporti umani, dei sentimenti, della gioia di vivere…
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