Bisogna epurare gli avvelenatori dei pozzi
25 Agosto 2019
Molti cercheranno di entrare, e non potranno
26 Agosto 2019
Bisogna epurare gli avvelenatori dei pozzi
25 Agosto 2019
Molti cercheranno di entrare, e non potranno
26 Agosto 2019
Mostra tutto

Innanzitutto: sconfiggere il demone della Tristezza

La prima cosa da fare, in questa fase storica, è resistere all’assalto subdolo, incessante, vischioso, del demone della Tristezza, che vorrebbe travolgerci nel suo abbraccio e condurci all’angoscia, alla depressione e alla disperazione. Vorrebbe farci dubitare di tutto: del senso della vita, della bellezza dell’universo, della bontà infinita di Dio; e, più da vicino, del futuro destinato ai nostri figli e ai nostri nipoti. La sua capacità di suggestione è enorme: riesce a intrufolarsi ovunque, a penetrare ovunque, a forzare le porte chiuse, a eludere i passaggi più sorvegliati. È il suo mestiere e ci sa fare. Del resto, tutta la civiltà moderna è una civiltà triste, angosciosa, senza speranza: tutto il suo malessere è compendiato nella hegeliana coscienza infelice, perché sdoppiata in una coscienza mutevole e immanente e in una perenne e trascendente; tutta la sua tragica abiezione è concentrata nel quadro di Edvard Munch L’urlo, che giustamente la critica e il pubblico, una volta tanto d’accordo fra loro, riconoscono come l’opera figurativa che meglio di tutte ha messo a fuoco il problema numero uno che affligge l’uomo moderno: un impasto di solitudine, mancanza di senso, depressione, angoscia, paura, rabbia, disperazione, chiusura esistenziale, frustrazione ed una insopportabile, continua tensione interiore. Non si creda che stiamo parlando figurativamente. Il demone della Tristezza non è, per noi, un’espressione simbolica: la Tristezza non è un simbolo, come lo è il Diavolo per il falso prete modernista Sosa Abascal, che ha gettato la maschera e mostrato a tutti di non aver più nulla di cattolico. La Tristezza è reale quanto il Male, ed entrambi sono strumenti del diavolo per la perdizione degli uomini; così come lo sono l’Ira, la Superbia, la Lussuria, l’Avidità. Sono istinti e disposizioni dell’anima umano, ma ciò che li porta al calor bianco del peccato è l’azione del demonio, che di essi si serve per scardinare il senso del bene che esiste naturalmente in ogni uomo: uomo che la grazia può dotare degli strumenti soprannaturali atti a difendersi e condurre l’anima a salvamento. Un peccato, la tristezza? Certamente: perché per mezzo di essa il diavolo riesce a minare l’opera della grazia, esattamente come con gli altri peccati. I monaci del Medioevo lo sapevano e stavano in guardia contro la tristezza: il buon umore, l’allegria e l’ottimismo erano le ricette naturali, e la preghiera il rimedio soprannaturale, per contrastare la sua azione nefasta. Ma oggi, come difendersi, come proteggersi dai suoi assalti e dalla sua silenziosa infiltrazione, che tutto corrompe e che spegne la gioia di vivere, contaminando e imbruttendo la creazione di Dio? La civiltà moderna ha doppiamente spalancato le porte alla sua irrefrenabile avanzata: da un lato, relegando in soffitta la nozione del soprannaturale e quindi ignorando sia il pericolo, sia l’antidoto; dall’altro, convogliando ogni tensione dell’anima verso la concupiscenza e la brama di cose materiali e sensuali, e con ciò stesso aprendo i cancelli al taedium vitae, che è l’inevitabile effetto della voluttà soddisfatta, ma sempre risorgente.

Svolgiamo queste riflessioni a beneficio di numerosi amici, che condividono con noi una stagione di scoraggiamento, di ripiegamento, di tristezza, nella speranza di offrire loro degli spunti e degli stimoli per riscuotersi, per reagire, per rialzarsi e proseguire il cammino, con più energia e con maggiore coscienza che ogni cedimento al demone della Tristezza implica un bel tratto di terreno perduto nella lotta che si sta svolgendo tutto intorno a noi, e soprattutto dentro di noi, tra le forze del Bene e quelle del Male; tratto di terreno che poi non potrà essere riconquistato se non a prezzo di sforzi assai più gravi e assolutamente vani senza l’aiuto della grazia divina. Per la tristezza vale la medesima regola che esiste per le altre patologie del corpo e della mente: se affrontata subito, con decisione e con metodo, sarà molto più facile debellarla e cacciarla via. Ecco perché bisogna stare in guardia ed essere costantemente vigili: bisogna avvistarla e riconoscerla al suo primo apparire, per mobilitare contro di lei tutte le energie di cui si dispone. Presa per tempo, è un nemico modesto; ma se le si permette di fare progressi, si rivelerà un avversario quasi invincibile. La nostra debolezza la alimenta, la nostra distrazione è la sua più valida alleata.

Ma perché c’è tanta gente sprofondata nella tristezza, ai nostri giorni? In parte abbiamo già risposto: perché la civiltà moderna è la più lontana di tutte dal giusto modo di vivere, e quindi, inevitabilmente, è la più triste fra tutte le civiltà possibili, anche se gli uomini moderni sono bravissimi nel mascherare la loro infelicità e nel simulare un’allegria e una gioia di vivere che inseguono continuamente, con tutte le loro forze, ma che in realtà sono ben lungi dall’aver trovato. E di cosa dovrebbero essere allegri e soddisfatti, poi? La civiltà delle macchine produce sempre nuovi accorgimento tecnici per ridurre la loro fatica e i tempi d’attesa per ciò che vogliono fare, che si tratti di lavoro o di piacere; però, nello stesso tempo, li mette di fronte così spietatamente ai loro limiti, alla mancanza di senso di ogni cosa e alla irrevocabilità, alla totalità e alla assurdità della morte, da farne necessariamente degli esseri ambivalenti, per non dire schizofrenici, sempre sospesi sul ciglio fra due abissi: l’abisso dell’euforia per i loro successi materiali: economici, scientifici e tecnologici; e il nero abisso della depressione per la sconvolgente coscienza nulla verso il quale sono destinati. E questa è una causa di tipo storico: è la conseguenza delle linee di sviluppo che la civiltà moderna ha deciso di dare a se stessa, ad opera dei suoi teorici e dei suoi massimi esponenti, ma anche — perché la civiltà moderna è democratica per definizione — per opera di gran parte della popolazione, pervasa da una smania di protagonismo che spinge le persone a comportamenti di tipo narcisista compulsivo, quasi a compensare illusoriamente se stesse dell’irrilevanza in cui sentono di essere cadute, sotto ogni punto di vista, politico in primissimo luogo. L’uomo moderno è votato alla tristezza anche per il divario, la sproporzione, la disarmonia e la distanza che esistono fra ciò che la cultura del suo tempo gli dichiara o gli suggerisce, e cioè che non c’è nulla di più grande e perfetto di lui, e l’impietosa realtà dei fatti, che gli mostra continuamente quanto egli sia debole, fragile e transeunte. Heidegger e Sartre sono i pensatori che più esplicitamente e coerentemente riassumono questa condizione, ma la stessa tristezza e la stessa angoscia esistenziale sono presenti nelle opere di una immensa quantità di scrittori, poeti, pittori, scultori, architetti, musicisti, attori, registi, critici, opinionisti, intellettuali, scienziati, tecnici, genetisti, medici, psicologi, psichiatri, sociologi, antropologi, e chi più ne ha, più ne metta. In senso più specifico, gli uomini ai nostri dì sono tristi perché dubitano di tutto, anche di se stessi, e vedono sgretolarsi tutte le certezze e i punti di riferimento senza i quali, checché ne dicano i progressisti, e quei progressisti particolarmente impazienti che sono i rivoluzionari, non è possibile vivere senza impazzire. Stiamo assistendo a una fase storica non solo di trapasso, ma, secondo tutte le apparenze, terminale: vediamo la fine avvicinarsi e non sappiamo, anzi dubitiamo, che vi sarà l’inizio di un nuovo ciclo. Vediamo ogni giorno guadagnare terreno le forze della dissoluzione, morale e materiale. Vediamo trionfare ciò che ci provoca angoscia e indignazione, vediamo calpestare quotidianamente le cose che ci sono sacre. Vediamo affermarsi leggi e modelli di vita aberranti, scandalosi, distruttivi; e vediamo offesi, disperati e perseguitati i modi di vivere sani e virtuosi. Vediamo prevalere i peggiori elementi, gli arruffoni in politica, gl’incompetenti nelle professioni, gli arroganti prezzolati e senza coscienza nel mondo dei mass-media, gli spietati affaristi in quello dell’economia, i corrotti nell’amministrazione pubblica, i boriosi velleitari nella magistratura, quelli che fanno uso di sostanze proibite nello sport, gli egoisti nelle relazioni private. Il merito viene ignorato, se non disprezzato, calunniato o addirittura perseguitato; il vizio viene premiato, e l’errore viene celebrato, applaudito, proposto ad esempio e modello da imitare. Quelli di noi che sono cresciuti con una fede religiosa sono tristi perché la sentono venir meno proprio a causa del comportamento di coloro i quali dovrebbero custodirla, difenderla, ravvivarla ed espanderla: i membri del clero e i cattivi teologi contaminati dalle idee materialiste, edoniste e amorali della modernità. In definitiva, i giovani sono tristi perché stentano a vedere un futuro avanti a sé, i meno giovani e gli anziani sono tristi perché vedono crollare il mondo nel quale hanno vissuto e nel quale avevano creduto.

C’è anche una causa più profonda, però, ontologica e non storica, anche se il momento storico che stiamo vivendo indubbiamente l’amplifica e ne ingigantisce gli effetti: la tristezza dell’uomo è legata alla sua natura creaturale e alle conseguenze del Peccato originale. Per quale ragione i bambini sorridono e sono allegri così spesso, al punto che si può dire che tale è la loro normale condizione di esistenza e che un bambino non è sano, ma deve avere qualche patologie, se non ride e non gioca spensieratamente ogni volta che gi è possibile; mentre è cosa estremamente rara vedere un adulto il cui stato normale è divertirsi e stare di buon umore? Perché il bambino è inconsapevole, mentre l’adulto si rende conto che il mondo in cu viviamo non è come dovrebbe essere, che la nostra vita non è quella che ci sarebbe in realtà destinata, e che il bene che noi troviamo in essa è solo una minuscola parte di quel che ci eravamo aspettati di trovarvi. In breve, l’uomo adulto è triste perché si sente ingannato, si sente tradito, si sente profondamente deluso; ha smarrito l’incanto del mondo e gli sembra, di conseguenza, che tutto sia cattivo, o incompleto, o insoddisfacente, ed è sicuro che il futuro, per quanto fortunato egli potrà essere, non basterà mai a rendergli quel che ha perso e a risarcirlo della sua tremenda delusione. In un ceto senso, come abbiamo già sostenuto un’altra volta, tutta la questione della vita adulta si riduce alla seguente domanda: quanto si è rimasti delusi dalla vita?

Naturalmente, non è sufficiente stare in guardia e farsi coraggio quando è l’ora della prova: bisogna anche saper come affrontare la tristezza; ma, come per tutte le malattie e per tutti i peccati, la cosa migliore è sempre quella di prevenire, adottando uno stile di vita sano, semplice e sobrio e spogliandosi dall’ambizione smodata, dalle brame e dalle smanie dell’ego. E tuttavia, una volta che la tristezza abbia trovato il punto debole nelle nostre difese e si sia aperta un varco, esistono dei rimedi naturali e quelli soprannaturali. Fra i primi ci sono le attività riposanti e rinfrancanti per lo la mente, per lo spirito e per il corpo, come le passeggiate nella natura, l’ascolto della buona musica (e sottolineiamo della buona musica, non certo di quella satanica, che aggrava e moltiplica i sintomi del male) e le buone compagnie, cioè la compagnia di quelle poche, ma scelte persone capaci di trasmettere pace, serenità e amore per la vita; inoltre, se possibile, la guida di un direttore spirituale che indirizzi i pensieri e le energie nella direzione giusta, invece di sprecarli in affannosi ed inutili tentativi di uscire, con le nostre sole forze, dal fango della palude in cui stiamo inesorabilmente sprofondando. I secondi vengono per mezzo della preghiera e della fede, e sono un dono gratuito di Dio; ma è certo che, quando la tristezza assume gravi proporzioni, cioè quando si palesa di natura diabolica, senza l’aiuto della grazia non si può in alcun modo resisterle e reagire. Del resto, il demonio è così forte perché noi siano così deboli e scoraggiati: è un giro vizioso, che solo la grazia divina ha il potere di spezzare. Il demonio sa che attraverso la tristezza è in grado di vanificare l’opera del Salvatore, inoculando nel cuore dell’uomo il senso della nullità di tutto ciò che esiste, e quindi anche del Bene e dell’Amore di Dio. La tristezza infiacchisce o paralizza le virtù naturali dell’uomo — la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza — e può far sì che egli si chiuda perfino all’azione delle virtù che vengono dallo Spirito Santo: la fede, la speranza e la carità. L’indebolimento e la perdita della fede da parte di tanti esseri umani, tipica del mondo contemporaneo, è uno degli effetti collaterali della tristezza. Infatti chi sostituisce la fede nel vero Dio con l’adorazione delle cose e l’abbandono alle passioni disordinate, di certo non è felice: può simulare l’allegria, la angoscia e disperazione si annidano in fondo al suo cuore. Quanta gioia autentica, quanta pace, quanta serenità vi è nella vita del dissoluto, del depravato, del lussurioso, dell’invertito, del superbo e dell’avaro? Si prendano i grandi modelli della dissolutezza moderna, le star di Hollywood, i celebri cantanti rock, specialmente quelli che hanno costruito il loro successo sulla trasgressione, sull’incitamento al disordine morale, sulla derisione del bene, della purezza e del timor di Dio: dietro le apparenze scintillanti, dietro i lussi miliardari ci sono i demoni infernali dell’angoscia, della disperazione e dell’istinto di autodistruzione, inevitabili compagni di una vita spesa adorando le forze oscure e servendo l’antico avversario. La schiavitù della droga e dell’alcol, le malattie più vergognose, la depressione, la pazzia e il suicidio sono sempre in agguato, pronte a ghermire le anime che hanno deliberatamente voltato le spalle alla luce. E se questo è vero per quanti hanno raggiunto il successo, lo è anche per le persone qualsiasi. Un facoltoso imprenditore, uomo sposato e insospettabile, non solo compie violenze sessuali sulla figlioletta di due anni, ma esegue dei filmati e li vende all’estero a gruppi di pedofili: in essi egli non esita a riprende il proprio viso trionfante d’un sorriso diabolico: la notizia è di due giorni fa e viene dalla provincia di Treviso. Questo è l’ultimo gradino sulla scala che conduce all’inferno già da vivi; ed è anche un monito per tutti. Tale è la via del male, intrisa di tristezza. Il solo modello deve essere Gesù: via, verità e vita…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.