Ci serve una gigantesca opera di disintossicazione
26 Agosto 2019Come mai il mondo non è quale dovrebbe essere?
27 Agosto 2019Osservate una sala piena di persone, per una riunione amministrativa, una conferenza, un corso di aggiornamento aziendale. C’è una finestra aperta, dalla quale entra in sala una molesta corrente d’aria fredda: tutti ne sono infastiditi, ma nessuno si muove, nessuno vuol prendere l’iniziativa di una cosa apparentemente tanto semplice. Solo dopo un bel po’ una persona si alza, va alla finestra e la chiude, poi torna a sedersi al suo posto; tutti provano sollievo, eppure nessuno aveva fatto quel gesto. Oppure immaginiamo che sia quasi il tramonto, e che la vasta sala sia scivolata nella penombra: ci si vede ancora, ma con una certa fatica; quelli che sono seduti nelle ultime file, ad esempio, già non riescono a scorgere i caratteri scritti alla lavagna. Tutti quanti, per così dire, cominciano a tirare gli occhi; ma ci vuole un bel po’ di tempo, quando ormai la scena comincia a diventare surreale, prima che qualcuno si alzi e vada ad accendere l’interruttore della luce elettrica: allora si leva un generale mormorio d’approvazione. Un altro gesto facile, semplicissimo: eppure, nessuno si era deciso a farlo, e perché qualcuno lo facesse è stato necessario che il locale venisse quasi invaso dall’oscurità. Potremmo fare molti altri esempi dello stesso genere. Se poi passiamo da situazioni assolutamente normali e tranquille, come quelle descritte, a situazioni impreviste e drammatiche, come incidenti stradali o ferroviari, incendi all’interno di locali pubblici, dirottamenti aerei da parte di terroristi, vedremo che la percentuale di persone capaci di assumer iniziative miranti a cercare una soluzione che sia nell’interesse comune, si riduce ulteriormente, fino a sparire o quasi. In altre parole, quanto più le situazioni sono lontane dalla quotidianità, tanto meno si trovano persone capaci d’improvvisare, di rischiare, di fare qualcosa; prevalgono la rassegnazione, il fatalismo, il lasciar andare le cose come devono andare.
Infine, se dall’ambito delle situazioni sociali e materiali si passa alla dimensione intellettuale e morale, ci si rende conto che la gran massa delle persone possiede ancor meno spirito d’iniziativa, se possibile, di quanta se ne trovi in presenza di realtà fisiche. Se un professore dice, durate la lezione, una palese ed enorme sciocchezza, quanti studenti sono abbastanza pronti e "coraggiosi" da farglielo notare? E se un comandante dell’esercito dà un ordine palesemente assurdo e ineseguibile, quanti ufficiali, quanti sottufficiali, quanti graduati o uomini di truppa sarebbero disposti a rischiare la corte marziale, rifiutandosi di riceverlo e di eseguirlo? E se un prete, durante la santa Messa, invece di parlare di Dio e dell’anima, si mette a tenere concioni politiche, sbilanciandosi fino a lodare gli uni e ad attaccare gli altri, e fornendo precise indicazioni di voto, quanti fedeli sono capaci di alzarsi in piedi, contestarlo e uscire dalla chiesa? E se poi quello stesso prete si mette a parlare dell’aborto, dell’eutanasia, delle unioni omosessuali, e invece di presentarli come peccati che spiacciono a Dio e degradano l’uomo, li presentasse come libere scelte dell’uomo, nell’ambito d’un esercizio della libertà cui egli ha diritto, quanti sono i fedeli che si rendono conto che egli non può e non deve parlare in tal modo, perché contrario alla morale cattolica e all’insegnamento della Chiesa, e sono abbastanza coerenti e saldi nei loro principi, da aspettarlo all’uscita e chiedergli con quale diritto egli si serva del pulpito e della sua stessa veste di sacerdote per diffondere idee che non hanno nulla a che fare con il Vangelo di Gesù Cristo e con il Magistero ecclesiastico? E se un papa, poniamo, si mette a predicare dottrine eretiche, che provocano sconcerto, dolore e confusione fra i credenti; e se, per giunta, si circonda di cardinali corrotti e arroganti, e frequenta personaggi notoriamente nemici implacabili della Chiesa e del suo insegnamento; e se ha parole di alta stima e considerazione per quanti esaltano e praticano l’aborto, l’eutanasia, e invocano l’utero in affitto e la libera droga per tutti, quanti fra essi, cominciando dal clero, ma anche tra i laici, sono disposti ad insorgere e dire ad alta voce che quel papa è fuori della Chiesa, che non è degno di essere papa, per la semplicissima ragione che dimostra di non essere cattolico, di non amare Gesù e di non rispettare il gregge che gli è stato affidato?
Ecco: questa è precisamente la situazione nella quale oggi ci troviamo. La natura della maggior parte degli esseri umani è fortemente gregaria, e questo potrà dispiacere a chi è malato d’ideologia democratica ed egualitaria, ma resta comunque una verità di fatto, milioni e milioni di volte dimostrata dalle cose stesse. E le persone gregarie non reagiscono agli stimoli, neppure se sollecitate e, qualche volta, provocate; lo fanno solo in casi estremi, e solo dopo che qualche individuo isolato, o una piccola minoranza di persone, si son decisi a prende l’iniziativa. Senza la presa di posizione di qualcuno che sa rompere il muro del fatalismo, i passeggeri di una nave in procinto d’affondare annegherebbero tutti, pur avendo a disposizione le scialuppe di salvataggio in numero sufficiente ad accoglierli, senza escludere alcuno. Studi specifici dimostrano che solo il 5% delle persone possiede sufficiente creatività e indipendenza per porsi in maniera critica ed autonoma di fronte alla realtà; tutti gli altri non fanno che andar dietro a quei pochi, come un gregge che ha bisogno di essere guidato dai pastori. Ora, in quel 5% ci sono sia persone dotate di un certo senso civico e di un certo senso morale, le quali si preoccupano di prendere iniziative che siano vantaggiose per la comunità, dal gesto minimo di accendere la luce in una sala affollata e semibuia, al gesto massimo di rischiare la vita per agevolare lo sgombero di un cinema in fiamme, o di un edificio pericolante; sia persone amorali, ciniche ed egoiste, che sono solite servirsi della loro capacità di agire in modo autonomo per sfruttare, ingannare, manipolare il prossimo: dal caso più semplice, quello del dongiovanni che seduce tutte le donne con false promesse e dichiarazioni d’amore, e poi le getta da parte come oggetti usati, a quello più complesso del grande leader carismatico, politico o di qualsiasi altro tipo, ad esempio del santone religioso, che sa affascinare e trascinare masse imponenti di persone, perfino milioni di uomini, senza provare alcun rispetto, e tanto meno affetto verso di esse, ma simulando abilmente tali sentimenti, per poter meglio fare il proprio esclusivo interesse.
Ci stiamo avvicinando al cuore del problema della nostra società, che è, prima di tutto, il conformismo. La stragrande maggioranza delle persone è pigra, indolente, timida, passiva, imbelle, conformista; e i meccanismi della società moderna e consumista tendono ad accentuare oltremodo, con tutta una serie di tecniche e di stili di vita, il difetto del conformismo, che poi è sostanzialmente un dato di natura. E tuttavia, si potrebbe obiettare: se il conformismo risponde a un dato naturale, perché mai dovrebbe costituire un problema? Infatti, lo è solo nelle moderne società democratiche. Nelle società pre-moderne non è un problema, perché non è un difetto, anzi non si chiama neppure conformismo: si chiama tradizione, ed è sostanzialmente una virtù. Nelle società pre-moderne, come lo era anche la società contadina che da noi si è spenta circa sessant’anni fa, i figli facevano quel che avevano appreso dai genitori: replicavano il loro modo di pensare, i loro valori, la loro filosofia di vita. Le mutate circostanze cambiavano alcuni aspetti secondari, l’essenza restava quella. Metter su una famiglia, lavorare la terra, allevare i figli, essere sobri, onesti, risparmiatori, rifuggire dal vizio, rispettare la religione, frequentare la Chiesa, morire cristianamente, circondati da figli e nipoti, lasciando loro la casa, gli animali, gli attrezzi e le responsabilità della vita: questo era l’orizzonte della loro esistenza. C’era, naturalmente, chi sgarrava, chi trasgrediva, ma non se ne vantava di certo, anche perché subiva un vero e proprio ostracismo sociale: chi si faceva la fama di ubriacone, o di attaccabrighe, o di donnaiolo, veniva emarginato e finiva per mettere la testa a posto, o per andarsene. Fare le cose che avevano fatto i genitori, e prima ancora i nonni; pensare come loro, regolarsi come loro, condividere i loro valori: tutto ciò non era considerato segno di scarsa iniziativa o di sottomissione, bensì di maturità e saggezza di vita. Il contadino sa, o meglio sapeva (perché la figura del contadino è scomparsa, sostituita da quella dell’imprenditore/operaio agricolo) che la vita è un flusso, un ciclo; sapeva che tutto viene dalla terra e ritorna alla terra; sapeva che per far fruttificare la terra, per far prosperare gli animali, bisogna rispettare quel ciclo naturale e che esso non può essere forzato, non può essere snaturato. Il contadino non era per niente sindacalizzato e tanto meno politicizzato. Se fittavolo, o mezzadro, aspettava con trepidazione la scadenza autunnale dei patti colonici, ma non si ribellava se il proprietario non gli rinnovava la fiducia. Rassegnazione? Certo; ma anche consapevolezza della profonda diversità dei ruoli. Il piccolo contadino indipendente, poi, non desiderava che godersi in pace, e se possibile ampliare, ma senza smanie di grandezza, la propria terra; non voleva sentir parlare di cambiamenti politici e sociali, meno che mai di rivoluzione, perché aveva già tutto ciò che poteva desiderare: una solida casa, una numerosa famiglia e abbastanza terra da poterci vivere dignitosamente, senza dover domandare niente a nessuno. Insomma: il classico sogno di autosufficienza piccolo borghese, come sprezzantemente lo definivano gli intellettuali marxisti: magari i figli di quegli stessi contadini che con infiniti sacrifici li avevano mandati all’università, perché vi imparassero — magari nel calderone del ’68 o del ’77 – quelle belle cose: che i loro genitori erano solo dei meschini crumiri, dei reazionari egoisti e insensibili ai problemi sociali.
Poi, però, è arrivata la modernità; e con la modernità è arrivata la democrazia: e, quel che è peggio, l’ideologia democraticista, ossia quella ideologia secondo la quale la democrazia, e solo la democrazia, è la forma di governo che si addice a una società civile, degna di questo nome; tutto il resto non è che arretratezza, sfruttamento e ignoranza. Il democraticismo, che esaspera la politicizzazione e la sindacalizzazione dei suoi membri, al punto da non riconoscerli come tali se non sotto la categoria del "cittadino" e del "lavoratore", non solo pretende che l’intelligenza, le qualità morali, l’onestà e la laboriosità di ciascuno siano più o meno equivalenti a quelle di tutti gli altri, ma anche che tutti siano egualmente interessati alle sorti della cosa pubblica, naturalmente esperti in eguale misura e del pari competenti a giudicarle. E come potrebbero non esserlo, visto che tutti, o quasi tutti, leggono i giornali, ascoltano i telegiornali, guardano al cinema i film di Hollywood e dintorni; e visto che giornali, telegiornali e film, nelle società moderne dominate dalle oligarchie finanziarie, sono nelle mani dei un ristretto gruppo di persone e rispondono alle stese logiche e alle stesse necessità di propaganda? La scuola di massa, la sanità di massa, i trasporti di massa, le informazioni di massa, completano il processo, alla fine del quale il cittadino/lavoratore, passando dall’adolescenza alle soglie dell’età adulta, è ormai perfettamente formato e plasmato, più o meno come lo sono tutti gli altri: vale a dire che è diventato un perfetto cretino, perfettamente manipolato dall’alto e ridotto a sapere, volere, sperare, temere, tutto ciò che il potere oligarchico vuole che egli sappia, voglia, speri e tema le cose che rientrano nella sua strategia di dominio e di sfruttamento globale. A quel punto, e solo al quel punto, nasce il conformismo: ed è un grosso problema, sia per l’individuo che per la società: perché esso corrisponde al "cittadino medio" che crede di sapere, di volere, di sperare e di temere ciò che egli liberamente sceglie e decide, mentre è come un burattino telecomandato, e quindi si trova a sentire, pensare, parlare ed agire in maniera apparentemente libera, ma in realtà contraria ai suoi veri interessi. È forse nell’interesse di una persona che stenta ad arrivare alla fine del mese, contrarre dei debiti per pagare, magari acquistandoli a rate, oggetti di consumo, per sé o magari per i suoi bambini dei quali potrebbe benissimo fare a meno, ma che una martellante pubblicità, e l’esempio di quel che fanno tutti gi altri, lo ha condizionato a ritenere assolutamente indispensabili, addirittura vitali? La baracca di laniera del barone sovrastata dall’antenna della televisione: ecco il binomio barbarico, che scaturisce dall’azione congiunta del condizionamento mentale e della molla potentissima del conformismo. Ed è forse nell’interesse della società il fatto che così tante persone, in pratica la quasi totalità di esse, invece di agire e comportarsi secondo una logica naturale, dettata dal buon senso e dalle necessità reali, sia dominata da passioni disordinate, da impeti irrazionali che la spingono a seguire le mode più strane e i modelli più innaturali e, non di rado, aberranti? No: il conformismo non fa bene né al singolo individuo, né alla società nel suo insieme; pure, esso è l’inevitabile prodotto delle società moderne, democratiche, consumiste e massificate. E questo perché sia la modernità, sia la democrazia, sia il consumismo, sia la massificazione, sono altrettanti prodotti delle strategie messe in campo dalle oligarchie finanziarie, le quali, stando nell’ombra, muovono tutti i fili e manipolano la gente come meglio credono. E per verificare il livello del conformismo cui è giunta la società, spingono qualche importante personaggio, qualche televisione, qualche giornale, a spingersi oltre il limite, sempre più oltre: e spiano le reazioni della gente. Reazioni che, per lo più, mancano, o sono sempre più fiacche. Legato alla catena del conformismo, il gregge umano si abitua a qualsiasi cosa, purché non vengano mai a mancargli panem et circenses.
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